“Io omosessuale cattolico”: Giorgio Ponte, testimone scomodo dei nostri giorni
— 12 Febbraio 2024 — pubblicato da Redazione. —Un omosessuale che vive pienamente la fede e difende la Chiesa e la famiglia naturale. Letta in ottica LGBTQ è senza dubbio qualcosa di irrealizzabile, per certi versi un affronto. Un’offesa alle battaglie sui diritti civili che spesso (e volentieri) negli ultimi cinquant’anni si sono scagliate proprio contro le posizioni della Chiesa. Se però il Vaticano fino a poco tempo fa era uno dei principali nemici da abbattere per l’attivismo arcobaleno, ultimamente – vista l’apertura di Papa Francesco sul tema – sembra diventato un possibile alleato su cui voler contare e appoggiarsi. Improvvisamente le dichiarazioni di un Pontefice – di fatto il primo a parlare così apertamente di accoglienza dell’omosessualità – diventano quasi il manifesto di un nuovo attivismo, più vicino alla Chiesa di quanto i suoi pionieri avrebbero mai potuto ma anche voluto immaginare. Le esternazioni di Bergoglio, però, non rivoluzionano – come si è provato a gridare più volte – la dottrina cattolica e i suoi capisaldi sul concetto di famiglia.
Questo è uno dei motivi per cui omosessualità e fede continuano nonostante tutto a sembrare inconciliabili, eppure ci sono testimonianze che raccontano il contrario. La storia di Giorgio Ponte – scrittore, ex insegnante di lettere e religione – va proprio in questa direzione. Completamente controcorrente per la società di oggi, se vogliamo anche scomoda.
La scoperta dell’omosessualità
39 anni, palermitano ma ormai milanese d’adozione, Giorgio inizia a fare i conti fin da ragazzino con la sua sessualità: “Vengo da una generazione in cui di omosessualità non si parlava quasi per nulla – spiega a Today.it – Durante l’adolescenza ho iniziato a sentirmi attratto da altri ragazzi e questo mi ha posto delle questioni. Per molto tempo ho vissuto un conflitto, non tanto per questa attrazione omosessuale, ma perché essa si è manifestata anche in seguito ad alcune esperienze di abusi subiti da uomini molto più grandi di me. Avevo 11 anni. Con un contesto familiare a maggioranza femminile, avevo bisogno in qualche modo di essere riconosciuto dal mondo degli uomini. E purtroppo gli uomini che hanno abusato di me hanno risposto in maniera distorta a questo bisogno di riconoscimento, innestandovisi e segnandolo in modo indelebile attraverso il sesso. È successo più volte, da persone diverse, anche se per fortuna, mai in contesto familiare”. Questo, racconta Giorgio, ha condizionato il suo rapporto con sé stesso e con il genere maschile: “Si sono infilati attraverso la sessualità in uno spazio che era vuoto. In questi casi, ciò che accade è che il cervello registra quel tipo di esperienza, ed essa nell’età dello sviluppo condiziona il modo in cui vedi te stesso, l’altro e il mondo maschile in generale. Un mondo che per me restava misterioso, perché in casa non avevo dei riferimenti significativi. Ero un bambino sofferente. Non capivo perché Dio non mi difendesse e perché avesse permesso quella sofferenza. Già prima, non solo per le molestie. Ero un bambino grasso, isolato, stavo spesso con gli adulti, non avevo nessuno che mi introducesse nel mondo dei miei pari. Quando poi ho cominciato a sentirmi attratto dai ragazzi ho pensato: ‘Ci mancava questa’” chiosa.
La differenza per Giorgio Ponte l’ha fatta la Chiesa: “A 15 anni ho iniziato il mio percorso di fede con le suore che gestivano la mia scuola. In particolare è stata una suora ad accogliermi nella Verità. Quell’incontro è stato fondamentale, l’inizio della svolta. Qualcuno che mi facesse uscire dal vittimismo in cui ero chiuso. Mi vedevo come il ragazzino sfortunato, abusato, e al quale per questo tutto sarebbe sempre andato male. Vivere da vittima ti fa pensare che siano gli altri a doverti salvare, riconoscendo il tuo dolore, e così la responsabilità della tua vita non te la prendi mai” spiega.
