Il giurista; il ddl è ben impostato, al di là dei fondi occorrerà vigilare sulle capacità amministrative per evitare squilibri
Professor Sabino Cassese, lei si disse molto perplesso in un’intervista ad Avvenire del 2018 sull’autonomia differenziata per Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. La soluzione adottata con il disegno di legge Calderoli ora, invece, la convince. Cosa è mutato?
Non il ddl Calderoli, ma una legge del 2022 – risponde il giurista, ex ministro della Funzione pubblica ed ex giudice della Corte costituzionale, che ha presieduto il Comitato per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep) – ha mutato l’impostazione che era stata data al tema delle “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”, come dice la Costituzione, perché ha stabilito che occorre prima determinare i livelli essenziali delle prestazioni, poi avviare la procedura per eventualmente conferire maggiore autonomia alle regioni che lo richiedano. Chi si è adoperato a determinare i Lep ha lavorato per dare un seguito ad un referendum, quello del 2001 (sul Titolo V della Carta, ndr), per attuare una norma costituzionale dimenticata da 22 anni e per contribuire alla unificazione, non alla disunione del Paese. È un esempio di quel conoscere per deliberare che auspicavo già cinque anni fa.
È stato corretto intervenire con legge ordinaria?
Lo svolgimento storico della questione dell’autonomia è noto. Nel penultimo decennio del secolo scorso si affaccia sulla scena politica la Lega con istanze secessioniste. I quattro governi che vanno dal 1996 al 2001 impostano, promuovono e riescono a far approvare per referendum una modifica costituzionale che cancella la parola Mezzogiorno dalla Costituzione, prevede ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, infine dispone che lo Stato determini livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Dopo vari inizi sbagliati, alla fine del 2022, il governo propone al Parlamento, che la approva, una legge che condiziona l’eventuale concessione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alla previa determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, che devono garantire l’uniformità dei diritti su tutto il territorio nazionale. La modifica costituzionale c’è stata, va attuata e per questo è necessario una legge ordinaria. Il ddl Calderoli determina una procedura, fissa un percorso, non introduce ancora l’autonomia differenziata.
Può diventare una opportunità anche per il Sud?
Da nessuna parte c’è scritto che solo le regioni del Nord possono stabilire intese con lo Stato, sulla cui base una legge approvata dalle Camere a maggioranza assoluta conferisca ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. Da nessuna parte è scritto che queste condizioni particolari di autonomia debbano riguardare complessivamente tutte le materie nel terzo comma dell’articolo 117. Quindi, anche regioni del Sud possono eventualmente fruire di maggiore autonomia. L’autonomia regionale e locale è stata tra le aspirazioni di tutta la storia italiana, a cominciare dall’unità, ricordi i progetti di Minghetti (presidente del Consiglio nel 1863/64, ndr).
Ma chi sarà in grado di verificare il rispetto dei Lep e con quali criteri?
Questo è un compito che spetta allo Stato perché l’articolo 120 della Costituzione stabilisce che il governo può sostituirsi a regioni, città metropolitane, province, comuni quando lo richiede la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali. Come abbiamo visto d’altronde durante la recente pandemia. L’organo di controllo è quindi il governo centrale.
In realtà la parità delle prestazioni sul territorio nazionale già ora non è assicurata. Come fare in modo che la situazione non peggiori?
Dopo aver determinati i livelli essenziali delle prestazioni ed aver assegnato a ciascuno di essi le dotazioni finanziarie, cosa che richiederà un certo arco di tempo per non gravare sull’equilibrio di bilancio, occorrerà formare centrali di monitoraggio perché non basta dare risorse finanziarie, occorre anche assicurarsi che la capacità amministrativa non sia troppo squilibrata tra regione e regione. Infine, c’è lo strumento previsto dalla Costituzione, che ho già citato, il potere del governo di sostituirsi a qualunque livello inferiore per tutelare i livelli essenziali delle prestazioni.
Rafforzamento dell’autonomia regionale e premierato non rischiano di aumentare la scarsa valorizzazione dei corpi intermedi? Le due riforme stanno bene insieme?
La richiesta degli enti locali di maggiori forme di autonomia è giustissima. È garantita dal fatto che la Costituzione prevede che l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia avvenga sentiti gli enti locali. Non dimentichiamo che lo Stato unitario, che aveva concentrato i poteri a Roma e stabilito assetti uniformi, era quello che ha facilitato prima l’azione di Francesco Crispi e poi dello Stato autoritario. E anche per questo Alcide De Gasperi si adoperò perché lo Stato avesse un assetto regionalistico.
Fonte: Angelo Piccariello | Avvenire.it