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Educazione affettiva. Corsi speciali? Omero, Dante e Shakespeare dicono già tutto

La provocazione di un docente alla Facoltà teologica dell’Italia meridionale di Napoli sulle proposte di preparare i ragazzi sui temi della violenza di genere nelle scuole. Servono davvero?

Accade spesso che sull’onda di una più che comprensibile indignazione per efferati episodi di cronaca nera, scatti il richiamo alla scuola come carta da giocare per cambiare marcia. Nelle ultime ore, ad esempio, in molti sono tornati a chiedere che negli istituti scolastici siano attivati dei corsi di “educazione sentimentale” (ma anche sessuale o emotiva, le formule utilizzate sono plurime) per aiutare i ragazzi ad abitare l’universo relazionale di cui fanno parte. Tali richieste, però, presentano almeno un problema serio. Chiedere compulsivamente l’aggiunta di specifiche offerte educative agli ordinari curricula scolastici – anche se forse non ce ne rendiamo troppo conto – rischia di farci dimenticare che Omero, Dante, o Shakespeare, tanto per fare alcuni nomi, hanno già molto di serio da dire su emozioni, affetti, doveri, diritti, bene e male, sessualità.

Le splendide pagine di un Platone su Eros, Agape e Philia del Simposio, o quelle della Repubblica, dello stesso autore, dedicate alla Sophrosyne (temperanza), sono solo un insieme di elementi culturali da imparare per superare il compito in classe, oppure possono rappresentare strumenti utili per contribuire all’educazione affettiva degli alunni? E cosa dire dell’Etica Nicomachea di Aristotele? Il filosofo la dedicò al figlio Nicomaco: non proprio un reperto da archeologia delle idee, ma una via per accompagnare un giovane alla ricerca della felicità e del bene, di sé e degli altri. Come, poi, non chiamare in causa Agostino. Il suo celebre «ama è fa ciò che vuoi» non è il manifesto del libertinaggio, ma l’indicazione di un imperativo dato alla nostra libertà: radica la volontà nell’amore. E l’amore, ancora, non è il pathos del godimento egoriferito ma il riconoscimento di un ordine del bene che ci strappa dal nostro autismo emotivo per indicarci la giustizia degli affetti e l’arte di distinguerli senza mortificarli, di interpretarli senza confonderli.

Quanto di prezioso si può trarre, ancora, dalle straordinarie righe dedicate da Hegel nella Fenomenologia dello spirito al “negativo”? Nessuno può progredire nel cammino dell’esistenza – si può imparare da quelle pagine del filosofo di Stoccarda – se non sperimenta le proprie “morti”, se non accetta di passare attraverso la contraddizione, il travaglio, l’accettazione della parzialità della propria singolarità. Insomma, c’è una sterminata vastità di strumenti per parlare ai ragazzi di emozioni, sentimenti, sessualità, bene e male. Pretendere continuamente che a questo si sommino corsi e giornate rischia di mandare un messaggio devastante alle alunne e agli alunni, vale a dire che ciò che si studia a scuola, in realtà, non serve davvero a scolpire e migliorare la nostra umanità ma al massimo ad aumentare il livello della nostra erudizione. Per tutto quanto concerne le relazioni, le emozioni, i sentimenti, vale a dire per la polpa dell’esistenza, le pagine di filosofi, poeti, artisti, scienziati non sono competenti, serve una fornitura extra di sapere. Se questo è vero, però, si potrebbe provocatoriamente chiedere: allora perché leggerle ancora?

Fonte: Alfonso Lanzieri | Avvenire.it

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