Le cause del dilagare dei pensieri suicidi in adolescenza
— 19 Aprile 2024 — pubblicato da Redazione. —Analizzando le risposte di un campione di oltre 4.000 studenti italiani, una ricerca del gruppo MUSA del CNR ha evidenziato l’importanza del deterioramento delle relazioni umane nella nascita di pensieri suicidi in adolescenza. È un risultato che conferma quanto suggerito da altri studi ed evidenzia l’urgente bisogno di interventi mirati e contestualizzati, e anche il ruolo centrale e cruciale della scuola nel sostegno del benessere relazionale giovanile.
Negli ultimi anni la ricerca scientifica ha iniziato ad approfondire l’analisi delle ideazioni suicidarie, anche a causa del loro dilagare. Questi pensieri, diversamente dal suicidio, costituiscono un oggetto di studio su cui è possibile raccogliere dati direttamente dai soggetti coinvolti nel problema. Uno studio su un campione di oltre 4.000 studenti e studentesse delle scuole superiori svolto dal gruppo MUSA del CNR sottolinea l’importanza del deterioramento delle relazioni umane nella nascita di pensieri suicidi in adolescenza.
L’ideazione suicidaria, che porta concretamente a mettere in atto il suicidio in un caso su tre, riguarda ogni pensiero orientato alla pianificazione del suicidio, al suo desiderio, e anche preoccupazioni sulla morte. Questo fenomeno è notevolmente aumentato negli ultimi anni a livello mondiale, in particolare tra gli adolescenti e come effetto psicosociale della diffusione di COVID-19. Non sembra che sia stato tanto il virus a far dilagare il problema, quanto la brusca interruzione delle relazioni faccia a faccia che ne è conseguita, e poi la successiva accelerazione della trasposizione sul piano virtuale dell’interazione umana; processo che ha generato una crescita esponenziale di ansia, depressione e altre emozioni negative primarie tra i giovani (rabbia, ansia, tristezza).
È proprio durante la pandemia di COVID-19 che le organizzazioni sanitarie hanno iniziato a registrare un aumento vertiginoso delle visite al pronto soccorso legate alla salute mentale tra soggetti con età compresa tra 12 e 17 anni, con un aumento dei sospetti tentativi di suicidio del 50,6% tra le ragazze di età compresa tra 12 e 17 anni e del 3,7% tra i loro coetanei maschi rispetto al 2019. Questo effetto della pandemia è stato tutt’altro che passeggero: al contrario, si è cronicizzato con il trascorrere del tempo. I dati dell’associazione italiana che fornisce servizi di emergenza e supporto telefonico hanno indicato già dal 2021 che le richieste di aiuto da parte di persone che pensano al suicidio o temono il possibile suicidio di qualcuno loro vicino sono aumentate del 55% rispetto al 2020 e quasi quadruplicate rispetto al 2019, in particolare tra i giovani.
Pensieri suicidi durante l’adolescenza: una fase critica
Pur essendo l’adolescenza una fase evolutiva notoriamente sostanziale nella vita dell’individuo, momento di passaggio all’età adulta, durante il quale si sintetizzano le esperienze familiari, scolastiche e ambientali, l’esplosione delle ideazioni suicidarie rende evidente come gli ultimi anni abbiano reso questa fase di vita decisamente più critica.
Nonostante sia stato dimostrato che sia il suicidio sia l’ideazione suicidaria costituiscono costrutti sociali che dovrebbero essere analizzati in riferimento alle norme e agli atteggiamenti socio-culturali specifici di ciascuna comunità, uno dei più persistenti problemi relativi in particolare alla prevenzione del pensiero suicida riguarda ancora oggi la scarsa interdisciplinarietà degli studi e degli approcci e la diffusa convinzione che si tratti di problemi originati da fattori largamente individuali. Vale la pena di ricordare che fino al 1800 il suicidio era percepito come un atto strettamente personale, privo di connotazioni sociali e culturali. Solo con le ricerche del sociologo Emile Durkheim, il suicidio ha cominciato a essere compreso come un “fatto sociale”, strettamente correlato al grado di integrazione sociale e alle norme comunitarie.
A parte le implicazioni psichiatriche, suicidio e ideazione suicidaria rappresentano quindi fenomeni multifattoriali. Eppure, la tendenza prevalente legge questi problemi come connotati da cause psicologiche in qualche modo estranee al contesto di vita. È evidente che, quando ci si concentra sulla fenomenologia dello scenario suicidario, il dolore mentale appare utile per comprendere la fonte della sofferenza per coloro che sperimentano desideri suicidari: ma, pur in una società sempre più interconnessa come la nostra, sfugge la robustezza del nesso tra questa sofferenza e l’intersoggettività.
Da uno studio sugli adolescenti emerge l’importanza della sfera sociale
Sostengono queste considerazioni i risultati di una ricerca ideata e condotta nel 2023 nell’ambito del gruppo multidisciplinare Mutamenti sociali, valutazione e metodi (MUSA) del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR). Lo studio, pubblicato sulla rivista internazionale Scientific Reports, è stato realizzato con lo scopo di rafforzare la comprensione scientifica della nascita del pensiero suicida tra gli adolescenti, attraverso l’analisi simultanea dell’influenza di fattori socio-demografici, psicologici e sociologici sulla produzione del problema.
