Sopra La Notizia

Lettere per Giulia e Filippo

C’è più saggezza, umanità e carità in una posizione adulta consapevole che non in tutti i bla bla bla sul patriarcato di cui sono piene le pagine dei giornali.

Caro Filippo, ora che nel silenzio di una cella tedesca sei davanti a te stesso, prima di avere tutti i riflettori disumanamente puntati su di te al tuo ritorno in Italia, non puoi certamente non riconoscere il male che hai fatto, anche se vorresti rimuoverlo, quasi estraniandoti dalla realtà.

Eppure tu non sei fatto per il male, nessun uomo è fatto strutturalmente per il male, nessun uomo nasce per essere destinato ad essere “mostro” o pervertito. Eppure accade, è accaduto in te… ma allora, mentre si spendono le analisi dei saggi che hanno un gran da fare in questi giorni nei talk show e mentre qualcuno dice che se avessi frequentato l’ora di “educazione sentimentale” alle superiori forse non saresti arrivato a tanto, che cosa può permettere che questo male non si impadronisca in un modo così violento dentro un rapporto affettivo che era nato in modo positivo?

Rispetto ai saggi della nostra epoca, che cercano di dare ricette per sconfiggere o almeno ridurre questo male, tu hai questo strano privilegio di poterci stare davanti a questo mistero e sentire bruciante anche tu la domanda che si poneva san Paolo: «Perché faccio il male che non vorrei anziché il bene che vorrei? Chi mi libererà da questo corpo di morte?».

Il dramma di oggi è la censura di questa domanda, la censura del dramma di una fragilità del nostro essere che, anche se non assume forme violente e atroci come quelle che hai vissuto tu, ci portiamo dentro tutta la vita e la riempie di una smisurata solitudine. E, come ben vediamo in tema di abusi, non risparmia nessuno, neanche i cosiddetti uomini di Chiesa.

Eppure da 2.000 anni un uomo che si è detto Dio sfida la ragione di tutti gli uomini affermando che Lui ha vinto il male, non lo ha eliminato dalla faccia della terra ma lo ha vinto: è la sfida più grande alla nostra ragione umana, per cui è ragionevole verificare o se è vero o se è la più grande menzogna della storia.

Chi si affida alla Sua Presenza non diventa magicamente buono ma può iniziare un cammino di verità dell’essere. Gli uomini di oggi sono soli – e i giovani che Pasolini chiamava “generazione sfortunata” sono vittime di questo – proprio perché hanno smarrito la possibilità di questo cammino di verità, in cui la Fede in quell’uomo informa la vita al punto che è possibile un modo di affrontarla, con i suoi problemi e i suoi drammi in modo da non smarrirsi e non smarrire l’uso della ragione, che ci impedisce di trattare il nostro cuore per la bellezza per cui è fatto. Puoi anche non arrivare a riconoscere che questo Uomo è Dio, ma in ogni caso sperimenti “il centuplo quaggiù”.

La compagnia di quest’Uomo permette che l’amore non diventi possesso ma non perché lo impari su un libro o con una lezione di “educazione sentimentale”, ma perché lo vedi in atto in tanti amici veri e in tanti testimoni.

Così puoi amare una donna non perché la possiedi ma perché ami il suo destino e se non è fatta per stare con te la ami ancora di più lasciandola al suo destino e alla sua libertà e tu corri verso il tuo. Nessuno più di Dio ama la nostra libertà, cioè la nostra capacità di aderire al vero. Giulia era libertà e chiedeva che tu la amassi amando la sua libertà. Ma forse non potevi, proprio perché tu non eri libero. Ma lo puoi diventare! Pur dentro un carcere in cui probabilmente passerai molti anni futuri della tua vita.

Ti auguro di trovare presto questa compagnia di Cristo attraverso la presenza di coloro che riconoscono che Cristo perdona anche il più efferato dei delitti: “Oggi sarai con me in Paradiso” disse al ladrone in croce. E la giustizia umana che deve operare non può eliminare il gusto e l’esperienza di questo perdono.

