La tragedia consumatasi nelle scorse ore a Mestre, dove un pullman è precipitato da una sopraelevata – uccidendo 21 persone e ferendone 15 – è un dramma che scosso non solo il Veneto (con la Regione che ha allestito e già attivato all’Ospedale dell’Angelo un servizio di accoglienza e una sala dedicata per i parenti delle vittime), ma l’Italia intera. Sul luogo del disastro, accompagnato dal sindaco Luigi Brugnaro, si è ieri recato il Patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, il quale, raccoltosi in preghiera sotto il cavalcavia dal quale è precipitato l’autobus, ha benedetto le salme coperte da teli bianchi, sui quali sono stati deposti dei mazzi di fiori rossi. Il Timone lo ha contattato, per avere dal Patriarca un commento sull’accaduto – così straziante da rendere difficili parole che, tuttavia, dalla speranza cristiana non possono non arrivare. Ecco cosa ci ha detto:
«Ieri sera, sotto il cavalcavia di Mestre, dinanzi alle ventuno salme, fra le quali due erano di bambini, il pensiero è andato immediatamente alla precarietà della vita umana. Viviamo in una società che si illude di garantire tutto e tutti ma, in realtà, eventi come questo ci fanno toccare con mano come l’uomo sia fragile come l’erba del campo. Siamo appena usciti dagli anni del Covid e abbiamo ancora nella mente le lunghe file di camion carichi di bare in cerca di luoghi di sepoltura.
Da un anno e mezzo, viviamo il dramma della guerra in Ucraina; sappiamo – pur ignorandone il numero – che ogni giorno muoiono molti militari, civili e, tra essi, anche bambini. Lunedì prossimo celebrerò la Messa nel cimitero di Longarone, a sessant’anni dalla tragedia del Vajont che costò la vita a duemila persone, tra cui cinquecento ragazzi e bambini. Tutto ciò che cosa ci dice? Noi uomini, che confidiamo sempre più nella cultura e nella società della tecnoscienza, in realtà rimaniamo fragili e per questo siamo chiamati a riscoprire il limite come vera cifra della creaturalità.
Dobbiamo, insomma, essere più consapevoli della precarietà legata alla nostra situazione di uomini; non si tratta di aver paura, ma di riscoprire nel nostro quotidiano la gioia di essere creature. Certamente il cristiano ha una risorsa che gli è propria ed è la speranza “teologale”, che va oltre la morte, poiché nasce dalla fede nella risurrezione del Signore che ci ha promesso come, oltre questa vita, ci donerà quella vera che non ci sarà mai tolta. L’annuncio cristiano deve “risuonare” soprattutto in momenti come quello che stiamo vivendo e in cui la sapienza umana non ha risposte.
Il Vangelo risulta, quindi, non solo annuncio di verità e di bene ma anche di gioia che chiama in causa il “per sempre”. La fede ci esorta a non temere e proprio quest’esortazione ritorna nel Vangelo in occasione delle grandi opere della redenzione; la Vergine Maria e Giuseppe – custodi primi della salvezza – si sentono dire dall’angelo: non temere! Anche noi non dobbiamo temere ed esser più consapevoli che il senso del limite e l’umiltà sono la cifra e la garanzia della vera umanità»
Fonte: Giuliano Guzzo | IlTimone.org