La morte di Alexei Navalny svela un ulteriore drammatico volto della dittatura russa, che arresta persino chi porta un fiore per ricordarlo. Il principale oppositore di Putin, che fu tra i primi a svelare la corruzione degli oligarchi, si trovava rinchiuso nella colonia penale siberiana di IK-3. “Per le sue idee è stato condannato a una lunga detenzione, in condizioni durissime. Un prezzo iniquo e inaccettabile, che riporta alla memoria i tempi più bui della storia” come ricorda nel messaggio di cordoglio il Presidente Mattarella.
Nelle piazze dell’Occidente, le fiaccolate dedicate alla memoria e al coraggio di Navalny sembrano aver risvegliato la consapevolezza dei cittadini europei sui pericoli che provengono dall’ideologia neoimperialista dell’ex Unione sovietica per le società liberaldemocratiche. Sono trascorsi due anni dall’invasione della Russia in Ucraina e la pace sembra ancora lontana, a meno di consentire una resa incondizionata del popolo ucraino che perderebbe la libertà e il diritto all’autodeterminazione sul proprio territorio. Ma una pace duratura può essere edificata solo sulle colonne portanti della libertà e della giustizia. Sostenere, anche solo con l’invio di forniture militari, l’esercizio della legittima difesa di uno Stato, secondo il diritto internazionale, serve ad evitare la sua sopraffazione da parte dello Stato aggressore. Dopo che ogni tentativo di risoluzione della controversia attraverso canali diplomatici si è rivelato inutile.
Mentre sulle sponde del Mediterraneo, l’atroce strage del 7 ottobre di Hamas contro i civili inermi di Israele ha incendiato il fronte mediorientale. All’interno di questo quadro desolante di “guerra mondiale a pezzi”– secondo la lucida espressione di Papa Francesco – si aggiungono le intimidazioni “di severe punizioni” della Cina a Taiwan se cerca l’indipendenza, la strategia bellicosa del leader nordcoreano Kim Jong, la rappresaglia dei ribelli Houthi. I filoiraniani sferrano attacchi con missili e razzi ai container che attraversano il Mar Rosso, mettendo a rischio i flussi commerciali verso l’Europa.
Uno scenario da brividi, cui si uniscono i segnali che provengono dai dati economici poco confortanti. La crisi sanitaria e le fibrillazioni belliche hanno contribuito ad un aumento dei prezzi in Europa e negli Stati Uniti e dell’inflazione che ha comportato un drastico taglio dei consumi per le famiglie con i redditi più bassi. Una crescita esponenziale delle diseguaglianze all’interno dei Paesi Ue che trova una risposta, solo parziale, nelle misure del Next Generation Ue, realizzate all’insegna di un bilanciamento tra le ragioni del mercato e quelle solidaristiche e il cui timido accenno si avverte anche nelle modifiche al Patto di Stabilità.
Solo ritrovando gli spazi del multilateralismo, “fulcro dell’azione esterna” dell’Ue, come ricorda l’art. 21 del Trattato di Lisbona e il ruolo della politica è possibile superare lo stato di incertezza e sfiducia causato dalle turbolenze belliche, dal mutamento climatico e dalle migrazioni massicce.
In Usa le elezioni presidenziali in programma per la primavera potrebbero preferire il populismo trumpiano con gravi ripercussioni sul conflitto ucraino e sugli equilibri interni al Continente europeo. In questo orizzonte di inquietudini, l’appuntamento elettorale europeo del prossimo giugno riveste un’importanza cruciale per l’impatto che la nuova geografia parlamentare potrà sortire sui futuri assetti politico–istituzionali dell’Unione europea e sull’evoluzione del processo di integrazione tra gli Stati membri. Con l’allargamento a Est da parte dei Paesi candidati a far parte dell’Unione, come Ucraina, Moldova e Georgia. L’ordinamento europeo, fondato sin dalla sua origine sul rispetto dello stato di diritto e la tutela delle libertà, dovrà tendere alla costruzione di un modello autenticamente federale che ha il suo pilastro sul criterio di maggioranza per le decisioni più importanti, scartando il modello confederale e con esso il criterio dell’unanimità che provoca continui arretramenti del processo decisionale. L’Europa, facendo tesoro degli insegnamenti di De Gaspari, Schuman e Jacques Delors, dovrà definire una politica di difesa comune, che possa rendere l’Unione capace di affrontare con autorevolezza e autonomia strategica le sempre più complesse della prevenzione dei conflitti e del rafforzamento della sicurezza internazionale.
Fonte: Ida Angela Nicotra | InTerris.it