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La scuola e tre ostacoli da superare. Primo cantiere di cittadinanza

La scuola è il primo e il prioritario cantiere per costruire la cittadinanza. Già dai 3 anni, uscendo definitivamente dal nido materno, i bambini e le bambine si trovano a confrontarsi con un ambiente affettivo inedito e nel quale iniziano a vivere le necessarie frustrazioni, incontrando adulti che non sono solo mamma e papà e compagni che non sono fratellini, sorelline e cuginetti.

La scuola rappresenta la genesi di quell’attaccamento sociale che consente di imparare a vivere rispettando gli altri e sé stessi. A scuola si scoprono le abilità che diventano il nucleo fondante della democrazia: la capacità di superare le divergenze attraverso la comunicazione, il confronto e la discussione. Lo imparano i bambini quando litigano per un giocattolo e poi trovano un giusto accordo, anche grazie all’aiuto delle maestre.

La scuola è il luogo privilegiato dove i piccoli, compresi i nati in Italia ma senza cittadinanza perché figli di stranieri, possono costruire le basi e le condizioni per vivere al meglio nel nostro Paese. In attesa che anche le norme – sulle quali questo giornale ha riaperto il dibattito – si adeguino.

Occorre uscire dall’idea che questi alunni rappresentino un peso per l’istituzione scolastica. Frasi come «ci sono troppi stranieri in quella classe» risultano pregiudizievoli e fuori misura, anche «ha troppe lacune e la famiglia non può aiutarlo» sono uno specchio delle difficoltà della scuola e non dei bambini stessi.

Diamo una svolta e facciamo in modo che la scuola sia davvero il luogo dove nasce la cittadinanza. Superiamo alcuni ostacoli.

Il primo è la scarsa frequenza della scuola dell’infanzia da parte di molti bambini di seconda generazione. Un dato a volte connesso a motivi di tradizione familiare, ossia alla necessità che i piccoli stiano con la mamma e i nonni fino ai sei anni. Ma spesso è anche, e qui si può intervenire più facilmente, un problema economico legato alle rette. Scoglio superabile se si rendesse obbligatoria la scuola dell’infanzia come in Francia e in Svizzera.

Un secondo ostacolo da rimuovere sono le “scuole ghetto”. Istituti, in genere nelle città capoluogo di provincia, dove i genitori italiani non mandano i loro figli, creando così concentrazioni di bambini provenienti da nazionalità linguisticamente molto disparate. Ma è proprio dall’apprendimento linguistico che passa un vero avvicinamento alla cittadinanza. Se un bambino di origine straniera finisce in una classe dove gli italiani sono il 10% / 20%, l’effetto linguistico full-immersion si perde e l’alunno non riesce a parlare adeguatamente la nostra lingua. Anche perché, nell’ambiente casalingo, è buona cosa che i genitori continuino a parlare la lingua delle loro origini, abitudine migliore del parlare una lingua che magari non conoscono bene. Il bilinguismo va costruito nella dialettica fra casa e scuola e non in forme forzate che non ottengono risultati.

Infine, tutti i dati statistici rilevano una maggioranza di bocciature e di neuro certificazioni nelle seconde generazioni. Bocciature e abbandono scolastico colpiscono particolarmente gli alunni maschi nati da genitori non italiani. Un dato che può essere corretto dalla scuola stessa evitando di mettere asticelle da superare che non considerano il punto di partenza di ogni alunno.

Serve una scuola dove l’errore risulti necessario in un buon percorso di apprendimento. Auspico che si passi, come già sta avvenendo in diverse scuole, da una valutazione basata sulla sommatoria degli errori a una valutazione basata sui progressi e sui miglioramenti. Questo consentirebbe ai nostri alunni nati qui ma con origini lontane di attraversare il percorso scolastico senza dannosi inceppamenti. Basti pensare che già ora, nonostante tutti i problemi qui elencati, la percentuale di alunni stranieri, in special modo le femmine, che manifestano eccellenze particolari è significativa. Una tendenza che sicuramente andrà crescendo.

La scuola resta il luogo privilegiato per acquisire una cittadinanza che consideri l’assorbimento della lingua, delle regole e del saper vivere assieme secondo principi democratici, come basilari che prescindano dal luogo d’origine dei genitori.
Non investire in questa direzione oltre ad essere un errore gravissimo, risulta anche sbagliato perché rinchiude troppi ragazzi e troppe ragazze in una frustrazione permanente lesiva per loro e per i territori che abitano.

Fonte: Daniele Novara | Avvenire.it

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