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In Ricordo di Shahbaz Bhatti

Pubblichiamo l’intervento di Luisa Santolini, Presidente dell’associazione Parlamentare Amici del Pakistan, presso il Senato italiano, l’11 marzo scorso, in ricordo del servo di Dio assassinato in odium fidei,  Shahbaz Bhatti (1968-2011).

«Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e mentendo diranno ogni sorta di male per causa mia. Rallegratevi ed esultate perché grande è la vostra ricompensa nei Cieli» (Mt 5,12).

Essere qui riuniti in tanti, in questa bellissima e prestigiosa sala, a ricordare Shahbaz Bhatti ha un significato del tutto particolare, perché questa non è una giornata di commemorazione, ma una giornata di celebrazione di un martire della Fede. E non è un caso che, nel pensare a questo giovane pakistano ucciso dalla furia degli estremisti islamici, vengano in mente le parole dell’evangelista Matteo quando riferisce le parole del Signore a proposito delle Beatitudini.

Ho avuto la fortuna di conoscere Bhatti quando era Ministro delle minoranze del suo Governo. Venne alla Camera e lo accolsi con tutto il rispetto e la stima che gli erano dovuti. Era un uomo mite, lo si vedeva dai suoi occhi scuri e buoni. Era un operatore di pace, un uomo assetato di giustizia e ricordo le sue parole quando mi disse che lui, da cattolico, voleva difendere, proteggere e promuovere tutte le minoranze del suo Paese, e non solo quelle cristiane. Tutte le minoranze. E questo dà la cifra della sua statura e del suo valore. Sapeva di morire, sapeva che sarebbe stato ucciso e il 2 marzo del 2011 in un agguato: fu crivellato di colpi da parte di un gruppo di uomini armati. Viaggiava senza scorta e accanto alla sua macchina furono trovati dei volantini firmati dal gruppo Tehrik-i-Taliban-Punjab, un movimento estremista con legami con i Talebani afghani. Tempo prima aveva preso le difese di Asia Bibi, la cui vicenda è nota e tutti la ricordano. Aveva lottato per abolire la assurda legge sulla blasfemia, tuttora vigente, e aveva condannato senza mezzi termini l’assassinio di Salman Taseer, il governatore della provincia del Punjab, ucciso due mesi prima. Era troppo per i corrieri del terrore, e infatti aveva ricevuto una “condanna a morte” perché “complice di blasfemia”.

Aveva fatto una carriera folgorante fin dai tempi dell’università, quando decise di difendere le minoranze discriminate allorché vide che un suo insegnante doveva mettere le sue posate separate per non contaminare le altre. E all’università comprese che per lui la lotta contro l’ingiustizia non era più una delle tante opzioni della vita, bensì un destino che ha abbracciato fino alla fine.  E scese in campo. E’ stato infatti uno dei fondatori dell’All Pakistan Minorities Alliance, fondatore e presidente del Christian Liberation Front, direttore esecutivo del Pakistan Council for Human Rights, e aveva ricevuto numerosi riconoscimenti e premi anche internazionali. Questo era Shahbaz Bhatti.

Ma io qui oggi non desidero celebrarne i successi, ma ricordarlo con tre frasi che poi ritrovai scritte e che mi colpirono molto.

Durante la sua visita al Parlamento italiano, mi disse: «Credo che i poveri, i bisognosi e gli orfani, qualunque sia la loro religione, vadano considerati innanzi tutto come esseri umani, perché sono parte del Corpo di Cristo, anzi sono la parte più perseguitata e bisognosa del Corpo di Cristo. Se portiamo a termine questa missione allora ci saremo guadagnati un posto ai piedi di Gesù ed io potrò guardarLo senza provare vergogna».

Ora noi sappiamo che sta guardando il Signore con l’aureola dei santi, ma mi domando quanti di noi si pongano questo stesso problema. La politica è una faccenda complicata e spesso corrotta. Quanti agiscono, progettano, parlano, promettono con l’unica preoccupazione di non provare vergogna davanti a Lui? Quanti parlamentari, ministri, giudici, ma anche amministratori o funzionari, o semplici volontari che si impegnano nella cosa pubblica hanno il solo obiettivo di non vergognarsi? Come sarebbe la vita in un Paese se tutti ragionassimo così e se la nostra missione fosse unicamente quella di realizzare il bene comune?

Altra affermazione di Shahbaz Bhatti che ricordo: «La mia battaglia continuerà nonostante le difficoltà e le minacce che ho ricevuto. Il mio unico scopo è difendere i diritti fondamentali, la libertà religiosa e la vita stessa dei cristiani e delle minoranze religiose. Sono pronto ad ogni sacrificio per questa missione che assolvo con lo spirito di un servo di Dio».