La giustizia farà – giustamente – il suo corso nei tuoi confronti, ma questo non solo non basterà per portare in vita Giulia, ma non basterà neanche per riportare in vita te che sei ancora vivo o per dare una speranza credibile all’opinione pubblica che queste cose non accadano più.

Ti prego, guarda in faccia il mistero del male, ma guarda in faccia anche il mistero della tua vita che oggi ti sembra inutile.. e guarda in faccia il mistero di Uno che muore dal desiderio di farti sperimentare che la salva.

Così potrà nascere un bene per tutti e una speranza per molti.

Ti porto nel cuore, certo che tua madre ti protegge dal Cielo.

Mario Dupuis Padova

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Caro direttore, l’omicidio di Giulia Cecchettin, analizzato ottimamente sulle vostre colonne dalla dottoressa Sanese intervistata da Caterina Giojelli, sta tirando fuori il peggio della società italiana contemporanea, secondo quella regola valida anche per le patatine, che un po’ di Male tira l’altro. Il diavolo sa fare il suo lavoro e noi, quando non siamo in malafede, siamo comunque dei fessi.

Nutro orrore per la selva oscura dei commenti. Pertanto, io non avrei voluto esprimermi a voce alta su questa vicenda; ma ti scrivo comunque, caro direttore, poiché non reggo più questo frastuono.

Innanzitutto, di fronte a quel giovane corpo prima sballottato in un bagagliaio e poi lasciato scivolare in un lago, e al suo assassino che fugge via fino a finire la benzina, accostare e farsi prendere, l’unico gesto opportuno da parte della collettività sarebbe stato appunto il silenzio. Ne siamo diventati a tal punto incapaci, incatenati come siamo agli schermi dei nostri cellulari, che perfino la sorella della vittima, lucida o malconsigliata che fosse, è riuscita a lanciarsi in commenti sociopolitici invece di tacere e guardare; commenti prontamente colti al balzo dalla massa composita dei frastornati e di altri malconsigliati.

Per stare in silenzio occorre avere coraggio e pazienza, due virtù che ormai latitano. Quando si sta zitti, sempre si guarda a qualcosa, che sia fuori o dentro di noi.

Invece di osservare l’essenza dell’accaduto, la si incrosta di commenti, accuse, slogan sessantottini, panchine verniciate di rosso, proposte di legge, di corsi a scuola: nella speranza, anzi, nella pretesa che esista un modo, una soluzione a quella roba oscena che non si ha il coraggio di guardare. Lo si chiama femminicidio, oppure patriarcato, gli si danno etichette ed hashtag, poiché il suo nome nessuno osa più pronunciarlo, anzi, forse non è nemmeno più noto: il Male.

Il Male che tanto bene scrittori come McCarthy o King osano raccontare nei propri romanzi. Il Male che c’è e che opera. Il vermo reo, come lo chiama Dante, che già poche ore dopo la creazione si è incuneato a rodere il cuore della terra, e ‘l mondo fora.

Quel Male che fa raccapriccio e al quale vorremmo trovare facili rimedi che invece non esistono, e che, pur non esistendo, ci vengono venduti dai soliti vendifumo: da che esistono le carogne, esistono anche gli sciacalli.

Come dice Elliot, noi sogniamo “sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’esser buono”: un corso, una legge, una panchina, una lobotomia, una spolverata alle coscienze, una canna, un grido, un mondo dove rincoglionirsi in pace senza più l’orrore. Il modo migliore per pulirsi la coscienza, voltarsi e permettere al vermo reo di proseguire indisturbato la propria opera di marcimento.

Se solo stessimo zitti, invece di cedere all’isteria, ci accorgeremmo del volto del Male, cioè dell’Odio, dietro ciò che Filippo Turetta ha fatto alla bella Giulia: e così penseremmo all’unico vero rimedio, che non è facile come un hashtag, e che è il Bene, ossia l’Amore.

