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Le tre dimensioni del fenomeno “morte”

Il tema della morte ha una rilevanza unica tra le grandi domande che segnano la nostra esistenza umana. Si tratta letteralmente di uno scandalo, una pietra d’inciampo che chiede a ciascuno di fermarsi e interrogarsi sul senso della propria vita. In questi brevi paragrafi, tratti dalla nostra raccolta Toccati dall’invisibile (pagine 357-361), con una profondità teologica unica, Joseph Ratzinger (Benedetto XVI) ci mette di fronte al mistero dell’amore di Cristo come unica strada per trovare salvezza e speranza di fronte alla realtà sempre dolorosa della morte.

Qual è il momento in cui l’essere umano apprende che cos’è la vita? Lo apprende nel momento dell’amore, che per lui si trasforma insieme in momento della verità, della scoperta della vita. Il desiderio di immortalità non scaturisce dall’esistenza solitaria, racchiusa in se stessa e quindi insoddisfacente, bensì nell’esperienza dell’amore, della comunione, del Tu. L’amore si fonda sulla dedizione, sulla donazione, sull’impegno che il Tu esige dall’Io, e viceversa. La scoperta della vita presuppone quindi un superamento dell’lo, e l’uomo vi può giungere solamente quando abbandoni se stesso e rinunci a sé. Per cui, se il mysterium della vita si identifica con il mysterium dell’amore, esso è pure connesso in qualche modo col morire.

Con ciò si torna nuovamente al messaggio cristiano della croce. Esso interpreta la morte insegnandoci a vedervi qualcosa di più che soltanto il punto finale della nostra esistenza biologica. La morte è costantemente presente nell’inconsistenza, nella chiusura e nel vuoto della nostra vita quotidiana. La sofferenza fisica e la malattia, che annunciano la morte, minacciano la nostra vita vera meno di quanto lo faccia un’esistenza vissuta senza prendere coscienza di noi stessi, la quale squalifica la promessa della vita e conduce infine nel vuoto. […]

Il fenomeno “morte” si configura allora in tre dimensioni molto differenti: la morte è presente quale nulla di un’esistenza vuota, che finisce per essere vita soltanto in apparenza; la morte è presente quale processo biologico del dissolvimento che si protrae per tutta l’esistenza, si manifesta nella malattia e si conclude con la morte fisica; infine la morte la s’incontra nell’esperienza dell’amore che rinuncia a se stesso per donarsi all’altro: la incontriamo pure nella rinuncia al nostro vantaggio per amore di verità e di giustizia.

Con ciò sorge la domanda: in quale modo questi tre aspetti della morte si collegano fra di loro e come devono poi essere riferiti alla morte di Gesù? Nella risposta a questa duplice domanda dovrà chiarirsi l’interpretazione cristiana della morte. Il nostro punto di partenza dev’essere il secondo punto, ossia la componente biologica dell’humanum,poiché è anzitutto in essa che alberga la morte. La sofferenza, la malattia, se possono, da un lato, paralizzare l’uomo in quanto tale e dissolvere non soltanto il suo fisico, ma anche la sua psiche e il suo spirito, possono però, dall’altro lato, anche porre fine alla contentezza di sé, all’intorpidimento del suo spirito e indurlo così a prendere coscienza di sé (ponendolo concretamente e inevitabilmente di fronte al dato di fatto di non poter disporre della propria vita, che la propria vita non gli appartiene). Il confronto con il dolore è il vero luogo dove si decide ciò che è umano. […]

II confronto con la morte fisica rende l’uomo conscio della struttura di fondo del proprio essere. Lo pone dinanzi alla scelta di accettare la struttura “amore”, oppure di contrapporle la struttura “potere”. […] E il Dio che muore egli stesso nel Cristo è il Dio che dà compimento alla struttura “amore” oltre ogni aspettativa e giustifica quindi la fiducia la cui unica alternativa sarebbe, in ultima analisi, l’autodistruzione. Il cristiano partecipa, morendo, alla morte del Cristo. Questa formula tradizionale acquista ora un senso concreto: quel potere di cui l’uomo non può disporre e che delimita ovunque la sua vita, non è una cieca legge della natura, bensì un amore che si è donato a lui al punto da essersi immolato per lui. […]

II cristiano sa che egli può coordinare la propria non-appartenenza, di cui si accorge a ogni passo, all’atteggiamento di fondo d’un essere creato per l’amore che, proprio fidando nel dono gratuito dell’amore, si sa al sicuro. La morte, quel nemico dell’uomo che vuole rapinarlo sottraendogli la vita, è vinta quando l’uomo affronti l’avventura della morte con l’amore fidente e trasformi così la rapina in aumento di vita. La morte come tale è vinta nel Cristo per l’autorità che gli viene dall’amore infinito; essa è vinta là dove si muore con Cristo e nel Cristo. Per cui l’atteggiamento cristiano contrasta con il desiderio moderno di una subitanea mors, che fa della morte un momento ristretto e vuole così bandire dalla vita la metafisica: accettando la morte, che durante l’intera esistenza è sempre presente, l’uomo matura per la vita vera, per la vita eterna.

Fonte: FrancescoMacri.com

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