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Nessun Me too per le donne israeliane violentate da Hamas

Abusate, rapite, uccise. Eppure il mondo occidentale tace sui crimini dei terroristi contro le donne. Le femministe israeliane si sentono tradite: «Perché non capite?»

Yoni Saadan, 39 anni, era al rave vicino a Gaza teatro del massacro di Hamas. Per otto ore ha finto di essere morto, nascosto sotto i corpi senza vita dei suoi amici. Ha visto i terroristi stuprare le ragazze. Abusare in modo inumano delle sue amiche. Ora ha potuto raccontare tutto al Procuratore della Corte di Giustizia internazionale che è giunto da pochi giorni a Tel Aviv, convinto dall’avvocato delle famiglie degli ostaggi, Yuval Sasson, a venire a vedere i filmati diffusi dalla stessa Hamas e ad ascoltare le voci dei testimoni e degli ostaggi, delle donne, liberate.

«Una catena di orrori – ci dice il legale – sulle quali chiediamo che sia aperta un’inchiesta formale. E sia aperta subito, che sia aperta da ieri, non da oggi. Ci sono ancora donne e bambini nelle mani dei terroristi». E c’è il sospetto che Hamas sia restia a rilasciare le donne perché non si aggiungano altre testimonianze ai loro crimini, scrive Yoav Zitun sul sito Ynetnews, Nessuno sa cosa stia accadendo in quei famigerati tunnel. Le autopsie che si stanno eseguendo sui cadaveri mostrano orrende e irreperibili mutilazioni e torture subite dalle donne, anche incinte, prima di essere ammazzate dai terroristi.

Le bandiere palestinesi

Eppure per tanti giorni dal mondo occidentale non si sono udite le voci di chi vuole difendere le donne. In piazza le femministe si sono scagliate soprattutto contro Israele per le donne arrestate e imprigionate per terrorismo in Cisgiordania. Poche o nessuna parola per le donne abusate e massacrate. Poche o nessuna per i loro assassini.

«Per anni abbiamo chiesto che il mondo aprisse gli occhi su quanto accadeva a Gaza, su come venivano trattate le donne dai fondamentalisti. Eppure nulla. Di Gaza si sentiva parlare solo per condannare Israele», dice Hanna, una militante femminista scesa in piazza a Tel Aviv dopo aver visto le manifestazioni di Parigi, con le bandiere palestinesi sventolate a difesa dei diritti delle donne. «Mi sono vergognata», dice Shreen, una ragazza araba, «quando ho visto le bandiere palestinesi portate in piazza a sostegno di Hamas. Io da tempo combatto per i diritti delle donne in Palestina, e non è facile: ma la donna è importante anche e soprattutto qui. Ci sono cooperative di donne che sostengono le famiglie, che lavorano insieme, perché tanti uomini sono disoccupati, soprattutto dopo il Covid. È questo ci ha dato la forza di rivendicare i nostri diritti. Di essere padrone di noi stesse. Quello che è accaduto contro le donne è terribile. Come è possibile che non lo capiate in Europa?».

Dove sono le femministe?

Le organizzazioni femminili israeliane hanno costituito la “Commissione civile per i crimini di Hamas contro le donne”. «Dove sono i movimenti femministi?», chiedono. «Dov’è il movimento Me too? Perché sono stati così silenziosi su Hamas? Perché l’anchorwoman della Cnn, Christiane Amanpour, sempre molto aggressiva nei confronti di Israele, non ha detto una parola sui crimini sessuali perpetrati da Hamas?».

Haaretz, giornale della sinistra israeliana, rilancia un podcast di Allison Kaplan Sommer, che ha lavorato dodici anni nella commissione delle Nazioni Unite contro ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne. Dichiara di sentirsi «completamente tradita dalle organizzazioni dei diritti delle donne con cui ha lavorato per anni che hanno fallito nel condannare – o perfino nel riconoscere – lo stupro, il rapimento e altre atrocità commesse da Hamas il 7 ottobre. Oltretutto, i crimini, diversamente dalle violenze sessuali dei precedenti conflitti, erano stati filmati dai terroristi di Hamas e trasmessi sui social, così che l’orrore era subito emerso». Ed era una prova certa che molto spesso si deve ricostruire a fatica negli altri conflitti.

«L’Onu ha la missione di proteggere le donne dalla violenza, di denunciare quando ci sono stupri, ma riguardo a quello che hanno subito le donne israeliane c’è stato un completo silenzio. Ma restando in silenzio, non soltanto discriminano le donne israeliane, ma danneggiano tutto il sistema perché perdono credibilità».

Il post e la giornalista egiziana

“Credete alle donne israeliane”, #believeisraeliwomen, è lo slogan delle femministe israeliane.

La loro mobilitazione ha costretto Un Women, l’ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere, a cancellare un post sul massacro in cui si condannava la violenza ma senza nominare Hamas limitandosi a dire che tutte le donne, israeliane e palestinesi, avevano diritto a vivere in pace. Ora un nuovo post cita esplicitamente Hamas, ma ci sono voluti quasi due mesi, e l’indignazione delle donne israeliane, nonostante i filmati diffusi dagli stessi terroristi che orgogliosamente mostravano a tutti gli abusi e le violenze, gli stupri e le donne sgozzate, persino le violenze sui cadaveri.

E poco si è saputo di quanto è accaduto a una giornalista e scrittrice egiziana, Dalia Ziada, costretta a fuggire dal suo paese per le minacce di morte. La sua colpa: un intervento ad una conferenza ad un centro studi sul Medio Oriente in cui ha condannato Hamas augurandosi che la milizia fosse definitivamente sconfitta per il bene dei palestinesi. I social l’hanno bombardata di insulti, accusandola di essere una traditrice e una spia: soprattutto una donna. Una donna che parla e pensa. Ma anche per lei non ci sono stati Me too.

Fonte: Caterina Giojelli | Tempi.it

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