Mi sono infatti dovuto domandare – bombardati come siamo stati! – quale sia la differenza in fondo tra me e Filippo, e la risposta è stata: proprio nessuna. Nessuna! Ciò che ha fatto lui, potrei farlo anch’io, e se non lo facessi farei dell’altro di sbagliato, poiché il Male in tutti agisce. Ma! Ma io sono stato molto amato, e ho avuto la grazia, fin da quando ho avuto la sua età, di essere messo in condizione di amare. Andando a trovare un amico malato, aiutando a studiare i ragazzini, recandomi dagli anziani in ospizio. Come diceva la dottoressa Sanese, è vero che la piaga più profonda è il narcisismo; credo che l’antidoto a questo malato amore di sé non possa che essere un sano, sporco, schietto amore per il prossimo. Ciò non implica che non vengano più ammazzate altre ragazze: la disinfestazione del verme che tenta la nostra libertà avverrà solo l’ultimo giorno. Prima, ci sono stati promessi tanti falsi profeti. Vigiliamo. Ma portiamo i ragazzi negli ospedali pediatrici, nelle case di cura, o nei campi, nei vigneti, o negli atelier dei pittori, nelle mense dei poveri: spingiamoli a notare che il volto dell’Amore è più bello e preferibile e più adatto a chi siamo, maschi e femmine non importa, rispetto al volto del Male. Filippo, disturbato o lucido che sia, avrebbe di certo preferito portare all’altare un domani Giulia, che buttarla in un lago. Cos’è mancato in mezzo?

Più che a lei, è a lui che m’è venuto da pensare in questi giorni: l’ho guardato accostato al bordo di un’autostrada tedesca senza le quattro frecce, senza la benzina, la vita rovinata per sempre. E la sua famiglia invece che ricevere conforto è stata accusata di averlo reso un omicida. Prego Dio che oltre alla vita già spenta di Giulia non se ne perda un’altra, con ancora tanti anni davanti, che è quella di Filippo. Prego Dio che si ravveda, che scopra che la bontà infinita ha sì gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei, come dice Manfredi. Perché dovremmo augurare ogni male a questo assassino? Solo perché il Male ha già vinto su di noi. Che sia fatta giustizia, è evidente, non basta. Occorre che l’Amore vinca.

Di solito ci vuole tempo, lo fa in silenzio e non dà notizia.

Carlo Simone Milano

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Gentile direttore, la terribile vicenda di Giulia e Filippo ha scioccato il paese e sta riempiendo pagine e pagine di giornali. Siamo tutti indignati e arrabbiati perché così non si può, così non va assolutamente bene. Sentiamo di dover fare qualcosa, dobbiamo trovare le ragioni, i colpevoli, snidarli e cacciarli per sempre dal nostro sistema. In tanti, si tuffano a pesce ad indicare le cause che, guarda caso, sono proprio quelle che loro stessi stanno dicendo da tempo. Il maschilismo, il patriarcato, la mancanza di educazione scolastica. Ma… siete mai stati a scuola? Avete mai percepito la distanza incolmabile che normalmente si crea tra la predica del professore (ammesso che se ne trovi uno capace di farla come si deve) e il cuore di quell’alunno della quinta fila che ieri ha affrontato problemi giganteschi di solitudine e abbandono? Patriarcato? Avete minimamente presente di quale stoffa è fatto il nostro tessuto sociale? Di quali padri stiamo parlando? Dove sono? Nel nostro amato paese ogni cinque minuti una coppia si separa. Avercene di padri! Ormai è un lusso riservato a ben pochi figli. Lasciamo stare poi le patetiche richieste di scuse di qualche noto personaggio, scuse fatte a tutte le appartenenti alla categoria “donna”, da costoro in quanto appartenenti alla categoria “uomo”. Scuse delle quali nessuno se ne farà mai nulla, il cui unico scopo è quello di auto-accreditarsi tra i “buoni”, distinguendosi dai cattivi maschilisti. Una bella medaglietta acquistata ad un prezzo veramente vantaggioso, cioè zero.