Sappiamo chi è il servo di Dio nella Bibbia ed ora sappiamo quanto eroismo e quanta determinazione ci fossero in quelle profetiche parole di Bhatti. Quanti di noi sono pronti a ripeterle e soprattutto a viverle? Ecco, questo ministro di un Paese tanto lontano ha nobilitato la politica a tal punto da renderla una scala verso il Cielo. Con la sua vita e non solo con il suo sacrificio ha dimostrato che si può essere santi anche facendo politica. Per questo siamo qui, in una Sala del Senato, a rendere omaggio ad un politico che ci indica una strada impervia ma percorribile.

Infine mi ricordò che prima della sua riconferma a Ministro si era definito «un uomo che ha bruciato le sue navi: non posso e non voglio tornare indietro in questo impegno».

Pensai allora che mi sembrava un guerriero che, sbarcato in terra straniera, doveva liberare gli abitanti dal Male e dunque aveva bruciato le navi per non essere tentato dalla fuga. Una specie di eroe greco di un poema epico tutto da scrivere. E lui lo ha scritto con il suo sangue. Spesso anche nel recente passato, le strade della politica sono state irrorate dal sangue dei martiri, come vittime sacrificali, e noi qui in Italia ne sappiamo qualcosa. E questo conferma che la politica è la forma più alta di carità, come ha detto san Paolo Vl, se vissuta con coerenza, serietà, fedeltà alla verità, senza compromessi e giochi al ribasso in base alla convenienza del momento, con gli occhi rivolti al Signore della vita. La politica, quella vera, non può essere solo un mezzo per il proprio successo personale e Bhatti ci ha indicato la Strada: vivere la propria missione come un operatore di giustizia e di pace fino alla rinuncia di sé.

Ho sempre percepito la vita e la morte di Shahbaz Bhatti come un invito a non essere timidi, tiepidi o timorosi. Un invito al coraggio delle proprie idee, un invito a non cedere alle sirene del denaro e del potere, a non essere ignavi o ipocriti o spaventati dalle conseguenze del nostro agire. Infine, ad usare la legge per far valere le proprie convinzioni, non la prepotenza o l’arbitrio, ma la legge, rispettando le regole del gioco e la dignità dell’avversario.

La tragica fine di questo amico ci dice ancora una volta che la libertà religiosa è la conditio sine qua non di ogni altro diritto, come spesso ci ha ricordato Benedetto XVl e non solo lui. Dalla libertà religiosa discendono tutte le altre libertà e tutti noi siamo chiamati a questa battaglia, sapendo che non siamo soli, perché abbiamo molti alleati, anche non cristiani, convinti che l’emarginazione o, peggio, l’eliminazione delle minoranze e dei cristiani in particolare, sarebbe comunque una perdita per tutte le comunità e per tutte le nazioni.

Purtroppo, a distanza di 13 anni dall’assassinio di Bhatti le cose nel mondo sono peggiorate e in questa giornata così particolare non posso non ricordarlo: un cristiano su sette nel mondo, uno su cinque in Africa e due su cinque in Asia, è vittima di gravi forme di persecuzione. Ripeto, gravi forme di persecuzione. Arresti, abusi, torture, reclusioni, esclusione dal lavoro, morte. Un totale di 365 milioni di persone in 70 Paesi di questa nostra bellissima e disgraziata casa comune. E aumenta la velocità con cui le discriminazioni si estendono nel tempo e nello spazio (dal nuovo Rapporto Porte Aperte/Open Doors, che considera il periodo ottobre 2022 – settembre 2023). Assalti, chiusure di chiese, confische di beni ecclesiastici, soppressioni di scuole e ospedali, preti, vescovi e religiose arrestati o espulsi o uccisi senza ragione. Una lunga e dolorosa lista, anche questa ovviamente passata sotto silenzio da parte della grande stampa, tranne lodevoli eccezioni. Il fanatismo dilaga come un virus letale e non lascia tregua. È un fenomeno drammatico che non va né sottovalutato e men che meno taciuto. E noi, attraverso il sacrificio di Bhatti, siamo qui a ricordarlo.

Chiudo facendo presente che il Papa ha rilanciato l’attenzione su questo dramma collettivo costituendo una apposita Commissione in vista del Giubileo e ha messo Akash Bahir (un giovane che si è immolato per proteggere i fedeli della sua parrocchia da un attacco terrorista il 15 marzo del 2015) e Shahbaz Bhatti tra «i nuovi martiri testimoni della fede».

Due figure importanti che hanno offerto una luminosa testimonianza di fede forte, umile e profonda, nel segno delle Beatitudini evangeliche. Due figure degne degli altari a cui tutti possiamo guardare, traendo da loro la forza e l’esempio per proseguire la nostra strada e per onorare la nostra missione in famiglia, in parrocchia, nella politica o per le strade del mondo.

Fonte: Luisa Santolini | AlleanzaCattolica.org

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