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Edith Bruck : “Uccidono anche i piccoli come facevano i nazisti ma la vendetta non serve”

La scrittrice deportata a 13 anni, passata da Auschwitz e da Dachau: “Sembra assurdo ma oggi come ai tempi di Hitler si continua ad ammazzare, magari ridendo, in nome di Dio”

Questa è la barbarie, «e io l’ho già vista». La voce di Edith Bruck si incrina, e arriva quasi al pianto, quasi. Eppure, è una donna forte, che ha attraversato la Shoah ed è incredibilmente sopravvissuta, ne è testimone e lo sarà «fino alla morte», con i libri che ha scritto, il racconto della sua vita fatta nelle scuole. Deportata a 13 anni, passata da Auschwitz e da Dachau. Una bambina, che oggi ha 92 anni.

Cosa capisce un bambino, dell’orrore? Lei lo sa.

«Non capisce niente. È perso, ha gli occhi persi. Se ha la madre vicino urlerà “mamma!”. Se non ce l’ha, resterà muto».

L’assalto ai kibbutz, e questi bambini uccisi. I dettagli sono orrendi, ad alcuni hanno tagliato la testa. Possiamo definirlo un pogrom?

«Lo è. Io so cos’è un pogrom, ci sono finita dentro con la mia famiglia. E quando siamo arrivati al ghetto, ricordo di aver visto lì il primo nazista della mia vita, perché chi ci aveva rastrellato erano i fascisti ungheresi, i nostri concittadini… E quel soldato della Wermacht — che era enorme come un Moloch — aveva una fibbia lucida, all’altezza dei miei occhi. “Gott mit uns”, c’era scritto. “Dio è con noi…”. E anche questi, hanno ucciso urlando “Allah Akbar”. Hanno ucciso ridendo, in nome di Dio. E quante volte succede, che si uccida in nome di un dio, milioni di persone muoiono così, purtroppo. Mia madre, che era un’ebrea credente e parlava con Dio tutti i giorni, ricordo che si stupiva,”come è possibile che facciano questo nel nome di Dio?”. Ma è successo, e succede ancora».

Lei ricorda altri bambini nei campi di sterminio?

«No, perché quelli che avevano meno di 13 anni venivano subito mandati al crematorio. Io mi sono salvata perché pur essendo stata sbattuta nella fila di sinistra con mia madre, destinate alla morte, ero poi finita a destra. Un soldato tedesco mi aveva sussurrato di nascosto “vai di là…”. Era stata la “prima luce”, la prima occasione di salvezza che mi è capitata. E ho visto molte cose orribili, purtroppo. Ho visto i soldati giocare a calcio con la testa di un bambino. Eravamo in uno dei sottocampi di Dachau. Non posso dimenticarlo. Non lo dimenticherò mai, e non devo dimenticarlo. E ad Auschwitz, quando ci hanno mandato alla disinfestazione dai pidocchi, ho visto per terra centinaia di bambini congelati, buttati lì. Centinaia di pacchettini, che poi scongelavano per fare i loro esperimenti».

Lei sogna ancora queste cose?

«Mai. Io non ho mai sognato niente. Non ho mai avuto incubi. Primo Levi mi raccontava di aver avuto spesso questi sogni orrendi, ma io no. Però, tutto questo riemerge durante le anestesie. Ogni volta che sono finita in una camera operatoria, mi hanno detto che ho urlato “mandate via i medici! mandate via i soldati!”. Lì rivivo tutto il campo, quello che ho subito, quello che ho visto. Auschwitz non passa mai. E bisogna averne memoria, in questo io sono molto fiduciosa nei giovani, che ascoltano e capiscono, e mi ripagano della fatica che faccio nel ricordare. Perché loro sono i nuovi testimoni. Liliana Segre dice “dopo di noi l’oblio” ma io credo nelle nuove generazioni, che non saranno mai fasciste. Niente è inutile, il racconto serve, anche se è un peso enorme sulle spalle dei sopravvissuti».

Sopravvivendo a esperienze simili, ci dica come si vive, dopo.

«Ah, sei segnato per tutta la vita. È un vissuto che non guarisce mai, perché non si guarisce da quelle esperienze. Il pogrom… pensi a quei duecento giovani che stavano ballando in quella festa, e sono stati uccisi sul posto, o rapiti. Se non è nazismo, cos’è?»

Ha paura?

«Sì. In tutta Europa sta tornando una nebbia fitta, di razzismo, odio, discriminazione. E ora, Israele. Gli ebrei hanno sofferto già troppo, e sono pochi. Israele ha diritto di esistere, e tutto questo che sta succedendo là è molto, molto grave. Il mondo è impazzito, come dice il Papa. E i bambini… Tutti dicono che i bambini sono innocenti, e intoccabili, ma questo che stiamo vedendo è il massimo della crudeltà».

Ma esiste un massimo della crudeltà?

«Una volta le guerre erano diverse. Erano uno scontro di eserciti, ma oggi ci sono orrori sempre nuovi, i massacri, gli stupri dei bambini davanti alle madri, come è successo in Ucraina. Le donne violentate…».

Questo è successo anche allora agli ebrei. I pogrom, la Shoah.

«Qui bisogna fare attenzione, e non confondere. Auschwitz è stato un unicum, lo diceva Primo Levi, e lo dico anche io. Quello che succede in Ucraina, quello che sta succedendo in Israele, sono orrori sempre peggiori, ma diversi. Orrori che mi sconvolgono, ma non sono paragonabili allo sterminio di un popolo, deciso a tavolino, scientificamente. L’annientamento… Ricordi i denti d’oro estratti ai cadaveri, i capelli usati per riempire i materassi e le tute termiche degli aviatori. Ricordi lo sfruttamento industriale dei morti, che venivano utilizzati come materia prima».

Lei ha parenti in Israele?

«Nipoti e pronipoti. Uno è disperso, non sappiamo dove sia. Ma a me dispiace per tutti, non solo per lui. So cosa vuol dire la sofferenza di tutti, non conosco solo la mia. E non gioisco certo per la morte di un palestinese. Sono tornata dai campi senza odio, senza desiderio di vendetta. Dopo la liberazione, ho anche ceduto del cibo a dei prigionieri tedeschi, al di là della rete. Eravamo in un campo di transito, e loro erano i prigionieri. Avevano le pentole vuote, gli ho dato quel poco che avevo. La vendetta non serve a niente».

Fonte: BRUNELLA GIOVARA Int. Edith Bruck | La Repubblica.it

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