«È un testo giuridico straordinario in grado di segnare il passaggio dall’intuizione all’istituzione», spiega lo studioso francese Jacques Delarun, «il fatto che i frati possano cambiare il Ministro generale è una procedura moderna e democratica considerato che siamo agli inizi del Duecento. E poi ogni frate ha il diritto di non obbedire, pur avendo fatto il voto di obbedienza, se ritiene l’ordine imposto contrario alla propria coscienza»
«Moderna, essenziale, capace di segnare il passaggio dal sogno alla realtà». È la Regola di San Francesco, di cui quest’anno ricorrono gli 800 anni, secondo uno dei suoi massimi studiosi, Jacques Delarun, membro dell’Institut français e per lungo tempo direttore della sezione di Studi medievali presso l’École française di Roma.
Scritta e approvata nel 1223, nel cuore del Medioevo cristiano impegnato a preparare la sesta Crociata e con numerosi movimenti eretici suscitati dalla corruzione del clero che tentavano di pensare e di proporre una Chiesa “diversa” o alternativa, la Regola, secondo Delarun che a settembre scorso ha tenuto una relazione al Festival francescano di Bologna dedicato proprio a questo anniversario, «non è un tradimento dell’ideale del Poverello, come sostengono alcuni storici, ma è la garanza dell’iscrizione dell’ideale nella durata. A riprova di questo, 800 anni dopo ci sono ancora tanti giovani profondamente attratti da questa forma di vita».
La nascita, però, fu molto travagliata.
«Sì. Francesco d’Assisi insieme a un gruppo di undici compagni va per la prima volta a Roma nel 1209 per far conoscere a papa Innocenzo II il suo progetto evangelico di vita e ottenere “benedizione e approvazione”. Passa il tempo e sicuramente comincia a mettere per iscritto questo progetto redigendo quella che è conosciuta come Prima Regola. Intanto, nel 1215, si riunisce il Concilio Lateranense IV che decide di proibire la nascita di qualsiasi nuovo ordine religioso. A quel punto, Francesco avrebbe dovuto fermarsi e adottare la regola benedettina o agostiniana e invece va avanti. Nel 1221 torna dal papa, Onorio III, che si dimostra ancora incerto. Bisognerà aspettare altri due anni, il 29 novembre 1223, perché la Regola venga approvata dal Pontefice. Mancava, però, un ultimo passaggio. Trascrivere l’approvazione nei registri pontifici, secondo il Diritto canonico. Di solito, dopo l’approvazione del Papa, passava qualche giorno e in questo caso trascorrono mesi e la trascrizione slitta al febbraio del 1224».
Perché? Si è trattato di una questione burocratica?
«No. Era un testo problematico perché segnava, come sempre accade nella storia dell’uomo, il passaggio dal sogno alla realtà, dall’intuizione all’istituzione. Un passaggio complicato per uno come Francesco, che era poco formale. Gli storici da oltre un secolo pensano che la seconda versione conservata della Regola fosse stata imposta a Francesco da Onorio e dai ministri provinciali dell’Ordine. È un modo un po’ complottistico di guardare la storia. In realtà, si è trattato di una lunga negoziazione per arrivare a quello che voi italiani chiamate “compromesso storico”».
Quali sono le differenze tra la prima e la seconda?
«La prima era molto lirica, c’erano molti passaggi di lode e di preghiera mentre la seconda versione è un vero e proprio testo giuridico, secco, chiaro e molto più efficace. L’aspetto giuridico e la negoziazione con il papato l’hanno reso un ottimo documento. In fondo, quante istituzioni attorno a noi hanno 800 anni di vita sulla base della medesima regola iniziale?».
Secondo alcuni studiosi, però, è stato un tradimento dell’ideale francescano.
«Al contrario, è stata la garanza dell’iscrizione dell’ideale nella durata come dimostrano le tante vocazioni che l’ordine francescano ha ancora oggi. Più un testo giuridico è complicato, più invecchia velocemente. Se ci sono troppi precetti e regole, alcuni decadono col tempo. Il testo del 1223 è molto secco e ha potuto attraversare i secoli. È quello che è accaduto con l’Ordine benedettino: la prima Regola, detta “del maestro”, era molto molto dettagliata, addirittura si arrivava a indicare quale doveva essere il posto dei singoli monaci nel coro. Qualche decennio dopo, partendo da questa regola fiume, San Benedetto ne scrive una molto più ristretta e sintetica che è ancora viva. Insomma, il dettaglio uccide sempre».
Quali sono gli aspetti più importanti della Regola francescana?
«Sicuramente la povertà, uno dei tre voti insieme a castità e obbedienza, da vivere in modo esigente visto che i frati non devono in alcun modo manipolare denaro. Ma ci sono molti aspetti che sono di una modernità sconvolgente se pensiamo che si tratta di una Regola concepita nella prima metà del Duecento».
Quali sono?
«Il fatto che i frati possano cambiare e revocare il ministro generale, una procedura che oggi diremmo democratica, e lo è tutti gli effetti. E poi ogni frate ha il diritto di non obbedire, pur avendo fatto il voto di obbedienza, se l’ordine gli sembra contrario alla sua coscienza. Siamo nel 1200, in una società come quella medievale descritta come molto rigida e qui, invece, c’è una comunità che accetta di mettere in discussione il superiore e permette di non obbedire ciecamente a tutti gli ordini. Nei comuni medievali, per dire, non c’era questa libertà d’espressione. Anche la povertà è pensata in modo profondamente innovativo».
In che senso?
«Mentre le altre regole religiose di tipo monastico impedivano che il singolo monaco potesse avere beni di proprietà, nella regola francescana è ripresa la stessa disposizione ma anche il solo manipolare del denaro è assolutamente vietato e i frati devono vivere esclusivamente del proprio lavoro o di elemosine. In una società che aveva come fulcro lo sfruttamento dei più poveri, considerato quasi normale, la Regola introduce il concetto dell’autonomia finanziaria che è molto moderno».
Fonte: Antonio Sanfrancesco | FamigliaCristiana.it