Credo nella buona fede della maggior parte delle persone che si pongono il problema di evitare che vengano uccise delle persone, in generale, e in particolare che vengano uccise donne da uomini che le hanno amate o desiderate in modo patologico. È ovvio, non credo ci sia nessuno che non sia addolorato di fronte a questi fatti, e tutti vorremmo fare qualcosa per evitare che si ripetano.
Credo però che ci sia chi vuole approfittare di questa vicenda, come certo mondo femminista e certi militanti omosessualisti, e poi credo che ci sia chi improvvisa, e per esempio si lascia condizionare dall’emotività di chi ha perso una persona cara, come i familiari di Giulia, che pur meritando tutta la nostra solidarietà del mondo, non per questo diventano dei fari spirituali: arrivare a far leggere la lettera del padre nelle classi, o citarla nell’omelia durante la messa – sentito con le mie orecchie – no, proprio no. Questo gravissimo delitto – gravissimo, straziante, dolorosissimo – non può essere elevato a sistema (“gli uomini sono tutti violenti”), e di conseguenza non si possono proporre soluzioni che partono dal presupposto che si tratti di un fatto diffuso, e che si possa prevenire con delle azioni di massa. L’assassino si era già rivolto ad alcuni terapeuti, quindi evidentemente la psicologia non basta. L’assassino non era un patriarca, un uomo di potere, ma al contrario un ragazzo in una posizione inferiore – quanto a successo negli studi – rispetto alla vittima. Come possiamo parlare di patriarcato o di rieducazione? Sono proprio categorie sbagliate, che non c’entrano nulla.
Proviamo a riavvolgere il tempo per tre mesi, poniamo. Siamo a settembre. C’è un ragazzo ossessionato dalla ex. Avere fatto dei corsi a scuola potrebbe salvarlo dall’abisso, se non sono riusciti diversi psicologi in un lavoro uno a uno? Cosa potremmo fare, oggi, per impedire quello che è successo? Chi mai si aspetterebbe che dietro un ragazzo “per bene” si nasconde una furia capace di tanta crudeltà? La verità è che la società di oggi si illude di sterilizzare il male, di cancellare il mistero della sofferenza (eutanasia, eugenetica, che brivido quel prefisso eu), di educare l’essere umano con delle buone norme. La differenziata, l’inclusività, la correttezza.
La verità è che il cuore dell’uomo è un mistero, è un abisso. La verità è che l’amore è un sentimento molto forte, violento direi, che scatena il possesso, in tutti, uomini e donne, pur in modalità diverse. Fino a qualche decennio fa un esoscheletro – quello della società chiamiamola borghese – ci conteneva tutti. Eppure comunque il male esisteva. Oggi abbiamo rimosso il senso del limite, l’orizzonte ultraterreno è stato asfaltato totalmente, siamo in un deserto di regole e prospettive che ci illudiamo di far fiorire con dei corsi di buone maniere, imposti dalle agende dettate dagli organismi sovranazionali. Ma il cuore dell’uomo non si guarisce e non si accontenta di questo, è un mistero, il male purtroppo esiste, e non ci sono corsi che tengano. Lo mostrano i paesi del nord Europa dove il fenomeno della violenza sulle donne è molto più grave che in Italia, eppure la parità di genere è attuata alla grande, in certi casi si sono dovute ristabilire le quote blu, invece che rosa. Eppure non ha funzionato.
Dare una risposta strabica a questo dramma, cercando di raccontare gli uomini come tutti cattivi, e le donne tutte buone, e vittime (ci sono anche donne che cercano di dare fuoco alla sede di ProVita, per dire, ci sono donne che uccidono la madre, è cronaca di questi giorni, donne incapaci di custodire la vita loro affidata) non serve a nulla. L’uomo e la donna sono toccati dal male (chi crede dirà “feriti dal peccato originale”) in eguale misura, ma in modi diversi. L’uomo fa il male in modo più fisico, violento, mentre la donna può essere tentata di controllare gli altri, di manipolarli. Il punto è cercare di accogliere i nostri limiti, l’egoismo maschile e la volontà di controllo femminile, chiedere la grazia di imparare ad amare, e per farlo occorre necessariamente lavorare sulle diversità.
Usare questi terribili episodi di cronaca per raccontare una subalternità femminile non è leale. Le donne oggi stanno vivendo una stagione di grandi possibilità, e basta lamentarci! Siamo libere, possiamo decidere di fare qualsiasi cosa, studiare, scoprire il mondo, fare imprese sportive o guidare governi, niente ci è più precluso.
Una richiesta di parità lamentosa come quella della retorica comune nega la realtà, semplicemente. Vedevo ieri una pubblicità che denunciava la mancata parità di guadagni tra uomini e donne nello sport. Il cartellone pronosticava il raggiungimento della parità nel 2155. Io mi sono messa a ridere da sola, pensando a mio marito costretto a vedere una partita di calcio femminile al posto della Champions: il calcio maschile è mille volte più bello da vedere, perciò la gente lo guarda, perciò gli sponsor investono su una cosa che la gente guarda, perciò gli atleti sono più pagati. Punto, Non è un complotto: il gesto di un Messi non lo farà mai nessuna donna, Djokovic è maschio, c’è un abisso fra uomini e donne nello sport e ci sarà sempre. È naturale che sia più bello da vedere lo sport maschile (a parte, che so la ginnastica artistica) e il mercato ne tiene conto.
Aggiungiamo un tassello contro la retorica sul patriarcato: non credo che oggi ci sia in giro un solo padre che non sappia cambiare un pannolino. Magari lo fanno con meno piacere delle mamme, perché la cura è scritta nel cuore femminile, mentre la protezione lo è in quello maschile. Però lo sanno fare, a differenza di cinquanta anni fa (quando peraltro i pannolini non c’erano, e le donne si dovevano occupare di lavarli). E vedo ovunque padri presenti, che sono coinvolti nell’educazione dei figli e nella gestione di tutto (a volte con il rischio addirittura di pendere più sul versante della cura che non su quello della guida). Quindi, di quale patriarcato esattamente stiamo parlando? Se a partire da episodi isolati facciamo una diagnosi sbagliata, proponiamo inevitabilmente una cura sbagliata.
Infine, per quanto riguarda l’educazione a scuola, che dire? Chi la propone non conosce i ragazzi, evidentemente, che sono insofferenti alle nostre prediche, e con proposte poco attraenti si rischia l’effetto opposto. I ragazzi vogliono essere infiammati di desiderio verso un bene e una bellezza maiuscoli, se ne fregano delle nostre regolette. Principalmente da noi vogliono vedere che viviamo con coerenza per una bellezza che ci scalda il cuore. E questa è una cosa che non si insegna con i corsi, ma solo con la vita, e quindi spetta ad adulti che vivano con i ragazzi una vita che dimostri di valere la pena (perché la vita è anche una pena, la croce esiste, la grande rimossa…). Nessuno a scuola educa a rubare o uccidere eppure nel mondo succede continuamente. I ragazzi sono cercatori di Assoluto, e noi adulti non ne siamo testimoni credibili, purtroppo.
Detto questo, tutto ciò non c’entra col mistero del male che è scattato nella testa di un ragazzo, purtroppo. Non ci sono corsi che tengano, di fronte al Mistero. Magari se ne potessero fare…
Fonte: CostanzaMiriano.com