Ci siamo, proprio questa mattina, dalle 10.30, si svolge a Venezia «la seduta d’aula del Consiglio regionale del Veneto con all’ordine del giorno l’esame della proposta di legge popolare sul Fine vita, promossa dall’associazione Luca Coscioni. Si tratta di un progetto di legge che disciplina “Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito”», come abbiamo raccontato ieri su queste pagine. È una proposta di iniziativa popolare che ha raccolto nel territorio veneto 9000 firme.
Come viene riportato da ANSA «l’iscrizione all’ordine del giorno è avvenuta in base all’articolo 20 dello Statuto regionale del Veneto, che al comma 6 prevede che “i pdl di iniziativa popolare (…), sui quali non sia stata presa alcuna decisione, trascorsi sei mesi dalla presentazione sono iscritti all’ordine del giorno e discussi dal Consiglio”». Relaziona la presidente della quinta Commissione, che si occupa delle politiche socio-sanitarie, Sonia Brescian, Lista Zaia. Una cosa, dunque, che sembra debba procedere per inerzia istituzionale-burocratica ma che ha invece i connotati, compresa una certa frenesia, di una battaglia politica.
L’oggetto del disegno di legge è la morte su richiesta di persone affette da gravi patologie, disabili o disperatamente titolari di una sofferenza intollerabile. Queste stesse persone sono però prima di tutto portatori di una dignità e di un valore indisponibili, e titolari di diritti di presa in carico, di assistenza a loro e ai loro familiari, di cure palliative adeguate; cure che – in continuo aggiornamento e affinamento, come sono – possono davvero accompagnare una persona nel suo tratto finale di vita, preservandone la dignità, la libertà e la ricchezza di relazioni che sostengono ogni esistenza, spegnendo o riducendo in modo significativo il dolore.
Certo, curare costa. Che sia questo, caro governatore Luca Zaia, il tema vero che l’ha conquistata e messa a capo di una battaglia che la gente veneta non merita? Facciamo così, venga con noi a dare un’occhiata al suo futuro e a quello della sua gente. Ci segua, anche mezzo addormentato, come fossimo il fantasma dei Natali futuri che molti suoi concittadini decideranno (ma davvero in piena libertà?) di non godere e che saranno aiutati a farlo da una Regione che dovrebbe essere invece il soggetto istituzionale più vicino in grado di aiutarli a vivere. Perché nella vita di tutti il dolore esiste, arriva a volte di gran carriera, si pianta in mezzo alle esistenze e chiede di essere visto, ascoltato, tolto, alleviato almeno. Ma soprattutto esige che la persona possa sperimentarne il senso. E non c’è bisogno di essere cattolici, per questo.
Partiamo dai Paesi Bassi, le va? Non è per niente quel faro di quella civiltà che, se lo lasci dire, lei sembra voler imitare in modo tragico e grottesco importandola tra i primi nel Bel Paese. Quelli che si sono presi la briga di infliggerci questi “diritti civili”, che vogliono salvarci da plotoni di medici pronti ad accanirsi su di noi con terapie più dannose che benefiche, si uniscano al viaggio. (Anche se temiamo che lo conoscano già e bene il panorama desolante che ci aspetta). Innanzitutto si è costretti a riconoscere che la “dolce morte”, dove è diventata accessibile per legge, tende a dilagare, rompendo rapidamente quegli argini farlocchi che anche nei primi casi visti in Italia sono stati ostentati come solidi: ricordate la signora “Gloria” di Treviso o “Mario” della regione Marche e ancora il triste primato della signora “Anna” di Udine? E siamo solo all’inizio. In un caso hanno spacciato per sostegno vitale un supporto intermittente alla respirazione notturna, il CPAP, che si utilizza anche per chi soffre solo di apnee notturne.
Ad aprire queste danze macabre sono stati dunque i Paesi Bassi che nel 2001 sono stati il primo paese al mondo a rendere legale e normata l’eutanasia. Sembra di sentirli i cori con le seconde voci sulla solita cover: “cosa cambia a te se uno decide di morire? Se tu non vuoi, non lo fai”. Non è così: la legge promuove il pensiero e diffonde un costume, come per l’aborto. In Olanda nel 2002 i decessi su richiesta sono stati 1.882, diciannove anni dopo erano già 7.666: significa un più 307% in venti anni. E i dati non fanno affatto presagire un’inversione di tendenza: secondo il centro dell’Aia che offre servizi di morte assistita ad almeno 1000 pazienti l’anno i casi nei prossimi anni raddoppieranno ancora.
Ma non è finita: sembra che esista una sorta di “indotto” legato alla normalizzazione dell’eutanasia: Theo Boer, bioeticista dell’Università di Groningen, ritiene che l’eutanasia legale «non solo ha portato a più morti assistite, ma potrebbe anche essere una delle cause dell’aumento del numero di suicidi». In fondo, se il messaggio dello Stato è «sono d’accordo, certe vite non sono più sopportabili» i cittadini più fragili, più in difficoltà, già propensi a sentirsi inutili se non di peso, si sentiranno incoraggiati a disperare, a cedere al desiderio, che per i più urbanizzati diventa richiesta, di togliersi di mezzo. Non la vede, caro governatore della fu Serenissima, l’angoscia organizzata in graduatorie, la disperazione disposta in innumerevoli schedari, scritta su moduli e protocollata dei tanti che arriveranno a chiedere la morte, se passerà questa sciagurata legge? E’ proprio sicuro di voler fare da apripista in questa corsa?
