L’eccesso di capacità produttiva di Pechino (+33% nel 2024) ha causato un surplus globale ingestibile, con un’onda lunga sul mercato che sta affossando i prezzi anche negli Usa e in Europa
In Cina è esplosa la bolla del fotovoltaico. O meglio, dei pannelli solari. Ne sono stati prodotti così tanti che l’invasione sul mercato di questi prodotti ha causato un surplus globale ingestibile, nonchè un’onda lunga sui mercati che sta affossando i prezzi. Per carità, la spinta alla transizione energetica può essere vista positivamente, ma il mercato così non girà più e Stati Uniti e Unione Europea hanno chiesto a Pechino di contenere l’eccesso di capacità produttiva dei pannelli.
Il problema è anche “interno”. La Cina ha installato così tanti pannelli solari da generare un surplus di energia che il Paese non ha la capacità di stoccare. E così le autorità cinesi hanno iniziato a ritirare alcuni sussidi per il settore, tentando di ridurre il numero di nuove installazioni di pannelli solari. Ma il dado ormai è tratto: nel primo trimestre del 2024 a Pechino e dintorni le installazioni sono cresciute del 33% rispetto all’anno precedente, ma il vero boom (+154%) è stato appena un anno fa, nello stesso trimestre del 2023. Segno che la l’attuale “piena” dei pannelli è il frutto di quell’iper sviluppo. Anche i produttori cinesi stanno sentendo la pressione dell’overcapacity. A marzo, Longi Green Energy Technology, il più grande produttore mondiale di celle solari, ha annunciato il licenziamento di migliaia di lavoratori a causa della sovraccapacità e dei prezzi bassi. E così, un mercato interno saturo sta producendo un cortocircuito globale con migliaia di pannelli solari invenduti che hanno invaso i mercati extra Asia. Uno scossone in tutto il mondo visto che la Cina (che occupa le prime otto posizioni tra i primi dieci produttori di moduli fotovoltaici) produce pannelli solari a 16-18,9 centesimi per watt di capacità di generazione, le imprese Usa a 28 centesimi, quelle europee tra 24 e 30 centesimi. E così in sei mesi i prezzi dei moduli solari in Europa sono crollati, quasi ridotti della metà.
Il fenomeno cinese non è però isolato. Anche la Germania sta producendo così tanta energia solare che i prezzi dell’energia sono scesi in territorio negativo. Lo scorso anno la Germania ha installato una capacità record di 14.280 MW di energia solare, quasi il doppio rispetto al 2022. La capacità solare totale installata ha raggiunto 81.7 GW alla fine del 2023, un dato impressionante se si pensa che la domanda media di energia in Germania era di 52.2 GW. Sia in Cina, sia in Germania, la rete fa inoltre fatica a supportare questo eccesso di energia e si profila all’orizzonte la possibilità che, chi produce in eccesso energia, non possa più rivenderla limitandosi all’autoconsumo.
Un fenomeno da monitorare anche per quei Paesi dove non c’è (ancora) un eccesso produttivo. La politica dei dazi adottata oggi (per esempio dagli Usa) difficilmente arginerà il fenomeno. Il presidente americano Joe Biden ha messo nel mirino i pannelli fotovoltaici bifacciali che finora non erano soggetti a tariffe di salvaguardia ai sensi della Sezione 201 del Trade Act del 1974, grazie all’esenzione reintrodotta nel 2021 dalla Corte del commercio internazionale degli States. Nel dettaglio, la nuova aliquota tariffaria sulle celle solari (assemblate o meno in moduli) aumenterà dal 25% al 50% nel 2024. Ma l’impatto potrebbe essere limitato sui mercati. Dal canto suo, l’Europa ha avviato due indagini su altrettante società cinesi produttrici di pannelli solari sospettate di aver ricevuto sussidi statali dall’estero. In vari Paesi, compresa l’Italia, si stanno avviando nuove produzioni ma allo stato attuale delle cose Bruxelles rischia di sostituire la dipendenza da Mosca per il gas con una dipendenza da Pechino per le tecnologie verdi, compresi i moduli solari. La migliore risposta, al momento, resta quella di puntare, in ogni caso sulla qualità e l’innovazione tecnologica che, nel lungo periodo, potrebbe fare la differenza.
Fonte: Sofia Fraschini| Avvenire.it