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L’etica come orientamento negli ambienti digitali

Adriano Fabris identifica con lucidità e precisione il ruolo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nella società attuale, evidenziandone le opportunità ma anche i rischi correlati. Lungi da assumere un atteggiamento negativo e proibizionistico, soprattutto nei confronti delle giovani generazioni, auspica la necessità di «governare nella giusta misura le opportunità a cui essi [i dispositivi mobili] danno accesso». Facendo riferimento a questa opportunità afferma che «tali dispositivi non solo permettono di comunicare, non solo ci offrono applicazioni per ogni esigenza, ma ci aprono mondi» e, seguendo questa linea di ragionamento, osserva che questi mondi «si affiancano e si sovrappongono all’ambiente fisico in cui ci collochiamo con il nostro corpo». Si entra così nel cuore dell’articolo, che Fabris riassume in poche ma chiare parole: «dobbiamo imparare a governare il rapporto tra questi diversi ambienti», quello fisico e quello digitale, e dobbiamo gestire questa novità fenomenologica «da un punto di vista etico».

Prima di procedere all’analisi delle caratteristiche degli ambienti fisici e digitali, Fabris introduce una precisazione terminologica, distinguendo tra “luogo”, “spazio” e “ambiente”, specificando che quest’ultimo è percepito in maniera privilegiata «in quanto il modo in cui pensiamo il nostro essere al mondo è soprattutto quello dell’abitarlo». L’ambiente coincide in prima battuta con la nostra casa, la nostra abitazione, un qualcosa che non esiste in natura e che, nel tempo, si è arricchito di entità artificiali che sono «soprattutto l’esito di uno sviluppo tecnologico». Negli ultimi anni, queste entità appartengono a una «specifica categoria di ambienti tecnologici: quella delle tecnologie dell’informazione e della comunicazioni» alla quale appartengono i dispositivi mobili citati all’inizio dell’articolo. Sono entità che, tuttavia, non danno solo la possibilità di scambiare informazioni, di comunicare, ma anche di agire autonomamente nell’ambiente in cui sono usate. Sono capaci di modificare il comportamento, le abitudini degli esseri umani, coinvolgendoli attivamente in un’interazione che li vede protagonisti e non semplici strumenti, ubbidienti e servili.

La presenza nell’ambiente digitale di entità dotate di un elevato grado di autonomia richiede, allora, di «approfon­dire alcune implicazioni etiche». Si entra nella parte propositiva dell’articolo, dove Fabris stabilisce che «la questione di fondo è quella anzitutto di distinguere i diversi ambienti che abitiamo, di metterli in relazione fra loro, di passare dall’uno all’altro in maniera consapevole e competente, di vivere in essi in modo buono». Sono tre obiettivi dialettici ben precisi che prevedono una fase di analisi, di confronto e, infine, di valutazione. Lo strumento è apparentemente linguistico, quando Fabris opera una distinzione sintattica tra «un’etica delle tecnologie» e «un’etica nelle tecnologie». Ma proprio questa netta distinzione mette in luce la grande differenza che esiste tra «studiare i criteri e i principi che sono propri dei mondi artificiali che abbiamo di fronte» e, invece, capire ciò che è «concernente i nostri comportamenti all’interno degli ambienti tecnologici».

Nell’ultima parte dell’articolo Fabris diventa operativo. Dopo l’approfondimento della natura dei temi trattati, ci ricorda il compito principale dell’etica e, cioè, quello di sviluppare la capacità non solo di valutare gli ambienti al cui interno viviamo, ma anche di «acquisire la capacità di orientarsi in questo quadro complesso», mettendo «in gerarchia gli spazi che è possibile abitare, ordinarli e scegliere, nel caso, quello più adatto per l’attività che stiamo compiendo». Si entra in un contesto più ampio, in cui non è più sufficiente un’azione conoscitiva, meramente fenomenologica, ma devono essere utilizzate categorie di ordine superiore, scale di valori e di scelta, in grado di dare risposte semantiche e contestualizzate. Solo così, ipotizza Fabris, «l’etica può aiutare l’essere umano a diventare – potremmo dire – un selezionatore e un organizzatore di mondi».

Cosa si impara dalla lettura di questo articolo? Senz’altro la consapevolezza che il tema ecologico, che ha attivato la coscienza di molte persone per la difesa del nostro pianeta, è molto più ampio di quanto implicito nella radice etimologica della parola “ambiente”. Non è solo la natura, ma anche l’abitazione in cui viviamo. Non è popolato da specie animali e vegetali da proteggere, da tecnologie inquinanti da sostituire, ma anche da entità artificiali che interagiscono con noi e che ci stanno lentamente, ma inesorabilmente cambiando. Diventa allora urgente analizzare la relazione che abbiamo con queste entità, non solo da un punto operativo e funzionale ma, soprattutto da una prospettiva valoriale.

Entra in campo l’etica, che non è più solamente la bussola che ci orienta nelle opzioni della sostenibilità ambientale ma che ci consente di capire il nostro coinvolgimento con chi abita la nostra casa, con chi interagiamo e, adesso, con chi parliamo usando il nostro stesso linguaggio. Fabris ci mette giustamente in guardia nei confronti di un atteggiamento che può essere passivo, di accettazione e anche sottomissione, o di rigetto aprioristico. I dispositivi digitali saranno presto animati dall’intelligenza artificiale, sapranno fare «cose che voi umani non potreste immaginarvi». Chiudendo con le stesse parole finali dell’articolo «solo così potremo comprendere fino in fondo la situazione in cui ci troviamo, ed essere motivati ad assumere, in relazione a ciò, comportamenti buoni».

Fonte: Vincenzo Ambriola*  | lisandermag.substack.com

*Università di Pisa

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