Da lì è iniziato un cammino spirituale ma soprattutto ontologico, di scoperta di se stesso e accettazione di tutte le parti di sé, parallelamente a un percorso psicoterapeutico: “Volevo capirmi e capire cosa stessi vivendo, capire il senso della mia attrazione omosessuale, capire perché non fossi felice e come riprendere autorità sulla mia vita. Lo scopo della terapia non era quello di non essere più omosessuale, ma di essere felice. Quando è arrivato il tempo non c’è stato nessun coming out in famiglia, ma una naturale condivisione della vita per rimettere i nostri rapporti in verità. I miei non sono rimasti sorpresi, c’erano tanti segnali. Il punto non è stato la mia omosessualità, ma raccontarci la sofferenza che ci portavamo dentro da tempo, da cui anche l’omosessualità si era generata, e perdonarci a vicenda. Con le altre persone, invece, semplicemente a un certo punto ho smesso di nascondermi e ho dato per scontato che sapessero”.
Dal sesso compulsivo alla castità
In questo viaggio dentro la sua identità, l’omosessualità non l’ha mai nascosta né a se stesso, né tantomeno alla Chiesa che, assicura, lo ha sempre accolto. E ovviamente l’ha anche vissuta. Questo ci tiene a ribadirlo per spiegare meglio la decisione, presa poi con gli anni, di cercare di vivere in castità: “Per tanti anni ho avuto un problema di sesso-dipendenza con il quale devo ancora fare i conti e che in certi momenti mi ha molto vessato. Perciò non parlo da chi ‘è arrivato’, dall’alto della mia ‘santità’, vorrei che questo fosse chiaro. Ho vissuto il sesso occasionale e compulsivo, così come ho sperimentato un rapporto di coppia alla luce del sole, nel migliore delle condizioni possibili. Ho vissuto tutto di questo mondo. Per questo ciò che dico l’ho visto nella mia vita e in quella degli altri che mi è capitato di poter aiutare nel tempo. Le esperienze sono tutte concordi: di fatto alla radice c’è sempre un bisogno di relazione profonda con il proprio sesso di appartenenza, che in maniera distorta viene vissuto attraverso la sessualità. Quel desiderio che a noi sembra sessuale e istintivo – continua Ponte – in realtà viene davvero colmato solo quando si vivono nel pieno amicizie, libere e profonde e non erotizzate con persone del proprio sesso. Amicizie che possono essere anche per la vita. Conosco persone che vivono così”. Sul tema dell’amicizia sottolinea: “Questo tipo di rapporto arricchisce molto di più di quanto possa arricchire una relazione omosessuale sessualmente vissuta. E non lo dico soltanto sulla base della mia esperienza. Conosco persone che hanno vissuto relazioni anche ventennali, generalmente ‘aperte’, che poi hanno iniziato a lavorare su di sé, sperimentando relazioni diverse, libere dalla dimensione del sesso, e si sono accorte che erano molto più serene di quanto non fossero state in tutto il periodo precedente” ci racconta Giorgio Ponte.
La scelta di Giorgio del cercare di vivere solo rapporti con altri uomini in castità, attraverso l’amicizia profonda, non è tanto una rinuncia al sesso, spiega, ma il desiderio di imparare ad amare davvero, senza possedere. Una consapevolezza che gli è stata confermata attraverso la fede, ma che lui aveva sperimentato prima sulla sua pelle: “Nei diversi cammini di fede che ho fatto, ho incontrato persone che mi hanno accolto nella verità. Senza colpevolizzarmi, mi hanno sempre detto che una relazione sessuale con una persona del mio stesso sesso non mi avrebbe potuto donare quello che poteva donare un rapporto di coppia complementare tra uomo e donna. E io sentivo che era vero. Quello che la Chiesa dice da sempre – spiega Ponte – è che il rapporto sessuale tra persone
dello stesso sesso è peccato perché contrario innanzitutto a una natura biologica. Questa è un’evidenza. Se il tuo corpo ha una struttura biologica fatta in un certo modo, concepita per funzionare in quel modo, forzarlo contro ciò per cui è stato pensato non può essere un bene. Questo assunto, che potrebbe sembrare quasi dogmatico, ho avuto modo negli anni di approfondirlo tanto e vederlo confermato anche dal punto di vista psicologico. Ogni rapporto sessuale che ho avuto negli anni è come se avesse rialimentato quella ferita originaria dell’abuso”.