Per questo sono stati presi in considerazione i dati tratti dalle risposte date da un campione rappresentativo di 4.288 adolescenti italiani che frequentano scuole secondarie di secondo grado pubbliche.
Oltre alla mappatura della diffusione dei pensieri suicidi, che coinvolgono oggi circa la metà degli adolescenti italiani (il 44,9% li ha sperimentati almeno una volta), lo studio ha permesso l’identificazione del meccanismo dello sviluppo di questo problema durante l’adolescenza.
I risultati hanno confermato l’esistenza di un’associazione diretta tra il malessere psicologico e il pensiero suicida, chiarendo però come, a esclusione di implicazioni psichiatriche, esso non determina, ma al contrario è determinato, dal deterioramento dell’interazione umana. È la sfera sociale che viene così a configurarsi come il principale oggetto di ricerca ai fini della comprensione e del trattamento del problema dei pensieri suicidi.
Rispetto allo status socio-demografico, queste ideazioni caratterizzano maggiormente:
- le ragazze (6 su 10 contro 4 su 10 per i ragazzi);
- chi vive nelle are settentrionali del Paese;
- chi ha una cittadinanza straniera;
- chi frequenta gli istituti tecnici;
- i non credenti;
- chi ha un background familiare economico basso.
Come dimostrato dai modelli di regressione logistica multinomiale sviluppati nell’ambito dello studio, sono però specifiche caratteristiche dello status relazionale e dell’interazione sociale all’origine del fenomeno.
Nello specifico, i pensieri suicidi scaturiscono da una compromissione della salute mentale caratterizzata da ansia, depressione, basse autostima, felicità e soddisfazione, alta intensità di emozioni primarie negative e un atteggiamento negativo verso il futuro.
Questi aspetti sono però solo sintomi e non cause del problema, ovvero sintomi della presenza di una stretta e insoddisfacente rete amicale, di relazioni qualitativamente scarse con pari e genitori, di problemi di rendimento scolastico, iperconnessione, insoddisfazione corporea e anche di coinvolgimento come vittime in episodi di bullismo e cyberbullismo.
Serve maggiore attenzione ai mutamenti nell’interazione sociale
Verificare contemporaneamente l’influenza diretta e indiretta di molteplici variabili sia di natura sociologica sia psicologica ha permesso di ridimensionare precedenti risultati scientifici, mostrando come fattori solitamente ritenuti influenti sul fenomeno, come la tolleranza all’uso dell’alcol e delle sostanze psicotrope in generale, siano di fatto assolutamente secondari ai fini della sua spiegazione.
Quando ancora oggi, a livello mondiale, la stragrande maggioranza degli studi sui pensieri suicidi analizza esclusivamente gli aspetti psicologici del fenomeno, che di fatto ne costituiscono il fattore più evidente, ma appunto non la causa, la descrizione del meccanismo di sviluppo di questo problema in adolescenza dimostra invece l’esigenza di maggiore attenzione ai mutamenti in corso nell’interazione sociale.
Il ruolo cruciale dell’interazione sociale, che in Italia tende a essere più forte nelle regioni del Centro-Sud rispetto al Nord, è dimostrato dalla più alta frequenza del pensiero suicida tra gli adolescenti delle regioni settentrionali; mentre il rischio più elevato di comportamenti suicidari negli adolescenti con un background migratorio è spiegato non solo dalle sfide di acculturazione, ma anche spesso dalla presenza di condizioni socioeconomiche svantaggiate, che costituiscono parimenti un limite all’integrazione. Analogamente, il ruolo protettivo del credo religioso si connette allo spirito di comunità e alle reti sociali di sostegno caratterizzanti la partecipazione religiosa.
Relazioni sociali più rarefatte o formali, o percepite come di minore intensità qualitativa, sono proprio fattori determinanti il pensiero suicida anche nel caso degli studenti liceali, che – a parte le aspettative di rendimento scolastico – stanno iniziando a sperimentare anche in Italia modelli relazionali simili a quelli del Nord Europa, con genitori con un elevato status culturale meno presenti e che delegano maggiormente l’accudimento dei figli a professionisti.
Infine, il fatto che le ragazze maturino più pensieri suicidi dei loro coetanei maschi è motivato dall’influenza di norme sociali di genere e dalla pressione di modelli estetici che compromettono la soddisfazione corporea, l’autostima, la frequenza e l’intensità delle emozioni primarie negative.
Considerando il grave impatto della pandemia di COVID-19 e la conseguente trasposizione in misura sempre maggiore dell’interazione sociale sul piano virtuale sulla salute mentale degli adolescenti, lo studio del gruppo MUSA del CNR evidenzia l’urgente bisogno di interventi mirati e contestualizzati, e il ruolo centrale e cruciale della scuola nel sostegno del benessere relazionale giovanile.
Interventi più esperti dovrebbero essere attivati urgentemente in particolare a partire dalle scuole primarie, con il coinvolgimento di insegnanti e genitori, in tema di iperconnessione, devianza e violenza relazionale, educazione emotiva, autostima e allo scopo di decostruire simbolismi e condizionamenti sociali che stereotipizzano e gerarchizzano l’ambiente umano, a partire dalle asimmetrie di genere. Tutti problemi, questi, che deteriorano sostanzialmente la qualità di vita degli adolescenti di oggi.
Fonte: Antonio Tintori | Scienza in rete.it