Giornalista, scrittrice, docente universitaria negli Usa, palestinese con cittadinanza italiana e israeliana, marito ebreo e parenti cristiani. «Per me un futuro di pace non è qualcosa di utopico».
“Mi rifiuto di permettere che le barbarie di Hamas cancelli la nostra umanità, ma anche la nostra razionalità, in questo momento in cui abbiamo più che mai bisogno di governare le nostre emozioni. Per me un futuro di pace non è qualcosa di utopico”. Rula Jebreal, giornalista, scrittrice, docente universitaria negli Usa, risponde partendo dal suo Dna: palestinese con cittadinanza israeliana e italiana. “La mia famiglia è composta da ebrei, musulmani e cristiani. Mio marito è un ebreo americano di origine tedesca, la cui famiglia è fuggita dalle persecuzioni. Allo stesso tempo, membri della mia famiglia palestinese, che vivono in Israele, lavorano come operatori sanitari nei corridoi degli ospedali asfissiati dai lamenti dei feriti. Siamo tutti in lutto, sentiamo sulla pelle il senso di ingiustizia, il dolore delle madri, dei padri, di tutte le famiglie delle vittime. E’ una sensazione straziante”.
Come guarda a questa prima settimana di conflitto?
Si tratta di una immane barbarie, ma è proprio per l’orrore di questa ferocia che abbiamo il dovere di rimanere ancorati alla legalità, alla moralità e ai nostri valori. Le guerre hanno delle regole. La vendetta non e’ una strategia. Per lottare contro il terrorismo dobbiamo non sacrificare la nostra umanità e non venir meno alla nostra moralità. Dobbiamo invece rompere il ciclo di odio e violenza, ascoltare le famiglie delle vittime israeliane che ci dicono: “Uccidere bambini palestinesi a Gaza, non e’ giustizia vogliamo la pace”. Non esiste una soluzione militare a questo conflitto. Perfino i vertici del’Idf (le forze di difesa israeliane) e del Mossad (il servizio segreto di Tel Aviv) riconoscono che non garantirà pace e sicurezza.
Si poteva prevenire?
Se la libertà palestinese è negata, è inevitabile che la disperazione di un popolo venga presa in ostaggio dal terrorismo. E se a quel terrorismo si risponde giustiziando interi quartieri di innocenti, vincono i terroristi.
Quali lezioni del passato non sono state apprese?
A seguito della prima intifada, altro episodio brutale che ha afflitto questa terra, è stato grazie al coraggio e alla lungimiranza di leader visionari come Rabin che accostavano strategicamente la lotta al terrorismo ai negoziati di pace, da cui sono nati gli accordi di Oslo, nonostante l’intifada avesse causato oltre 5.000 morti. A causa del suo pensiero libero volto a disinnescare la carneficina reciproca tra popoli, è stato assassinato da un fanatico israeliano. Ma torniamo indietro di qualche anno, a quello della mia nascita.
Era il 1973. La guerra del Kippur.
Altro evento storico dove Israele ha sottovalutato i segnali premonitori di una strage. Fu un’altra tragedia indelebile nella memoria collettiva di questa terra martoriata, che però portò all’accordo di Camp David con l’Egitto di Sadat. Anche qui, la necessità del dialogo prende forma a strage compiuta, ma prende forma. E abbiamo la responsabilità storica di far sì che il dialogo non diventi una toppa a ferite che non si rimarginano, ma che si consolidi come unica alternativa a stragi e guerre infinite.
Ma si può lasciare che Hamas sopravviva a queste stragi?
Hamas va sconfitta non solo militarmente. Va sconfitta la sua ideologia, costruendo un percorso di ascolto delle voci razionali in campo, animate da un sentimento fondato sulla reciproca libertà, e sulla reciproca dignità. Le armi non possono e non devono sostituire un progetto politico. Bisogna cooperare con i moderati che pur riconoscendo Israele e continuando a collaborare per garantire la sicurezza degli israeliani, vivono senza diritti sotto dittatura militare.
Dove ha sbagliato Netanyahu?
La verità è che l’attuale governo israeliano di estrema destra aveva una sola strategia: prevenire la costituzione di uno stato palestinese. Questo ha creato e favorito gli estremisti in Israele e in Palestina, Rafforzando Hamas che oggi sta distruggendo la speranza di un futuro di coesistenza e dobbiamo fare tutto il possibile per non cadere nella loro trappola.
Quale iniziativa dovrebbe prendere l’Occidente?
L’occidente ha l’obbligo di sostenerci perché i nostri destini sono interconnessi. La questione di Israele è direttamente conseguente all’identità stessa dell’Occidente, della “democrazia”, dei “diritti umani”, dello stato laico contro quello religioso. Soprattutto per il fatto che ciascuna delle nazioni europee si è costruita anche sulla violenza e sui traumi. Ora più che mai occorre isolare i fondamentalisti, sostenendo i moderati sia in Palestina che in Israele, che sono stati marginalizzati.Perché il fragore della guerra suona più forte del dialogo. Non dobbiamo permettere che questo clima detti la nostra agenda politica, che deve essere improntata alla salvaguardia della democrazia Israeliana e al sostegno della nascita di un stato democratico Palestinese. Nessuno di noi è libero o sicuro finché non lo siamo tutti.
Fonte: Rula Jebreal Int. Nello SCAVO | Avvenire.it