La diffusione della violenza tra i giovani ha radici lontane:
– la messa in discussione del concetto di regola da parte di alcune teorie pedagogiche;
– il venir meno del patto educativo tra scuola e famiglia, un patto che è stato cancellato almeno a partire dagli anni Settanta;
– il venir meno della cultura del rispetto della regola: il bambino sbaglia? Ma tanto che succede? Cosa farà di male?;
– il continuo demandare l’opera educativa dei genitori a soggetti altri;
– il venir meno di proposte educative serie, capaci di intercettare i giovani e le loro famiglie;
– l’egoismo dominante la nostra società che induce tutti a rivendicare i diritti senza parlare mai di doveri;
– l’impotenza delle Istituzioni nel far passare un messaggio semplice e banale: chi sbaglia deve pagare;
– la mancata accettazione di se stessi, dei propri limiti: io sono bravo, posso fare tutto;
– la mancanza di un ideale, di una visione a lungo termine, permettetemi anche di una prospettiva di fede, per la quale tutto si riduce al qui e al subito, pertanto se il tutto e subito non vengono ottenuti, scatta la recriminazione violenta;
– il mondo dei social, l’uso incontrollato del telefono, fin dalla giovane età;
– il venir meno degli adulti, quelli veri, quelli capaci di dire dei no.
Potrei andare avanti all’infinito, queste però mi paiono le cause principali che hanno condotto ad ingenerare quella violenza che tanto caratterizza il mondo dei giovani. E a pagarne le spese sono i giovani stessi che vivono situazioni di isolamento, di disagio, di povertà non solo materiale ma soprattutto culturale. Ecco perché credo che l’unica alternativa sia una scuola in grado di tenere i giovani anche oltre l’orario delle lezioni, tramite collaborazioni con realtà esterne del terzo settore o con le stesse Forze dell’ordine, perché possano proporre alternative valide al nichilismo all’interno dei quali le generazioni nate a partire dalla seconda metà degli anni ’80 sono nate, un nichilismo che non offre opportunità valide se non l’affermazione di se stessi a scapito degli altri.
Fonte: Anna Monia Alfieri | IlTimone.org