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Giovanni Scifoni racconta il suo San Francesco a teatro, “Superstar del medioevo”

Molti lo conoscono per il suo ruolo nella serie tv Rai “Doc – Nelle tue mani”. Meno nota la sua passione per il santo di Assisi. Giovanni Scifoni, attore e drammaturgo classe 1976, ha appena debuttato a teatro con uno spettacolo dedicato al patrono d’Italia che girerà tutto il Paese

Molti lo conoscono per il suo ruolo nella serie tv Rai Doc – Nelle tue mani, ma forse non sanno della sua passione per il teatro e per San Francesco. Giovanni Scifoni, attore e drammaturgo classe 1976, ha appena debuttato a teatro con il nuovo spettacolo FRA’. San Francesco, la superstar del Medioevo, in tournée fra i vari palchi d’Italia fino all’11 aprile 2024.

Dedicato alla vita del poverello di Assisi e alla sua incredibile arte oratoria (grazie alla quale riusciva, in un’epoca sprovvista di social e telecomunicazioni, a richiamare da lontano migliaia di persone), FRA’ è un concentrato di fede, risate e musica: a noi di Famiglia Cristiana Scifoni ha raccontato cosa lo ha spinto a portare in scena il santo più famoso del mondo, scardinando un po’ l’immaginario comune che lo avvolge e presentandolo al pubblico come una vera e propria popstar dei suoi tempi.

Martedì 28 novembre è andata in scena la prima dello spettacolo. Come è andata?

«Benissimo, sto amando questa rappresentazione sempre di più. Il gruppo che mi segue è formato da persone stupende: Francesco Brandi ha curato la regia, il musicista Luciano di Giandomenico ha recuperato antiche laude medievali e le ha ritradotte in chiave moderna, Maurizio Picchiò e Stefano Carloncelli sono sul palco insieme a me e a Luciano per suonare strumenti antichi… si lavora molto bene, ci divertiamo. E poi, per me è stato un privilegio fare la prima di FRA’ a Gubbio».

Il sottotitolo della pièce, la superstar del Medioevo, è piuttosto originale: non è così comune accostare l’idea di popstar a San Francesco…

«Eppure è così, non sto dicendo una cosa di mia invenzione. San Francesco da vivo era uno degli uomini più famosi della terra, da morto è diventato il santo più celebre del mondo… se chiedi a un laico anticlericale o a un vecchietto che gioca al videopoker al bar chi è il suo santo preferito, lui ti risponderà: “San Francesco”. Parliamo di una figura che ha travalicato i secoli, che non è mai passata di moda. I francescani sì, loro hanno avuto un sacco di problemi, ma lui no: è sempre stato amato follemente, da chiunque. Anche perché ai suoi tempi San Francesco richiamava numeri impressionanti. Non dobbiamo pensare ai Måneskin che riempiono gli stadi, ma a un uomo che da solo attirava più di 5mila persone, che giungevano ad Assisi solo per sentirlo predicare».

Lo spettacolo dura circa 90 minuti. Quali sono i temi principali che vengono toccati?

«Io mi sono approcciato alla figura del santo anni fa, e lui mi ha “sequestrato”. Fra i miliardi di temi che ho analizzato, quello meno affrontato ma che mi ha colpito di più è stato il rapporto di Francesco con l’arte, con la fama, con l’ego. Lui ha combattuto tutta la vita contro le tentazioni del successo e del potere, ma nella parte finale della sua vita, quando ha iniziato a vivere l’esperienza del fallimento, ha lasciato che altri continuassero l’opera che Dio gli aveva affidato. Chi riesce a rinunciare al consenso? Alla propria opera? Al suo grande capolavoro? Nessun santo è morto senza essere a capo dell’ordine da lui creato, ma Francesco sì».

È uno spettacolo ironico?

«Sì, ma è anche uno spettacolo giullaresco, visto che parleremo della risata di Francesco. Lui quasi obbligava i santi a ridere, diceva cose come “Dovete ridere, altrimenti non siete veri cristiani!”. A un certo punto si sono pure dovute introdurre delle punizioni per chi rideva troppo! Era un personaggio fuori da qualunque schema».

Come si parla di fede a un pubblico eterogeneo, senza rischiare da un lato di offendere i credenti, dall’altro di annoiare i laici?

«C’è un unico sistema: te ne devi fregare. Devi fare quello che commuove te, che fa ridere te, altrimenti non funziona nulla. A me, ad esempio, fa ridere che quando San Francesco non sapeva cosa dire si metteva a parlare in francese. Farà ridere anche il pubblico? Non lo so, però fa ridere me, ed è questo che conta. Non è che tutti dovranno venire a vedermi. C’è qualcuno che si offenderà, vedendo il mio spettacolo? Certo, ma se nessuno si offende, vuol anche dire che nessuno ride. Come cattolici abbiamo un grande problema di ricerca del consenso, di cui invece dovremmo liberarci il prima possibile».

Lei ha definito San Francesco un artista. Cosa c’è di quel santo in Giovanni Scifoni?

«Sento di avere lo stesso suo problema con l’ego, con la vanità: quel demonio contro cui lui combatteva lo sento molto presente in me. Una cosa che mi piace moltissimo di San Francesco e che io condivido è la sua frase “Non voglio possedere niente, perché se posseggo qualcosa poi devo avere armi per difenderla”. Attenzione, questo non vuol dire che Francesco amava la povertà – quando gli offrivano un bel cinghiale arrosto, lo mangiava eccome! (ride, ndr) – ma che non amava il possesso. Io come lui riesco a godere delle cose quando non sono mie, quando non le possiedo, quando sono condivise».

Fonte: FamigliaCristiana.it

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