Quindi, sintetizzando la questione dal punto di vista della Chiesa – secondo Giorgio, ma non è l’unico a pensarla così – l’omosessualità non va stigmatizzata ma non va nemmeno consumata, e questo perché tale pratica sessuale farebbe male all’uomo non solo sul piano spirituale, ma prima di tutto sul piano umano. Riconoscere la castità come una risposta a un malessere più profondo e radicato, fa sì che essa non venga vissuta solo come astinenza e quindi privazione: “Senza questa consapevolezza diventa una castrazione e basta. Se non sai che c’è un bene maggiore, che è innanzitutto la tua libertà, non ha senso. C’è bellezza dietro questa scelta. La bellezza di scoprire l’uomo che è in te senza il bisogno di andartelo a prendere da un altro che ti confermi; la bellezza di poter stare in uno spogliatoio maschile, nudo, con i tuoi amici, senza avere l’ansia per cosa penseranno, amato per come sei, oppure il terrore che questo possa avere dei risvolti erotici; la speranza un giorno di poter amare davvero, gratuitamente, come Cristo ci chiede. Il combattimento ha senso solo se vediamo il bene, perché se è tutto un ‘non fare questo, non fare quello’, non funziona. Noi non viviamo per i no. Si vive per i sì, per la ricerca del bello – insiste Giorgio – e finché non c’è un piacere maggiore di quello momentaneo che ti può dare una relazione omosessuale, occasionale o meno, rinunciarvi sarà sempre solo una privazione, una castrazione, e ti sentirai una vittima, flagellata anche dalla Chiesa che non ti permette di vivere quello che vuoi”.
Sulla castità aggiunge un punto importante: “Se provassi attrazione per le donne e non avessi trovato quella con cui stare, mi sarebbe chiesta lo stesso la castità. Di fatto la Chiesa mi chiede quello che chiede a qualsiasi altra persona di questo mondo: la castità, che per chi non è sposato è anche, ma non solo, astinenza”. Quello che cambia le cose, però, è appunto la prospettiva del matrimonio e quindi la possibilità per un single eterossesuale – sempre in un’ottica di fede – di non vivere più in castità, di potersi sposare e costruire una famiglia. La risposta di Giorgio qui è chiara: “La nostra vita non si risolve nel trovare qualcuno con cui passarla. Questo è un grande inganno. Per tutti, non solo per gli omosessuali. Se la piantassimo di pensare che lo scopo della nostra esistenza è trovare qualcuno che ci tenga la mano fino alla fine dei nostri giorni, forse ci preoccuperemmo di capire di più cosa stiamo qui a fare e come possiamo amare nel presente, dare la vita per quelli che ci sono dati oggi, a prescindere dal fatto che arrivi o meno qualcuno con cui vivere una relazione di coppia”.
“Le relazioni gay sono disfunzionali”
Senza imbatterci nel vasto e intricato concetto di peccato – visto che di Chiesa si sta parlando – ma restando sulla storia personale di Giorgio Ponte e di come lui ha vissuto e vive la sua omosessualità da cattolico, proviamo a capire cosa c’è dietro l’apparente ‘diktat’ della dottrina cattolica sui rapporti gay. Un’esperienza concreta, ci assicura Giorgio: “La migliore relazione omosessuale è comunque strutturalmente sbilanciata, e questo lo dico per esperienza. Una relazione tra persone dello stesso sesso manca della complementarietà della relazione eterosessuale. Ovviamente tenendo come riferimento relazioni sane – specifica – Se tra uomo e donna le tendenze naturali di ciascun sesso sono equilibrate dalla tensione con il suo opposto, diverso per natura, e questo aiuta le due persone a crescere nell’amore, in una relazione omosessuale questo è strutturalmente impossibile. Il fatto che io sia attratto da una persona del mio stesso sesso, che è contrario a ciò per cui il mio corpo è progettato, rivela che già all’origine ciò sto cercando davvero non è l’altro, ma me stesso. Negli altri uomini cerco chi sono io, la parte di me che non riconosco di me stesso, la virilità che mi è mancata, o un ideale di uomo che in qualche modo ho interiorizzato essere l’unico possibile e che mi è sempre sembrato distante. Ma è ovvio che non posso trovare me stesso in un altro, quindi alla lunga la relazione sessualmente vissuta non sarà sufficiente a compensare quel deficit. Inoltre persone dello stesso sesso hanno una serie di caratteristiche simili che li porteranno a oscillare di più su certe fragilità, su certe tendenze. Per questo le relazioni maschili in genere tendono alla sesso-dipendenza – afferma ancora – mentre quelle femminili alla dipendenza affettiva. Se tra uomo e donna è un’opzione essere disfunzionali, perché dipende da quanto le due persone sono risolte affettivamente, tra due uomini e tra due donne, invece, alla radice c’è sempre una mancanza di identità personale che rende già di base il rapporto disfunzionale, al di là del fatto che chi lo vive abbia le migliori e genuine intenzioni di amare davvero”.