Il vero gigantesco problema alla radice di quel narcisismo di cui ha parlato dalle pagine del suo giornale Vittoria Maioli Sanese, il vero scandalo al quale non riusciamo a porre rimedio, il vero insolubile nodo, semplice e antico, è uno solo: il male. La presenza tremenda del male nel mondo. Il male della guerra, il male degli altri, il male di Filippo. Il male nostro. Piccolo o grande, pubblico o privato. Cambia l’effetto, ma ne resta, unica e angosciante, la natura. Quell’atroce ingiustizia che mette fine irreparabilmente alla vita di un innocente così come quella meschinità che ci può far tradire un amico in nome di uno squallido interesse personale. Quel male lì. Quello è la radice del problema. E si capisce che la domanda si pone ad un livello profondo, un livello al quale i nostri pensieri da molto tempo non sono più abituati, un livello estremamente umano, un livello religioso, disertando il quale ci verrà inevitabilmente impedito di porci nel modo giusto davanti al problema. Disertando il quale ci sarà impossibile capire che quel Filippo, è anche lui un figlio. Quel mostro lì, è anche lui un uomo, un poveretto la cui vera natura, come la mia e la tua, è quella di implorare quel Qualcuno che finalmente, da quel male ci possa liberare.

Andrea Matteoni Riccione

Grazie a Mario Dupuis, Carlo Simone e ad Andrea Matteoni. Le loro lettere mi confermano che c’è più saggezza, umanità e carità in una posizione adulta consapevole che non in tutti i bla bla bla sul patriarcato di cui sono piene le pagine dei giornali.

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Egr. sig. Cavallari e per interposta all’adolescente Amelia, ho letto con interesse la lettera di Amelia, devo dire ben scritta, segno di una cultura classica che non tutti possono avere o permettersi. La lettera è una sorta di elenco di inadempienze che gli adulti (tutti?) hanno a loro carico. Ci chiama “padroni autorevoli” anche se il più delle volte siamo schiacciati dalla realtà, impossibilitati a ribellarci a ingiustizie sul mondo del lavoro o in altri ambiti.

La realtà è a volte ingiusta, scusateci se il più delle volte tornati dal lavoro vorremmo un po’ di tranquillità e, nonostante questo, cerchiamo di ascoltare e di capire i figli con le loro intemperanze giovanili e loro irruenza semplicistica nel giudicare le vicende del mondo. È bello essere green senza rinunciare agli stivali di gomma, agli imballaggi di plastica, avere frigoriferi ed elettrodomestici alimentati a corrente elettrica (perdonatemi sono un ingegnere e non credo che si possa eliminare la nostra dipendenza al petrolio e suoi derivati almeno nei prossimi decenni, in tal senso basterebbe capire quanto costa anche in termini ecologici dalla produzione allo smaltimento una auto elettrica o un pannello solare..).

Ciononostante, con il tempo abbiamo imparato ad accettare il mondo in cui viviamo anche se non ci piace e come tutti (anziani-geriatri e giovani) subiamo la dipendenza delle nuove tecnologie, utilizzare un’app non significa capire come è fatto un algoritmo semmai si può utilizzarlo con tutte le conseguenze-dipendenze del caso.

La studentessa Amelia di cui riconosco una buona capacità di discernimento e di cultura, immagino (e spero per lei) che non viva in un tugurio fatto di rami e foglie, ma in un appartamento riscaldato, che abbia a disposizione servizi e cibo non sempre scontati, almeno in buona parte del mondo. È vero, non sempre vi capiamo, ma siete nostri figli e cerchiamo di carpire le vostre aspirazioni e i vostri desideri anche quando – e capita spesso – cambiate opinione, la vita ha molte sfaccettature, le sue contraddizioni, si può sbagliare, il male per fortuna non è assoluto e grazie a Dio c’è il perdono e la misericordia.

Personalmente sono grato agli amici che ho attorno e alla loro compagnia, anche se può sembrare desueto ringrazio Dio per i miei difetti (diversamente sarei perfetto e in grado di dare giudizi inappellabili su ciascuno).
Pazienza, dunque: la partita si gioca sulla lunga distanza e qui non siamo nemmeno tennisticamente parlando che ai prime games. Un saluto e un augurio di proficui studi filosofici.

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