«Hamas liberi i prigionieri senza condizione e subito, e Israele interrompa i bombardamenti senza condizione, subito. La pace è nel riconoscere a Israele il diritto di esistere in pace, così per la Palestina a esistere egualmente nel pieno rispetto del suo territorio. Bisogna uscire dalla logica vendicativa». Gli appelli sono del cardinale Fernando Filoni, gran maestro dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, rientrato da un viaggio – «un pellegrinaggio» – in Terra Santa. Il porporato era accompagnato dal governatore dell’Ordine, l’ambasciatore Leonardo Visconti di Modrone, e dal direttore della comunicazione Francois Vayne.
Eminenza, dopo la nota contro il cardinale Pietro Parolin che aveva parlato di una risposta «sproporzionata» rispetto all’attacco di Hamas, l’ambasciata di Israele presso la Santa Sede cerca di smorzare i toni e in un comunicato si corregge, dicendo che le parole del segretario di Stato vaticano non sono «deplorevoli» ma «sfortunate»; mentre un gruppo di rabbini scrive al Papa ringraziandolo per la mano tesa rappresentata dalla sua «Lettera ai fratelli e alle sorelle ebrei in Israele» di inizio febbraio. Come descrive tali forti e inedite tensioni tra diplomazie?
«Le “scintille” di questi giorni suscitano una riflessione. C’è una guerra terribile nella Striscia di Gaza con ripercussioni gravi in Israele e in Palestina; c’è un sequestro inaccettabile di persone a seguito dell’assurda strage di civili, quella del 7 ottobre. Su questi eventi si sono inalberate politiche (di Israele e di Hamas) che finora non hanno trovato una soluzione a vantaggio di una popolazione inerme e che subisce conseguenze inimmaginabili, che la storia giudicherà senza perdoni. Poi ci sono gli strattonamenti diplomatici che da tre mesi cercano di tirare da una parte e dall’altra governi, partiti, religioni, media, gruppi più o meno schierati con il desiderio di ideologizzare ogni aspetto della drammatica situazione, contando sui sentimenti delle persone e facendone ragioni sempre controverse. Intanto la gente muore e soffre, sia a Gaza, sia in Israele. Possiamo, senza essere indotti da equilibrismi o schieramenti di parte, guardare la realtà e non dimenticare il volto delle persone, l’angoscia di bambini, di anziani e malati o la sofferenza di chi è stato ucciso, nonché la disperazione di chi è dinanzi a un futuro che è un baratro? È ciò che ha chiesto il cardinale Parolin, ossia di avere uno “sguardo realista sul dramma in corso”, stando dalla parte delle vittime, come insegnava don Milani, un ebreo-prete».
Quale può essere la via per un cessate il fuoco?
«Hamas liberi tutti i prigionieri senza condizione e subito, e Israele interrompa i bombardamenti senza condizione, subito. La pace è nel riconoscere a Israele il diritto di esistere in pace, così per la Palestina a esistere egualmente nel pieno rispetto del suo territorio. Bisogna uscire dalla logica vendicativa e smettere di ideologizzare il conflitto. Come cristiani non ci stancheremo di pregare per la pace. Io dico che prima di tutto bisogna volere questa tregua».
Che cosa intende?
«Occorre che le parti la desiderino. Ed è impossibile senza il rilascio degli ostaggi, perché la loro detenzione non calma gli animi. Allo stesso tempo è necessario, oltre che fermare bombe e missili, anche mettere fine ad alcune dinamiche fonti di tensioni, per esempio, agli insediamenti dei coloni nelle terre palestinesi: anche questa situazione è causa di ostilità infinite. E noi lo abbiamo percepito anche durante alcuni viaggi. E poi, c’è il tema giustizia, che viene a essere sistematicamente violata. E anche il diritto della gente che da sempre vive lì ad avere una propria terra, sulla quale portare avanti la propria vita. A una tregua si può arrivare, ma bisogna mettere delle condizioni che siano corrette e oneste per tutte e due le parti».
Francesco nella recente intervista a La Stampa ha affermato che «non c’è pace senza i due Stati»: come si può raggiungere questo obiettivo diplomatico?
«Alla soluzione dei due Stati non c’è alternativa, e i due Stati possono coesistere, però a un tale equilibrio si può giungere solo attraverso trattative. I due Stati non si possono imporre dall’esterno, devono essere voluti dalle parti. L’auspicata riconciliazione si deve basare su due principi imprescindibili: il diritto di Israele a esistere in pace, non si può pensare che Hamas possa proclamare “bisogna distruggere Israele”; e il diritto dei palestinesi alla loro terra e a vivere in pace nella loro terra. L’unico percorso diplomatico che intravedo è questo».
Che cosa ha visto a Gerusalemme e Betlemme?
«La Terra Santa è un luogo di pellegrinaggi: così il primo elemento che colpisce arrivando a Gerusalemme e Tel Aviv è proprio la mancanza di pellegrini. Tutti i voli sono sospesi e l’aeroporto è vuoto (eccetto per i velivoli che sono della compagnia El Al). Non ci sono pellegrini. Questo è un aspetto molto grave per la Terra Santa, che vive sulla presenza dei pellegrinaggi ed è cara alle tre grandi religioni monoteiste. Nel momento in cui vengono a mancare questi milioni di pellegrini, non solo essi non usufruiscono della ricchezza spirituale e culturale di Israele e della Palestina, ma al tempo stesso Israele e Palestina ne sono privati con grande dolore. Bisogna riportare la Terra Santa a essere il luogo caro e accessibile a tutti».
Quale ruolo possono e devono avere le religioni in questo conflitto?
«Le fedi possono affermare che due popoli e tutti coloro che frequentano quella terra hanno la possibilità di vivere veramente riconciliati. Questa presa di posizione è realizzabile, a partire dal presupposto che nelle tre religioni monoteiste la pace è un punto chiave. E poi, va chiarito che non c’è alternativa, se non la distruzione totale».
Fonte: Domenico Agasso int. Fernando Filoni | LaStampa.it