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Siffredi e Supersex la serie su Netflix. E la lotta al patriarcato?

Forse dovremo aspettare la puntata di “Chi l’ha visto?” e magari la Sciarelli dirà qualcosa sulla scomparsa delle femministe a meno di una settimana dall’otto marzo. Anche perché ormai è l’ottomarzo tutto l’anno, dallo scorso 25 novembre infatti è stata un’unica ininterrotta gironata di lotta contro il patriarcato. Quel sistema di potere che – ci ripetono  –  svilisce in ogni modo la figura femminile.

Eppure  chissà come mai non si vedono all’orizzonte proteste per le sette puntate di Supersex, la serie ispirata alla vita di Rocco Siffredi in onda dal 6 marzo scorso su Netflix. Anzi, è già da tempo in atto la celebrazione nei confronti di quella che Vanity Fair definisce come «una serie sull’educazione sentimentale». Ma anche pulpiti più compassati come sky.tg.24 si spingono a definirlo come «una riflessione sull’amore, sul ruolo delle donne nella vita del porno attore più famoso di sempre (a parte John Holmes), sul suo rapporto tormentato con il fratellastro Tommaso, e su quello sguardo amorevole, tanto agognato, di una madre alle prese con povertà e profondi lutti».

D’altra parte, chi se vuole fare una riflessione sull’amore e sul ruolo delle donne non pensa immediatamente a Rocco e ai suoi fratelli? E così può capitare di passeggiare per Milano, e trovarsi al parco in un pomeriggio soleggiato di marzo con i bimbi che giocano sugli scivoli e sulle altalene davanti ad un totem grande l’intera facciata di un grattacielo con Alessandro Borghi nei panni di Rocco, con un’espressione indecente che lascia poco spazio alla fantasia, oppure di trovarselo nudo, ma ovviamente col crocifisso al collo, mentre mentre sei mani di donne e uomini lo toccano, sopra campeggia la scritta “Supersex”.

Ma può anche capitare di fare zapping in tv e trovare il salotto del pomeriggio che discetta su quanto sia in realtà profondo sviscerare la profondità della “carriera” del Rocco nazionale. In effetti una scuola di vita. Le umili origini, l’infanzia tormentata da una “educazione oppressiva” (daje al bigotto), il rapporto ombelicale con il fratello Tommaso, “portatore di mascolinità tossica”(il colpevole è sempre il maschio), le seimila donne con cui ha avuto rapporti sessuali nella sua vita (dettagli di scena).

E poi la dipendenza da sesso. Di cui lui ha raccontato gli abissi ennemila volte. «La dipendenza da sesso è il diavolo» ha dichiarato lui stesso qualche settimana fa, non si capisce quindi la ragione per farne un biopic. E ancor meno si capisce come qualcuno possa percepirlo come educativo.

Mancano all’appello le donne, quelle seimila “attrici” che hanno venduto la loro intimità all’industria del porno di lusso, con la pornostar. Chissà, magari pensavano di guadagnarne in celebrità invece nemmeno sappiamo i loro nomi, non conosciamo i loro volti, non vengono citate, sono solo dei dettagli funzionali ad una narrazione che vede come unico protagonista l’uomo che per “lavoro” si accoppia di continuo, non importa come, quanto, quando e meno che meno chi.

Non hanno niente da eccepire le vestali della lotta al patriarcato? O va tutto bene perché le “pornoattrici” che hanno “lavoratato” con Rocco erano “libere” e “autodeterminate” e hanno quindi usato a piacimento il loro corpo? E’ questo il messaggio sul sesso che vogliamo far passare? Alessandro Borghi, l’attore che interpreta Siffredi, si è anche detto pronto ad andar nelle scuole a parlare ai ragazzi di di sessualità.

Ok, ne prendiamo atto. Però poi i sermoni sul “sessismo” anche no.

Fonte: Raffaella Frullone | IlTimone.org

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