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La legge 194 oltre l’ideologia

Con l’approvazione del Senato, dopo il sì della Camera, è diventata legge la norma secondo cui le Regioni, nell’organizzare i servizi dei Consultori familiari, possono «avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico dello Stato, anche del coinvolgimento di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità».

Attacco alla legge 194?

L’innovazione, già da quando è stata proposta in Commissione, è stata vista come un attacco alla legge 194 e alla libertà di scelta delle donne che si rivolgono ai Consultori per chiedere l’interruzione della gravidanza.

Le critiche possono essere riassunte nelle parole dell’ordine del giorno presentato dalla deputata Dem Sara Ferrari, secondo cui la norma ha «il solo scopo di fare entrare nei Consultori associazioni anti-abortiste che possano incidere psicologicamente, in modo inaccettabile e violento, sulla volontà delle donne che si confrontano con la difficilissima scelta dell’interruzione volontaria di gravidanza».

Questa è stata la posizione ufficiale del PD, la cui segretaria, Elly Schlein, ha parlato di «attacco pesante alla libertà delle donne». Ma non solo del PD: «L’Italia sceglie di fare un ulteriore passo indietro», ha dichiarato da parte sua il Movimento 5 stelle. E la deputata pentastellata Gilda Sportiello ha poi annunciato una proposta di legge per inserire il diritto di aborto nella nostra Carta costituzionale.

Reazioni dall’estero

Una ipotesi tutt’altro che peregrina, del resto, dopo che il 4 marzo scorso questo diritto è stato introdotto nella Costituzione francese e dopo che il Parlamento europeo ha votato, l’11 aprile, a favore del suo inserimento nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Insomma, il diritto di aborto sembra avviato a diventare un patrimonio comune di civiltà a livello internazionale.

Non stupisce, perciò, che, non solo nel nostro paese, ma anche all’estero l’emendamento riguardante i Consultori abbia suscitato proteste. La ministra spagnola della Parità, Ana Redondo, è intervenuta su X: «Consentire le molestie organizzate contro le donne che vogliono interrompere la loro gravidanza equivale a disconoscere un diritto riconosciuto dalla legge (…) per frenare l’uguaglianza tra donne e uomini».

Da Madrid si è fatta sentire anche Irene Montero, l’ex ministra a cui si deve la legge che, in Spagna, garantisce l’interruzione di gravidanza libera e sicura nelle strutture pubbliche a partire dai 16 anni: «L’aborto è un diritto fondamentale di tutte le donne, è un diritto umano, e fa parte del nostro diritto alla salute».

Le parole dello scandalo

A inasprire il dibattito, in Italia, sono venute poi le parole pronunciate da Incoronata Boccia, vice direttrice del TG1, alla trasmissione di Serena Bortone «Che sarà».

Boccia – premettendo di rendersi conto che le sue erano «parole forti» – ha affermato che, pur «lungi dal giudicare le storie e le persone», è però necessario dire che sull’aborto come tale «stiamo scambiando un delitto per un diritto», definendo l’interruzione volontaria di gravidanza «un omicidio» e appellandosi a voci autorevoli della Chiesa cattolica come madre Teresa di Calcutta e papa Francesco.

Affermazioni che hanno scatenato l’immediata reazione delle opposizioni. Quelle di Boccia sono parole «inammissibili» e contro «l’autodeterminazione della donna», ha detto Alessandra Maiorino di M5s, e «sviliscono le conquiste delle donne disconoscendo una legge dello Stato», secondo Luna Zanella di AVS (Alleanza Verdi e Sinistra).

Ma, ancora una volta, la presa di posizione più dura è venuta dal PD, che le ha giudicate, con la senatrice ed ex presidente delle donne democratiche, Cecilia D’Elia, «inaccettabili». Ma non basta: secondo la capogruppo Dem alla Camera, Chiara Braga, si porrebbe a questo punto una domanda che «riguarda i vertici RAI», di cui, come vice-direttrice del TG1, la Boccia fa parte: «Può ancora ricoprire quel ruolo chi offende le donne e le leggi?».

Una modalità inopportuna

Che cosa pensare di queste polemiche, in particolare quelle riguardanti l’emendamento appena approvato e il so rapporto con la legge 194? Dal punto di vista puramente formale, appare ragionevole la critica fatta da Mara Garfagna, presidente di Azione, riferendosi al fatto che la nuova normativa è passata grazie al voto di fiducia chiesto dal governo per il disegno di legge di conversione del decreto PNRR.

«Non fa onore alla politica avere inserito l’emendamento in silenzio dentro un provvedimento che serve a tutt’altro», ha rilevato la Garfagna. Da qui l’accusa, mossa alla destra dal capogruppo PD al Senato, Francesco Boccia, di aver compiuto «un blitz».

