Si sono superate le ideologie del Novecento, ma non la loro origine gnostica, descritta da Eric Voegelin nel Mito del mondo nuovo.
Lo gnostico, spiega Voegelin, “è insoddisfatto”, ritiene che la realtà sia uno schifo per la “perversità del mondo”. Lo gnostico crede “che sia possibile salvarsi dal male del mondo” rovesciandolo: “da un mondo cattivo deve emergere un mondo buono”. Questo “atto salvifico” derivato dagli sforzi umani, secondo lui, produrrà “un ordine perfetto di nostra piena soddisfazione” (questo fanatico millenarismo può appartenere anche a potenti istituzioni internazionali: si pensi oggi all’ecologismo).
In sostanza lo gnostico non riconosce la radice del male in sé e soprattutto non accetta di convivere con l’ineliminabile imperfezione del mondo, rifiuta il realismo che insegna casomai a limitare il male, a ridurne gli effetti. Non accetta l’inevitabile precarietà dell’esistenza dell’uomo sulla terra.
Naturalmente, nella logica gnostica, ciascuno individua il Nemico che vuole lui, cosicché possono esserci – per esempio – sistemi politici che si giudicano l’un l’altro come il Male da sradicare. Nemici che però applicano la stessa logica.
Si equivalgono? No, alcuni sono migliori, altri peggiori, ma li accomuna l’idea che sia possibile eliminare radicalmente il Male e che questo produca il paradiso in terra.
Nella parabola evangelica del grano e della zizzania c’è la perfetta rappresentazione degli gnostici: sono coloro che – vista la zizzania che cresce insieme al grano – propongono di andare a sradicarla (costoro rappresentano l’utopia, l’ideologia, il fondamentalismo, il fanatismo). Ma il “Padrone della messe” (Dio) dice di no, per non fare danni peggiori (il male a fin di bene): solo col Giudizio finale il Male sarà sradicato totalmente. Nel tempo della storia bisogna imparare a conviverci.
È questo l’orizzonte della straordinaria lezione di politica di Joseph Ratzinger nel libro Chiesa, ecumenismo e politica.
Ratzinger mette in guardia dal “mito dello stato divino” che vorrebbe realizzare tutta la speranza dell’uomo: “Il primo servizio che la fede fa alla politica è la liberazione dell’uomo dall’irrazionalità dei miti politici, che sono il vero rischio del nostro tempo. Essere sobri e attuare ciò che è possibile, e non reclamare con il cuore in fiamme l’impossibile, è sempre stato difficile; la voce della ragione non è mai così forte come il grido irrazionale. Il grido che reclama le grandi cose ha la vibrazione del moralismo; limitarsi al possibile sembra invece una rinuncia alla passiona morale, sembra il pragmatismo dei meschini. Ma la verità è che la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole con cui ci si fa gioco dell’umanità dell’uomo. Non è morale il moralismo dell’avventura… Lo è invece la lealtà che accetta le misure dell’uomo… Non l’assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell’attività politica”.
Un testo geniale che andrebbe letto per intero: mostra la nobiltà della politica e della diplomazia, del realismo e della disponibilità al compromesso. Proprio quello che oggi manca. Con effetti disastrosi.
Quando Papa Francesco, nei suoi appelli contro la guerra, proclama “Nessuno deve minacciare l’esistenza altrui”, non fa una semplice esortazione: indica un’altra logica umana e geopolitica da cui tutti, realisticamente, avrebbero da guadagnare. È un totale cambio di paradigma, di filosofia.
Fonte: AntonioSocci.com