Pubblichiamo il servizio apparso sul numero 7 del 18 febbraio del settimanale Maria con te dedicato alla devozione mariana di Roberto Benigni
«Tornò a piedi, stremato, dopo due anni di lavoro forzato, da Erfurt, in Germania, fino a Castiglion Fiorentino», ha raccontato l’artista che da bambino voleva diventare gesuita. Ecco cosa ha detto nella prolusione all’Università Notre Dame di Roma
La luminosa carriera di Roberto Benigni si è arricchita di un nuovo riconoscimento: la laurea honoris causa in Belle Arti che gli è stata conferita nella sede romana dell’Università di Notre Dame. Con una motivazione elogiativa della sua umanità, oltre che del suo talento, in cui si legge che il prestigioso premio gli è dovuto per come la sua opera ha saputo «illuminare percorsi di speranza e di bellezza anche nel mezzo di indicibili tragedie e disperazione». Con un preciso riferimento al film da lui diretto e interpretato, La vita è bella, ambientato in un campo di sterminio nazista, in una visione altamente poetica, vincitore del premio Oscar nel 1999.
Un momento indimenticabile, quello nell’ateneo capitolino, in cui Benigni ha colto l’occasione per rendere ancora una volta un pubblico omaggio alla Madonna, indicandola quale simbolo di una femminilità vincente, forte e dolce a un tempo, un punto di riferimento prezioso per le donne di oggi, spesso vittime di soprusi e violenze e quindi più che mai bisognose di protezione. Roberto ha espresso questi concetti, in un discorso toccante, col sapore di una preghiera, che riaccende l’inevitabile curiosità di scoprire le radici del suo culto mariano. Una verità inedita e sorprendente che emerge da due libri biografici, usciti all’inizio della carriera: Benigni di Stefania Parigi (Ed. Scientifiche italiane) e Benigni Roberto di Luigi fu Remigio di Massimo Martinelli, Carla Nassini e Fulvio Wetzl (Leonardo Arte). Con una prima notizia choc: «Nel 1966, l’anno dell’alluvione, mentre ero alle scuole medie, fui certo di avere la vocazione religiosa e mi trasferii a Firenze per studiare dai Gesuiti», rivela Roberto, prete mancato e testimone di un miracolo della Madonna, durante la sua infanzia vissuta in povertà nella campagna toscana. I genitori, Luigi e Isolina Papini, sono due contadini preoccupati di mandare avanti la famiglia composta da quattro figli, tre bambine e un maschio, Roberto, fantasioso e vivacissimo, sempre presente nelle processioni e nelle feste religiose, come racconta don Boresti, il parroco di Marciano, un borgo dove per un periodo abitano i Benigni.
La formazione cattolica di Roberto, quindi, è la base su cui si innesta la sua devozione a Maria, destinata a consolidarsi attraverso un fatto straordinario che ha come scenario il santuario della Madonna del Bagno, nei pressi di Castiglion Fiorentino. «Mio padre aveva sempre fatto il contadino», ricorda Roberto col suo linguaggio semplice. «Un giorno decisero di mandarlo a fare la guerra e lui non sapeva nemmeno che cosa volesse dire. Papà avrebbe voluto restare in famiglia a fare il contadino perché amava mia madre. Non come tutto il mondo, ma come tutto l’universo intero. Dopo due anni di prigionia in Germania, tornò a piedi da Erfurt fino alla frazione di Misericordia di Castiglion di Fiorentino, dove vivevamo. Arrivato a casa, stremato dalla fatica e dall’emozione, cadde a terra ed entrò in coma. L’unica cosa che riuscì a dire a mia madre fu: “Ho pensato sempre a te”. Per sopravvivere a due anni di lavori forzati ci voleva un pensiero divino, come divino è l’amore tra un uomo e una donna. Mia madre non aveva soldi per le medicine, solo quattro anatroccoli. Allora, insieme con mia sorella Anna, si presentò davanti alla Madonna del Bagno. Entrò in chiesa e gettò i quattro anatroccoli e la bambina davanti all’immagine di Maria dicendo: “Madonna, è tutto quello che ho”. Il giorno dopo mio padre uscì dal coma».
L’emozionante racconto di Benigni si fonde col ricordo della madre, scomparsa nel 2004, pochi mesi dopo il marito. «Mia mamma era analfabeta e, come la Madonna del Cardellino di Raffaello, aveva sempre in mano il Vangelo», ricorda. «Si metteva accanto al fuoco e apriva questo libro. “Mamma, ma tu non sai leggere”, osservavo io. Lei non mi rispondeva, ma mi guardava sorridendo ed era come se mi dicesse: “So leggere più di te”». Roberto da bambino vede nella madre un riflesso di Maria e, partecipe dell’amore dei genitori, coglie l’essenza del matrimonio cattolico, un legame benedetto da Dio, sacro e indissolubile. Un’idea radicata questa, che si realizza nel sentimento profondo per la compagna, di vita e di scena, Nicoletta Braschi, sposata nel 1991 in un convento di clausura a Cesena. La sfera segreta del cuore di Benigni, evidente nelle sue esternazioni giovanili, dopo il suo grande successo, rimane nascosta dalla sua comicità dissacrante. Ma nel 2013 Roberto si riscatta dalla sua irriverenza con la lettura televisiva della Divina Commedia, da cui traspare una fede profonda. E si viene a sapere che a iniziarlo da bambino alla lettura di Dante è stata una religiosa, suor Teresa, la quale ricorda con tenerezza il suo ex alunno. E a sancire definitivamente la religiosità di Benigni, nel 2016, è la sua presentazione del libro-intervista a papa Francesco del vaticanista Andrea Tornielli Il nome di Dio è misericordia. In questo suo primo incontro con Roberto il Santo Padre si intrattiene affabilmente con lui, che non rinuncia a una delle sue battute: «Da piccolo volevo fare il papa e ora, da grande, ne incontro uno vero….», dice in un impulso di fede come sempre filtrato dall’ironia. «Sono credente. Sono uno che è spesso a contatto col diavolo e quindi significa che ho qualcosa a che vedere anche con la controparte, che c’è dialogo… », spiega, sintetizzando in chiave ironica un argomento serio come l’eterna lotta tra il bene e il male. Una realtà percepita dalla grande mistica, oggi serva di Dio, Natuzza Evolo, la quale, colpita dal trasporto con cui gli aveva sentito declamare l’inno a Maria che l’Alighieri mise in bocca a san Bernardo, fece contattare Benigni, invitandolo a parlare ai giovani che si riuniscono ogni mese a Paravati, in provincia di Vibo Valentia, nell’Auditorium della Villa della Gioia attorno all’effigie del Cuore Immacolato di Maria. Nella conversazione, i due parlarono di mamma Isolina, da poco scomparsa, e della Madre Celeste. Il progetto di averlo alla Villa della Gioia non si realizza per la scomparsa di Natuzza di lì a breve, ma è certo che tra la mistica e l’artista ci fu un incontro di anime. Nel nome di Maria, sempre presente nel cuore di Roberto, da quel giorno divino in cui salvò la vita a suo padre.
Fonte: Matilde Amorosi | FamigliaCristiana.it