L’ultimo atto è stata la sospensione, decisa dal patriarca di Mosca Kirill, di due sacerdoti, Dmitry Safronov, con l’accusa di aver celebrato una funzione in memoria di Alexei Navalny a 40 giorni dalla morte del dissidente russo, e Alexander Vostrodymov, reo di aver condiviso sui propri profili social alcune riflessioni cristiane sulla pace. Da questi “capi d’imputazione” si evince non soltanto quali siano i tabù del governo russo, ma anche quanto marcata sia la contiguità della Chiesa ortodossa col regime di Vladimir Putin. Ne abbiamo parlato con don Stefano Caprio, docente di storia, filosofia, teologia e cultura russa che ha vissuto per diverso tempo a Mosca.
Don Stefano, partiamo dall’attualità: la sospensione dei due sacerdoti può sfociare in un arresto?
«Nel caso di Dmitry Savfronov, che ha celebrato una Messa in memoria di Navalny, si tratta di una misura puramente ecclesiastica, la cui durata, peraltro, è ancora imprecisa, ma potrebbe arrivare fino a tre anni. Al momento, parliamo di un trasferimento in un’altra parrocchia dove non potrà celebrare alcuna funzione, ma soltanto fare il cantore o il lettore. Il significato, semmai, sta nel fatto che quella preghiera era rivolta a Navalny. Per quanto riguarda Vostrodymov, essendo stata avviata anche un’indagine, potrebbe ricevere una multa, ma non credo che si arriverà all’arresto».
C’è la possibilità che a entrambi venga tolto il sacerdozio?
«Sul piano ecclesiastico, sì. Lo stesso patriarca Kirill ha minacciato l’utilizzo di questa misura per coloro che si rifiutano di recitare la preghiera per la vittoria russa nella guerra in Ucraina. Vostrodymov si è limitato ad alcune riflessioni sulla pace, ma nel caso di Safronov l’essersi rifiutato di recitare quella preghiera, peraltro in una funzione in memoria di Navalny, credo che gli faccia correre questo rischio».
Quanti casi di dissidenza all’interno della Chiesa russa si sono registrati dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina?
«All’inizio del conflitto, ci fu la lettera sottoscritta da 300 sacerdoti contrari all’invasione. Diverse decine di loro vennero posti sotto osservazione».
Questo cosa implica?
«Si apre un procedimento presso il Tribunale ecclesiastico della singola diocesi. In certi casi si arriva direttamente al Tribunale di Mosca del patriarcato, come nel caso di Aleksei Uminsky, immediatamente ridotto allo stato laicale e costretto a fuggire in Lituania, dov’è stata aperta una sezione del patriarcato di Costantinopoli, che accoglie tutti i preti russi contrari alla guerra».
Ci sono stati altri preti costretti alla fuga?
«Alcuni sono andati all’estero, altri ci hanno provato. Altri ancora, invece, sono in bilico: preferiscono non esporsi troppo perché hanno una famiglia…».
E il governo russo quanto incide su questo?
«In Russia esiste un vero e proprio gemellaggio, una “sinfonia” come la chiamano loro, tra lo zar e il patriarca. E nonostante le proteste e i dissidi, ormai è diventato impossibile rovesciare il sistema. Anche a livello ecclesiastico. C’è una forte manipolazione delle coscienze per cui la Chiesa ortodossa sostiene la propaganda di Stato per dimostrare che la Russia è il bersaglio dell’Occidente e, per questo, tutti devono contribuire alla causa per difendere i valori tradizionali».
Nemmeno con la morte di Navalny, che pure ha scosso parecchie coscienze, c’è stato un sussulto nella Chiesa russa?
«Assolutamente no. Peraltro, a differenza di Putin, che a un certo punto si è trovato costretto a giustificare l’accaduto, senza ovviamente assumersene la responsabilità, il patriarcato moscovita ha ignorato tutta la vicenda. Non ha mai detto una parola, neanche dopo la morte di Navalny».
Vuole dire che, da questo punto di vista, la Chiesa ortodossa è peggio di Putin?
«Certo che sì. Parliamo di una struttura che vigila ormai sull’aspetto ideologico e, dunque, anche per non dare segnali di cedimento, non può né deve dire alcunché a riguardo».
Possiamo quindi affermare che la Chiesa ortodossa è la cassa di risonanza della propaganda putiniana?
«In un certo senso, sì. Con l’avvento di Putin al potere, la Chiesa ispirò la popolazione russa attraverso concetti come difesa, sovranità e identità. Poi, quando Putin ha deciso di prendere in mano la situazione in modo aggressivo, prima con l’invasione della Georgia e poi dell’Ucraina, si è limitata a fare da eco alla sua propaganda, aggiungendo giustificazioni di natura religiosa».
E non è mai stato possibile ribellarsi a quella violenza?
«A dire il vero, Kirill inizialmente non appoggiò Putin. Il momento più clamoroso fu l’annessione della Crimea nel 2014: il patriarca non partecipò ai festeggiamenti. Questa sua contrarietà derivava dal fatto che capì il rischio, in quel frangente, di inimicarsi l’Ucraina, dove la Chiesa ortodossa è molto più popolare e radicata. Anche all’inizio dell’invasione del 2022 sembrava non volersi esporre più di tanto, optando per il silenzio. Una settimana più tardi, però intervenne per ribadire la difesa contro l’Occidente».
A proposito del conflitto in Ucraina, come pensa che si potrà risolvere la questione?
«Ci sono tre possibilità. La prima è che la Russia riesca a sfondare e a vincere del tutto: non credo che riuscirà a conquistare l’intera Ucraina, ma sicuramente a rivendicare i territori occupati perché, in questo momento, la guerra è a suo favore. Una seconda opzione è che, messa alle strette, decida di scatenare la Terza guerra mondiale utilizzando armi nucleari, cosa che, tuttavia, mi pare gli stessi russi vogliano evitare. La terza variante è che non ci saranno vinti o vincitori, ma una situazione di stallo, una specie di guerra fredda che potrà durare decenni come accadde con Breznev alla fine della Seconda guerra mondiale».
Per un cambiamento nella Russia del futuro, pensa che sarà la Chiesa ortodossa dall’interno o quella cattolica da fuori a giocare un ruolo decisivo?
«Temo che la Chiesa cattolica avrà un ruolo molto ridotto, perché rappresenta una minoranza in Russia. Non ha grande capacità d’influenza e, per sopravvivere, è costretta talvolta a sottomettersi un po’a quella ortodossa. Quest’ultima, sebbene completamente squalificata così com’è, ha un grandissimo peso. Per cambiare occorrerebbe tornare alla situazione che c’era alla fine dell’Urss, quand’era guardata male proprio per l’appoggio che dava alle politiche sovietiche. Bisogna attendere una nuova rinascita religiosa, perché, ad oggi, non esiste alcuna alternativa in Russia».
Fonte: Matteo Menegol | FamigliaCristiana.it