Che significa amare? È la domanda più urgente che i fatti di questo tempo provocano, soprattutto nei più giovani. E che chiama in causa ogni adulto. Da “Repubblica”, la lettera di Matteo Severgnini, responsabile di GS
Caro Direttore, davanti ai recenti fatti di cronaca, che interpellano l’umanità di ciascuno di noi, si impone una domanda: l’uomo può bastare a sé stesso? O come direbbe Leopardi “ed io che sono?” e, dunque, “che significa amare?”. L’urgenza di una risposta riguarda tutti, la famiglia e la scuola, innanzitutto, ma anche il mondo della politica e del lavoro, della cultura, dello sport e della comunicazione, perché sulla fiducia nel rapporto umano si fonda l’intera società.
Il ripetersi di tragedie come quella di Giulia Cecchettin chiama in causa ogni adulto a recuperare la coscienza dello scopo e di un rinnovato entusiasmo nel grave compito dell’educazione: offrire alle giovani generazioni l’ipotesi di una proposta unitaria di senso che essi stessi, sostenuti da una compagnia stabile, possano in prima persona verificare, avventurandosi nell’umana esistenza divenendone protagonisti.
Per questa ragione ci sentiamo chiamati a offrire, in una società plurale, il nostro contributo con una proposta di vita che introduca a riconoscere il mistero profondo, insito in ogni persona.
Il poeta Rilke spalanca ad un orizzonte di significato fecondo e promettente quando scrive: «Questo è il paradosso fra l’uomo e la donna: due bisogni infiniti di essere amati si incontrano con due fragili e limitate capacità di amare. E solo nell’orizzonte di un amore più grande non si consumano nella pretesa e non si rassegnano, ma camminano insieme verso una pienezza della quale l’altro è segno». La persona amata è «segno» non può rispondere esaustivamente al desiderio infinito di essere amato presente nel cuore umano.
L’altro è segno della sua e della mia dipendenza originaria da un Mistero più grande di noi, come ci ha insegnato don Giussani quando, ad esempio, raccontava di aver rivolto a due giovani abbracciati incontrati per strada una strana domanda: «Cosa c’entra questo con le stelle?», ridestando il nesso tra il particolare e il tutto, ridonando l’adeguata proporzione tra quell’abbraccio e un destino più grande.
«Riconoscere la profondità là dove altri scorgono soltanto l’apparenza esanime, meccanica, delle cose» (Pasolini), riconoscere l’altro come segno, realtà irriducibile, non in mio possesso, mi sospinge ad una sua “venerazione”, piuttosto che ad un consumo estenuante, finanche letale.
Quell’«amore più grande (…) pienezza della quale l’altro è segno» si è rivelato nella storia nel volto di Gesù da cui è nato il popolo cristiano che instancabilmente tenta e prega di vivere amando l’altro con gratuità; l’iniziativa del cardinale Pizzaballa, che si è offerto come ostaggio in cambio della liberazione di altre persone sequestrate, e la mobilitazione di tante persone per la Colletta Alimentare ne sono testimonianza. Nell’abbraccio di quell’«amore più grande» è possibile giungere fino a dare la vita per l’altro, piuttosto che strappargliela.
Fone: Matteo Severgnini *responsabile di Gioventù Studentesca* | Clonline.org