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«Bruciate tutto». L’odio e una nuova Rivoluzione culturale

Per Giulia non fate un «minuto di silenzio» ma «bruciate tutto». «Ora serve una sorta di rivoluzione culturale». Concediamo l’emozione e la rabbia, il dolore per la morte della sorella, però queste parole sono l’esatta fotografia di quanto accaduto in questi giorni. Il protagonista è l’odio, ma non l’odio verso una persona, verso il responsabile dell’assassinio, ma l’odio contro la società, cioè contro la “cultura del patriarcato”, di cui l’ex fidanzato di Giulia sarebbe una semplice espressione.

E’ un film già visto. Un terribile delitto, una ferita profonda, un dolore sconvolgente. Poi una lunga ondata di proteste, un’emotività continuamente sollecitata e un nemico, anzi “il nemico”, la cultura del patriarcato. Nessuno sa che cosa veramente significhi questa espressione, che è un modo di organizzare una società prevalentemente stanziale, basato su una famiglia allargata e “allungata” alle diverse generazioni, un tipo di società che oggi non esiste più in Occidente. Se ne potrebbe discutere, come di ogni cosa, ma non si può: se sei “per il patriarcato” (chissà che cosa s’intende) sei “fuori”, non hai diritto di parola, perché sei responsabile di tutti gli stupri, delle sopraffazioni e delle discriminazioni verso le donne. “Sei fascista” si sarebbe detto 50 anni fa.

Sappiamo come è andata a finire allora. Dopo il Sessantotto è venuto il terrorismo, figlio di quella violenza a lungo predicata e praticata. Ma soprattutto sono stati cambiati la mentalità e i costumi dell’intera società: sono venuti il divorzio e l’aborto, l’eutanasia e l’ideologia gender. Il terrorismo è stato sconfitto, la destra politica che allora non aveva diritto di parola oggi governa, ma quei pretesi diritti sono rimasti ben radicati in buona parte della popolazione e sono diventati o stanno per diventare leggi dello Stato. Fra pochi mesi uscirà un libro che racconta la storia di uno di quei pretesi diritti, la storia della legge 194, che ha legalizzato l’aborto in Italia.

L’onda emotiva sta travolgendo tutti, destra e sinistra e lo stesso silente mondo cattolico. E’ come se un divieto assoluto di fare domande, di esprimere perplessità si sia impadronito di ogni mezzo di comunicazione. Non si parla d’altro, due terribili guerre in corso non interessano più.

Non sono molti a uscire dal coro e a porre qualche domanda, a invitare a riflettere. Fra questi Luca Ricolfi, che ha fornito qualche prima statistica, ricordando che nei Paesi nordici, dove tutti i supposti diritti sono da tempo leggi dello Stato, c’è il maggior numero di “femminicidi” d’Europa. Ma poiché nessuno può sostenere che la Svezia sia un Paese dominato dalla cultura del patriarcato, allora forse varrebbe la pena di interrogarsi se non sia stata proprio questa “cultura dei diritti” a fallire. La fluidità sessuale, l’abolizione del senso del limite, il rifiuto di ogni norma morale non hanno reso migliore la società, ma è difficile sostenerlo nel clima esasperato di oggi.

Se ne può uscire? E’ singolare che nessuno, che io sappia, neppure fra i cattolici, in questi giorni abbia ricordato che san Giovanni Paolo II ha dedicato tanti interventi anche a questo problema nel corso del suo lungo pontificato. Anch’egli vedeva il pericolo che l’uomo usasse la donna come un oggetto di sua proprietà e invitava tutti gli uomini a un esame di coscienza nella Lettera apostolica Mulieris dignitatem. Ma la sua prospettiva era la comunione fra l’uomo e la donna, non la contrapposizione: una comunione che non eliminasse le differenze, ma le armonizzasse nella costruzione di una comunità d’amore fondata sul rispetto e sulla fedeltà.

Come tutti i suoi predecessori e successori, in un modo assolutamente geniale, il Papa polacco ha indicato una strada all’umanità smarrita e ferita del mondo occidentale. E’ singolare, ma a ben pensarci non è strano che non venga ripreso oggi: anche allora venne guardato con indifferenza e sospetto, e ci vollero decenni perché qualcuno cominciasse a capire quali sono state le conseguenze della Rivoluzione culturale del 1968. Quando si cominciò a comprendere, molti avevano già subito i guasti di quell’ideologia e ancora oggi ne portano le conseguenze.

Oggi non serve opporre un’onda emotiva di diverso orientamento a quella dominante, anche perché non ne avremmo i mezzi. Quello che possiamo fare è diffondere degli anticorpi culturali e una narrazione diversa, che spieghi che cosa è successo e che cosa sta accadendo. I frutti verranno quando e come Dio vorrà.

 

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