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Vittima innocente. L’atroce morte di Aurora che non abbiamo visto

Le fu dato nome Aurora. E come l’aurora ha fatto appena in tempo a illuminare la terra prima di precipitare nel buio della notte.

È il 2 settembre. Una telefonata arriva al 118: «Presto, fate presto, la nostra bambina sta male». In realtà, Aurora – 45 giorni appena – è già morta. I genitori – 26 anni lui, appena 19 anni lei – piangono, si disperano, la loro figlioletta, non c’è più. L’autopsia, impietosa, rivelerà che la neonata è stata uccisa. Sul suo corpo, infatti, sono stati rinvenuti i segni inconfondibili di una violenza bieca. Ma chi ha potuto fare male a questo esserino tenero e indifeso? Chi ha avuto il coraggio di scagliarsi contro di lei?

I sospetti cadono subito sugli stessi genitori. Tratti in arresto vengono trasferiti in carcere. E noi ci ritroviamo, ancora una volta, a piangere la morte di una bambina e a interrogarci, increduli e perplessi, sul comportamento anomalo di chi l’ha messa al mondo. Ancora una volta, però, corriamo il rischio di dire cose già dette e risapute. Dobbiamo fare attenzione a non assuefarci a notizie del genere, soprattutto in queste ore dove guerre infami e disumane stanno provocando delle vere stragi degli innocenti, capaci di farci annichilire. Bambini senza volto e senza nome. Corpi straziati, avvolti negli stracci, per una frettolosa sepoltura. Numeri, solo numeri, incerti, per approsimazione, cui volentieri si cerca di non badare. Fagottini di colore bianco allineati a terra come merce da smistare.

Aurora, invece, un nome ce l’ha. Un nome bello. Di lei sappiamo tanto. Sappiamo, per esempio, che nella sua breve esistenza non era stata mai visitata da un pediatra. Che per tentare di lenire le ferite da essi stessi inferte, i genitori le applicavano non una crema prescritta dal medico ma lo strutto di maiale. Poteva essere salvata, Aurora? Certamente. Perché non è successo? Perché i suoi genitori, violenti, incapaci di prendersi cura della figlia, non sono stati tenuti sotto osservazione? Dove sono finiti i tanto decantati e sovente invisibili servizi sociali? Santa Maria a Vico (Caserta) non è Los Angeles. Qualcuno avrebbe potuto rendersi conto che sul corpicino della bimba venivano sfogati la rabbia, il malessere, i disagi dei suoi genitori?

L’atroce fine di Aurora non deve passare inosservata. Non è una semplice notizia di cronaca. Dopo lo sconcerto delle prime ore, dopo le invettive e le maledizioni lanciate a chi ha avuto il coraggio di farle tanto male, occorre scendere in campo, tutti, a ogni livello, perché i bambini cessino di essere i parafulmini sui quali tanti adulti incapaci e disturbati sfogano le loro angosce e le loro anomale passioni. Ad Aurora è stato fracassato il cranio. In un Paese civile come il nostro, in tempo di pace, qualcuno si è scagliato contro di lei come contro un animale selvatico. Chissà, forse solo perché piangeva, si lamentava, dava fastidio. Genitori incapaci di svolgere le più elementari mansioni affidate loro dalla natura, dal diritto, dall’amore, da Dio. Incapaci di gioire per la nascita di una vita nuova. I neonati. I bambini. Tenerezza fatta carne. Stupore e bellezza allo stato puro. Se nemmeno loro riescono a far scattare in noi quei sentimenti che chiamiamo pietà, amore, abbiamo seriamente di che preoccuparci.

Aurora è stata uccisa. Sotto i nostri occhi. Non ce ne siamo accorti. Diamoci da fare. Occorre formare una rete di protezione a favore dei bambini. Una vera muraglia a loro difesa. È vero, nessuno sa leggere nel cuore degli altri, ma qualche segnale i genitori incapaci di accogliere e gestire adeguatamente una nuova vita, c’è sempre. Bisogna aguzzare lo sguardo. Osare. Spingersi oltre. Non rimanere chiusi e prigionieri dei propri doveri istituzionali.

Mettere in atto un piano dove, come in un mosaico, ogni tassello va a completare e illuminare un quadro che tante volte si rivela disperato. E porvi rimedio. Immediatamente e senza badare a spese.

Fonte: Maurizio PATRICIELLO | Avvenire.it

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