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Liberi dalle mode del mondo

È sbagliato contrapporre la dottrina alla pastorale. Don Giussani era molto “aperto” proprio perché era molto ortodosso. I dogmi non sono delle prigioni, ma dei trampolini per introdursi nella Verità

Caro direttore, partecipando attivamente alla vita di Santa Madre Chiesa come povero fedele laico di strada, vedo che sta aleggiando tra il popolo cattolico una sorta di virus sorprendente e pericoloso. Un virus che tende ad oscurare quella che chiamano “dottrina”, per lasciare più spazio e visibilità a quella che chiamano “pastorale”, quasi che la dottrina fosse un pericolo per “l’apertura” pastorale. Questa tendenza nasce spesso dal nobile desiderio di avvicinare al cristianesimo i “lontani” (preoccupazione condivisibilissima), ma ciò non attenua l’errore di dividere di fatto verità e pastorale.

Il sacerdote che mi ha introdotto nella Chiesa non ha mai nascosto la verità totale portata nel mondo da Gesù e proprio questo mi ha reso evidente che tale verità era la vera risposta positiva a tutte le mie domande esistenziali. Nel Servo di Dio don Luigi Giussani vi era totale unità tra l’adesione alla verità proclamata dalla Chiesa e l’attenzione ai bisogni di noi giovani studenti. Egli era molto “aperto” proprio perché era molto ortodosso, cioè cattolico e ciò, alla fine, ha provocato la mia conversione. Del resto, questa unità e integralità tra dottrina e pastorale è la caratteristica di tutti i santi, anche quelli contemporanei.

Nel suo libro “Perché la Chiesa” (Rizzoli, 2003, pag. 217 e segg.), don Giussani illustra come tutti i “dogmi”, lungi dall’essere una professione astratta agli occhi dell’uomo anche contemporaneo, in realtà costituiscono la migliore risposta ai problemi anche esistenziali dell’uomo di tutti i tempi. Il grande Chesterton, nel suo libro “Perché sono cattolico” (Gribaudi, 1994) afferma di essere entrato nella Chiesa cattolica per il semplice fatto che il “cattolicesimo è vero”, e, per questo, la Chiesa ha il coraggio di affermare la verità senza corromperla, anche di fronte all’incalzare delle “mode” del mondo.

Insomma, il dogma cattolico (cioè la verità) non è una prigione da cui liberarsi, ma, anzi, uno straordinario trampolino di lancio verso la cultura, la carità e la missione con cui rapportarci con il “mondo”. Le comunità cristiane dovrebbero spiegare dovutamente il significato profondo ed eterno della verità cristiana, invece di vergognarsi di essa, perché ritenuta non adatta all’uomo di oggi, finendo così con l’assumere passivamente i criteri del mondo. La Chiesa non può rinunciare alla sua “diversità” rispetto alle mode del momento, peraltro molto ballerine (tipo quella che riguarda le “coppie irregolari”).

È vero, d’altra parte, che non dobbiamo “aggredire” la gente usando i dogmi come fossero clave: ma non mi pare che oggi vi sia questo pericolo. Semmai oggi, in casa cattolica, c’è il pericolo dell’ignavia. La violenza avviene, oggi, per mano di altri, non cristiani. Abbiamo il compito di vivere innanzi tutto ciascuno di noi, “dentro” le nostre comunità, la verità che abbiamo incontrato (per grazia) e testimoniarla secondo le circostanze, a volte con il solo comportamento, a volte anche con la parola, che costituisce uno dei talenti che abbiamo in dono.

Penso che gli uomini e le donne di oggi, così disperati, abbiano l’esigenza non solo di essere “ricoverati” in una casa accogliente (ma svuotata), ma anche di incontrare la Verità di Cristo e della Chiesa, perché è tale verità che li farà liberi veramente. Liberi anche dalle mode (spesso diaboliche) del mondo.

Fonte: Peppino Zola | Tempi.it

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