Da qui, soprattutto, l’equivoco che l’eventuale collaborazione delle associazioni del terzo settore ai Consultori comporti – come allarmisticamente qualcuno ha detto e molti hanno creduto – l’utilizzo dei soldi del PNRR, e sia dunque «a spese dei contribuenti», quando invece nel testo si escludono espressamente «nuovi o maggiori oneri a carico dello Stato».

Una diversa procedura avrebbe forse potuto evitare questa ennesima gaffe, dopo le tante a cui questo governo ci ha abituato.

Che cosa dice la Legge 194

Ma il problema decisivo, ovviamente, è se l’introduzione della norma che prevede la possibilità, da parte dei Consultori familiari, di «avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico dello Stato, anche del coinvolgimento di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità» sia compatibile o meno con la lettera e lo spirito della legge 194.

«Neppure la vecchia DC, la DC super cattolica di Giulio Andreotti che controfirmò la Legge 194 ignorando gli appelli dell’oltranzismo a dimettersi, aveva mai immaginato di consentire ai privati di intromettersi nel percorso accuratamente prescritto dalla norma», ha scritto Flavia Perina su Repubblica.

Tuttavia, basta leggere il testo della legge per trovare, all’art.2, una disposizione che smentisce inequivocabilmente questa critica: «I consultori, vi si dice, «sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita».

La Perina ha presente l’articolo, ma ritiene che esso ammetta «un unico intervento dell’associazionismo: a sostegno della maternità difficile “dopo la nascita” (e non prima della scelta)».

Evidentemente deve esserle sfuggito che il testo legislativo, dopo aver parlato della collaborazione delle associazioni private nei Consultori «per i fini previsti dalla legge» (che non riguardano solo la fase post-partum, ma proprio la fase della scelta), aggiunge solo successivamente che esse possono «anche» aiutare dopo la nascita. Dove la seconda cosa non esclude la prima («anche»).

Perciò, almeno in questo caso, ha ragione la ministra Eugenia Roccella a rispondere alle critiche nei confronti della normativa, facendo notare che «l’emendamento non fa altro che riprodurre alla lettera un articolo della legge sull’aborto in vigore da quarantasei anni».

Resta da chiedersi perché, allora, sia stato necessario un nuovo intervento normativo. La spiegazione data dal governo e in moltissimi casi confermata dai fatti è che fin qui la legge è stata unilateralmente interpretata solo nella parte che legittima l’interruzione volontaria della gravidanza, come d’altronde dimostrano le innumerevoli prese di posizione che, nell’attuale dibattito, le attribuiscono il riconoscimento del «diritto di aborto».

Lo spirito della Legge

Ma è veramente questo lo spirito della legge 194? Ancora una volta basta leggere il testo per rispondere. Cominciamo dall’art. 1, dove si esordisce dicendo che «lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio».

Esattamente al contrario della tesi oggi dominante, qui si esclude che il problema dell’interruzione della gravidanza si identifichi con quello della proprietà, da parte della donna, del proprio corpo, perché si ammette chiaramente l’esistenza di un soggetto umano che fin dall’inizio è presente e va tutelato. Al centro non c’è soltanto la donna, con i suoi diritti, ma la coppia madre-figlio («la maternità»).

Coerentemente con questo, all’art. 2 si precisa che il compito del Consultorio è di contribuire «a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza».

Il punto cruciale non è l’aborto, ma il modo evitarlo. Per questo possono essere utili gli apporti delle associazioni del volontariato, che non a caso vengono menzionate in questo contesto.

La legge certamente prevede la possibilità di abortire. Ma lo fa non nella logica dell’autonomia della donna, bensì in quella, molto diversa, del riconoscimento delle drammatiche situazioni che possono spingerla a farlo.

Perciò, all’art.4, ci si riferisce esplicitamente alle «circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito». Non una parola sul «diritto di aborto» come simbolo della libertà della donna e della sua giusta emancipazione.

Al contrario, all’art. 5, si dice che « il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso (…) di esaminare con la donna (…) le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto».

Questo dice la legge 194. Con i suoi numerosi punti deboli – in primo luogo una certa vaghezza nell’indicazione dei controlli, che la espone a facili abusi – essa è però chiara nei criteri di fondo. L’aborto, nella vita delle donne, è un dramma da soccorrere, non una bandiera da sventolare.

Esso comporta il doloroso sacrificio di una «vita umana» (art. 1) e l’intera società è chiamata a lottare perché la donna non vi sia costretta (art. 2). E la censura in TV, invocata per la Boccia – paradossalmente, dagli stessi che l’hanno condannata nel caso Scurati –, non è a difesa della legge in questione, ma di una ideologia che le è estranea.

Fonte: Giuseppe Savagnone | SettimanaNews.it

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