Aristotele diceva che il sapere – la filosofia – nasce dalla meraviglia e il presepe fu inventato, esattamente 800 anni fa, proprio da un uomo, frate Francesco, pieno di stupore: per il sole, la luna, le stelle, i campi fioriti, per sorella acqua o per frate foco, ma soprattutto perché Colui che aveva creato tutto questo, l’onnipotente Dio, si è fatto uomo per salvarci.
Piccolo bimbo nel grembo di Maria, nacque, come il più misero, in una stalla, con degli animali, il loro sterco, il loro fiato, il loro odore, la paglia sporca. In una mangiatoia, al gelo dell’inverno.
Francesco era sconvolto da un così vertiginoso abbassamento, da questa inaudita autoumiliazione di Dio. Ancor più gli scioglieva il cuore pensare che quel bambino, diventato grande, il Maestro, era stato crocifisso come il più malfamato dei criminali, aveva subito torture disumane, sputi e insulti.
Dicono le Fonti Francescane:
Meditava continuamente le parole del Signore. Ma soprattutto l’umiltà dell’Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro.
Quello che era accaduto gli sembrava meraviglioso e sconvolgente. Tutte le religioni esprimono la tensione dell’umanità verso il Mistero, per scalare il cielo. Invece il cristianesimo è l’opposto: il cielo che viene sulla terra. È una notizia storica. Sono avvenimenti concreti.
Una volta Benedetto XVI ha detto: “’Il Verbo si fece carne’ è una di quelle verità a cui ci siamo così abituati che quasi non ci colpisce più la grandezza dell’evento che essa esprime. E’ importante allora recuperare lo stupore di fronte a questo mistero, lasciarci avvolgere dalla grandezza di questo evento: Dio, il vero Dio, Creatore di tutto, ha percorso come uomo le nostre strade, entrando nel tempo dell’uomo, per comunicarci la sua stessa vita. E lo ha fatto non con lo splendore di un sovrano, che assoggetta con il suo potere il mondo, ma con l’umiltà di un bambino”.
Francesco ne era incantato. Così, alcuni giorni prima di Natale, nel 1223, disse a un suo caro amico, Giovanni, che abitava a Greccio:
Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello.
Giovanni fece così e arrivò “il giorno delle letizia”. Dicono le Fonti:
(vennero) molti frati da varie parti; uomini e donne festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte… Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
I frati cantano, tutti gioiscono, Francesco è “estatico davanti al presepio”. Poi il sacerdote inizia la celebrazione dell’eucaristia, Francesco – che è diacono – legge il Vangelo di Natale, poi parla al popolo:
con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù infervorato di amore celeste lo chiamava ‘il Bambino di Betlemme’, e quel nome ‘Betlemme’ lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva ‘Bambino di Betlemme’ o ‘Gesù’, passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole.
Il presepio di Greccio realizza il desiderio di “vedere con gli occhi del corpo” il Salvatore (sono le precise parole di Francesco). E poi, la messa, la consapevolezza della sua presenza reale che continua nell’eucarestia e nei fratelli (il mistero della Chiesa).
L’appassionato desiderio di Francesco di vedere, toccare, abbracciare la concretezza del Salvatore, di Dio fatto carne, che sia il Bambino nella stalla di Betlemme o il Crocifisso, esprime il cuore del cristianesimo.
Oggi lo accuserebbero di “fondamentalismo” perché ascoltava il Vangelo alla lettera, “sine glossa” (c’è scritto: date tutto ai poveri e seguitemi? Francesco fa letteralmente così. C’è scritto: a chi vi schiaffeggia porgete l’altra guancia? Francesco fa così).
Il suo stare alle precise parole di Gesù e all’evento nudo e crudo, alla concretezza dell’Incarnazione e della Passione, fu un ciclone per il popolo cristiano che con lui riscoprì il cuore della sua fede.
Cambiò anche la storia della nostra civiltà. Il realismo di Giotto – che è l’inizio dell’arte figurativa moderna – è inimmaginabile senza la spiritualità francescana (non a caso è il suo ciclo di Assisi che segna la svolta).
Un grande e acuto intellettuale ebreo, George Steiner ha scritto: “le filosofie occidentali dell’arte e la poetica occidentale, traggono il loro idioma secolare dal sostrato del dibattito cristologico (…). Il postulato della kenosis di Dio attraverso Gesù e dell’inesauribile disponibilità del Salvatore nell’ostia e nel vino dell’eucaristia condizionano non soltanto lo sviluppo dell’arte e della stessa retorica in Occidente, ma, a un livello ben più profondo, quello della nostra comprensione e percezione della verità dell’arte”.
Steiner parla di “rivoluzioni della sensibilità… Dopo Cristo, la percezione occidentale della carne e della spiritualità metamorfica della materia si altera. Il volto e il corpo dell’uomo non vengono più tanto visti come creati a immagine di Dio… quanto a immagine del Figlio luminoso o torturato… Una profonda rivoluzione nei valori visuali e tattili, nei significati sensoriali e nella loro espressione anche linguistica.… Nelle civiltà cristiane la residenza del sé nella sua carnalità è stata resa radicale e paradossale”.
Nel presepio c’è tutto questo. Vi è proclamata l’intangibile sacralità della persona umana.
Fonte: AntonioSocci.com