“Le parole del Papa strumentalizzate dal mondo Lgbt
Le posizioni della Chiesa sull’omosessualità sono chiare, come testimonia Giorgio Ponte. Più volte, però, Papa Francesco ha rilasciato dichiarazioni in merito che sono risuonate come rivoluzionarie. La sua apertura sul tema – fino a qualche anno fa senza alcun dubbio tabù all’interno del mondo ecclesiastico – è stata sempre accolta con esultanza dalla comunità Lgbt e ha spesso generato confusione visto che, di fatto, dal punto di vista pratico non è mai cambiato nulla. Il matrimonio egualitario resta un’utopia, idem le adozioni gay, da condanna senza appello il ricorso alla gestazione per altri. “Che l’omosessuale debba essere accolto, come chiunque, lo dice in primis il Catechismo della Chiesa Cattolica – commenta Giorgio – Oggettivamente questo non sempre è avvenuto e si è creata una piaga, una sofferenza. Oggi Papa Francesco cerca giustamente di rientrare da questa ferita, ribadendo quello che la Chiesa ha sempre detto, e questo viene visto come una novità, interpretandolo come un ‘vale tutto’. Così però non è. Anche l’ultimo documento – che ha fatto molto rumore nei giorni scorsi – a firma del prefetto Fernandéz e approvato da Bergoglio nell’udienza del 31 ottobre, sul battesimo per trans e figli di coppie gay e il nulla osta all’essere padrini o testimoni di nozze se omosessuali, non aggiunge niente di nuovo.”Certo che un bambino nato con utero in affitto può essere battezzato, perché non è colpevole della condotta dei suoi genitori. Sul fatto che venga battezzato un transessuale, o che un omosessuale possa essere un padrino o testimone, nel documento si specifica che questo non deve creare scandalo tra i fedeli, ma se si vive nella verità e secondo i valori cristiani non c’è nessuno scandalo, anzi è una grazia. Un trans può essersi convertito dopo l’operazione? Certo. Un omosessuale dichiarato può praticare la castità e una vita santa? Ovvio. È la condotta di vita che conta: verso dove camminiamo, quali valori riconosciamo. Ed è quindi una condotta omosessuale praticata dichiaratamente o l’essere in una relazione omosessuale more uxorio, cioè vissuta come fosse un matrimonio, che impedisce di fare il padrino. Non perché sei cattivo, ma perché vivi una condizione contraria alla fede verso cui dovresti guidare il bambino che ti viene affidato. Sarebbe lo stesso per un divorziato e risposato”.
Nessuno scivolone di Papa Francesco quindi, nessuna contraddizione. Semmai, conclude Giorgio Ponte, strumentalizzazioni da parte del mondo arcobaleno ma anche di una certa parte della stessa Chiesa: “L’attivismo lgbt che si definisce cattolico, tra mille virgolette, è accompagnato e accolto da sacerdoti che strumentalizzano queste esternazioni di Papa Francesco, piegandole a visioni di fatto eretiche, quando in realtà il pontefice non ha detto niente che contraddice la dottrina. Le estrapolano dal contesto, omettono le parti problematiche che riguardano la condotta, e quindi ecco che tutti sono felici perché pensano a un’accoglienza senza verità, dove va bene avere un bambino con l’utero in affitto, i rapporti gay, il sesso occasionale. Non è così. Non c’è accoglienza senza verità. Se ti accolgo e non ti dico cosa ti fa male, non ti sto amando, ti sto condannando all’infelicità col sorriso sulle labbra”. Ma che peso ha la fede in tutto questo? Nella scelta della castità, nell’arrivare a certe consapevolezze. Forse alcuni sarebbero portati a considerarla preponderante, ma Giorgio non è d’accordo: “Nel mio cammino io ho messo in discussione tutto ciò che la mia fede mi diceva. L’ho provato sulla mia pelle ed è per questo che oggi riconosco che ciò che la Chiesa propone è buono, sul piano umano, prima che spirituale. Inoltre tanti, pur non essendo credenti, riconoscono a partire dalla loro esperienza che l’omosessualità nasconde delle ragioni, delle ferite non guardate che nulla hanno a che fare col sesso, perché sono onesti intellettualmente e vivono o hanno vissuto un inferno di insoddisfazione e a volte arrivano alle medesime conclusioni della Chiesa. Ho conosciuto una coppia di omosessuali atei, per di più psicoterapeuti, che avevano deciso di ridurre il numero di rapporti sessuali fra loro perché si erano accorti che più spesso facevano sesso e più questa cosa li allontanava, invece di unirli. La verità parla a chiunque voglia cercarla, non è una questione di fede. Essa è scritta dentro di noi, a patto di essere disposti ad ascoltarsi davvero”.
Fonte: Roberta Marchetti int. Giorgio Ponte | Today.it