Non ci pare così toccato da questi appelli e allora, anche se non ha l’abbigliamento adatto a temperature rigide, ci segua ancora, andiamo in Canada. Si prepari perché qui lo spettacolo sarà ancora più spaventoso. Come prevedibile (e a questo punto il sospetto è che fosse un effetto ricercato) l’approvazione dell’eutanasia ha fatto registrare un boom di decessi, passati dai 1086 casi del 2016 ai 10064 del 2021, il che significa più dell’800% di incremento. In Canada però possiamo anche apprezzare, e la invitiamo a farlo finché è in tempo, come la legge stia diventando mentalità, tra il personale medico sanitario e nella popolazione. Prenda il caso dell’atleta paralitica Christine Gauthier: alle sue più che legittime proteste per il ritardo nell’istallarle al domicilio un montascale si è vista rispondere che tutto ciò che potevano offrirle era la morte assistita. In effetti, avrebbe in questo modo rimosso alla radice il problema di doversi recare al piano superiore della sua abitazione.
La donna non ha apprezzato questa tecnica di problem solving. E l’ironia, in questo caso, è di un’amarezza tale che ci riserveremo di sorridere in altre occasioni. Grazie a Dio e al senso comune ancora in grado di reagire a tanta assurdità e sopruso, l’opinione pubblica si è sollevata e ha fatto un bel baccano, fino a portare il caso tra le urgenze di Lawrence MacAulay, Ministro degli affari dei veterani del Canada. La donna infatti è una veterana dell’esercito canadese. I casi purtroppo sono molti altri e non tutti ricevono la stessa eco. Gliene sottoponiamo un secondo, giusto per farle capire che aria si respira al di là dell’Atlantico e farsi un’idea di quella che inizia a tirare da noi. Roger Foley, residente in Ontario e affetto da atassia cerebellare, ha avuto l’ostinazione di voler continuare a vivere, sebbene affetto da una patologia neurodegenerativa grave.
Il suo essere o non essere si è palesato sotto forma di inviti per niente velati a togliersi di mezzo, pronunciati dal personale ospedaliero che avrebbe dovuto curarlo – e opportunamente registrati dal paziente – oppure sganciare tanti schei per le cure quotidiane di cui aveva bisogno, circa 1500 dollari. Foley ha denunciato l’ospedale e ha fatto bene. Ma pensiamo a quale perversione si è raggiunta: dover protestare il proprio desiderio e diritto di vivere e di essere curati contro quelli che dovrebbero essere i principali alleati competenti in questa battaglia già di per sé dura. Non è una crudeltà inaccettabile infliggere a chi già è provato da sofferenze e difficoltà anche l’onere di difendersi da chi lo considera un impicco per continuare a vivere?
Anche in Canada, con tutta probabilità, i soldi esercitano il loro ascendente se, come riporta uno studio del 2017 uscito sul Canadian medical Association journal, il risparmio derivato dall’implementazione (si dice così, no?) del suicidio assistito si aggirerebbe intorno a 138 milioni all’anno. Fa freddo, lo sappiamo, ma resista ancora un po’: purtroppo l’effetto della approvazione e diffusione dell’eutanasia ha significato una sua sempre maggiore accettabilità e desiderabilità anche tra la gente comune, non solo come soluzione pensata per sé stessi in caso di condizione patologica invalidante, ma anche come atroce strumento di ordine e sostenibilità sociale: un recente sondaggio di Research Co. ha rilevato come il 27% dei canadesi (addirittura il 41% di quelli tra i 18 e i 34 anni) sia favorevole alla morte assistita per ragioni di povertà e il 28% (e sempre il 41% tra i più giovani) la consentirebbe per i senzatetto.
È ora di rientrare, nel volo di ritorno diamo un’occhiata rapida al Belgio che si è messo di buon passo al seguito e persino al sorpasso dei cugini olandesi. Solito trend di crescita dei casi di morte on demand, addirittura più consistente che altrove: dal 2003 al 2019 i casi di eutanasia sono schizzati di oltre il 1000% e oggi un decesso su 50 è di questo tipo. L’effetto già sconcertante, che invece era tragicamente prevedibile, è quello dell’estensione dell’eutanasia ai bambini e ai neonati, soppressi dall’equipe medica ogni volta che questa valuti che non ci sia «nessuna speranza di un futuro sopportabile» (la domanda è «sopportabile per chi?»): tra settembre 2016 e dicembre 2017, tali interventi hanno interessato 24 bambini entro il primo anno di vita, cioè il 10% dei piccoli morti a 12 mesi dal parto. La morte è avvenuta per iniezione letale.
Stessa sorte è capitata a persone che erano solo depresse o a una giovane donna diagnosticata falsamente come autistica. Il che significa che l’autismo e la depressione sono ritenuti motivo sufficiente per la richiesta o l’imposizione del suicidio medicalmente assistito. Purtroppo questi fenomeni sembrano funzionare come un mercato in cui l’offerta, promossa e sponsorizzata su diversi canali, genera una domanda. Nella seduta del Consiglio regionale del Veneto che si sta svolgendo in queste ore, caro Governatore, appena dichiarato che finora in Veneto ci sono state 6 richieste di suicidio medicalmente assistito e solo 2 sono state accolte. Non sia troppo ottimista, con la legge che approverete oggi – visti i precedenti internazionali ricordati – il rischio concreto è che si spalanchi una voragine. E allora addio agli argini.
Fonte: Paola Belletti | IlTimone.org