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Eutanasia legale e il rischio di essere obbligati a uccidere

In Canada un gruppo di attivisti porta in tribunale gli ospedali cattolici chiedendo che non possano più rifiutarsi di praticare l’eutanasia. È l’inevitabile deriva liberticida di un’ideologia mortifera

L’eutanasia in Canada è legale dal 2016, uccide circa 16 mila persone all’anno, ma ci sono ancora alcuni sparuti settori della società che la contestano. Per questo gli attivisti, in barba a ogni precedente rassicurazione sulla sacralità della libertà di coscienza eccetera eccetera, si sono posti l’obiettivo di obbligare a colpi di processi ogni singola istituzione medica del paese a uccidere i propri pazienti. Neanche a dirlo, a essere presi di mira sono soprattutto gli ospedali cattolici.

Il caso O’Neill

L’ultimo caso, in ordine di tempo, è quello dell’ospedale St Paul di Vancouver (British Columbia), trascinato in tribunale dagli attivisti pro eutanasia di Dying with Dignity e dalla famiglia di Sam O’Neill con l’accusa di non aver permesso alla donna di morire come richiesto nella sua stanza all’interno dell’istituto.

Alla 34enne era stato diagnosticato un cancro al collo dell’utero nel 2022. Dopo un anno di cure presso il St Paul, l’ospedale più vicino a casa, O’Neill ha richiesto l’eutanasia. Dopo un ciclo di cure palliative, la donna ha scoperto che l’ospedale gestito dall’organizzazione cattolica Providence Health Care non le avrebbe somministrato l’eutanasia, essendo contraria per ragioni religiose e di principio

O’Neill ha avuto accesso all’iniezione letale, come richiesto, ma per ottenerla è stata trasferita a spese dell’ospedale in un hospice di Vancouver.

La “clinica della morte”

In base a un accordo tra il governo della British Columbia e gli istituti sanitari, conosciuto come Master Agreement, gli ospedali religiosi possono rifiutarsi di fornire prestazioni mediche contrarie ai propri convincimenti.

Per ovviare al problema, il governo della British Columbia aveva deciso a dicembre dell’anno scorso di espropriare un terreno di proprietà dell’organizzazione cattolica Providence Health Care per costruire di fianco al St Paul una “clinica della morte” che fornisca solamente l’eutanasia ai pazienti dell’ospedale. La clinica sarebbe collegata al nosocomio attraverso un corridoio, così che i pazienti non debbano affrontare il trasporto in ambulanza.

La libertà religiosa finisce in tribunale

Insoddisfatta anche da questa incredibile decisione del governo provinciale, il 17 giugno l’associazione Dying with Dignity e la famiglia di Sam O’Neill hanno denunciato l’ospedale e il governo della British Columbia presso la Corte Suprema. Per gli attivisti, un’istituzione sanitaria non può rifiutarsi di praticare l’eutanasia a meno di violare le sezioni 2 e 7 della Carta canadese dei diritti e delle libertà, che tutelano la libertà religiosa e di coscienza delle persone e il loro diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza.

Sembra un controsenso, ma per gli attivisti nessuno «dovrebbe soffrire per le credenze religiose di altri». La libertà religiosa, affermano, deve essere anche intesa come «libertà dalla religione, libertà dal doversi conformare alle credenze religiose di altri». E il rispetto della libertà di coscienza dei cattolici che gestiscono l’ospedale? Quello può essere violato senza problemi.

«La Chiesa resta contraria all’eutanasia»

In Canada esistono 129 istituti sanitari gestiti da 19 diocesi e 14 organizzazioni cattoliche per un totale di 20 mila posti letto. Come scritto in un comunicato dalla Conferenza episcopale canadese, «nonostante le pressioni che subiamo, la Chiesa cattolica ritiene che la vita sia sacra e inviolabile e per questo ci opponiamo all’eutanasia e al suicidio assistito, che restano inaccettabili e rappresentano un affronto alla dignità umana e una violazione della legge naturale e divina».

«Ci opponiamo», continuano i vescovi, «a ogni tentativo da parte dei governi o di altri di obbligare le nostre strutture a praticare l’eutanasia in violazione dell’insegnamento cattolico. Il nostro impegno, in quanto cristiani, è quello di accompagnare i malati con cura e amore fino alla morte naturale».

Una donna protesta contro l'eutanasia in Canada
Una donna protesta contro l’eutanasia in Canada

Le suore che resistono alle pressioni

Il caso che riguarda l’ospedale St Paul è solo l’ultimo esempio del più ampio tentativo di eliminare qualsiasi forma di dissenso rispetto all’eutanasia in Canada. Il primo si è verificato nella provincia di Nova Scotia, dove la nota attivista pro eutanasia Jocelyn Downie ha iniziato a chiedere nel 2018 che l’ospedale Saint Martha venisse obbligato a uccidere i propri pazienti.

La proposta è stata subito raccolta dal governo provinciale, che ha fatto pressione sulle religiose perché accettassero di praticare l’eutanasia nel proprio ospedale. Le suore di Saint Martha hanno opposto strenua resistenza, tanto che il governo ha dovuto trovare una soluzione alternativa: costruire una “clinica della morte” nella città di Antigonish, vicino all’ospedale delle religiose. «Il governo ci ha garantito che non saremo noi a dover fornire l’eutanasia ai nostri pazienti nel nostro ospedale», ha dichiarato in un comunicato suor Brendalee Boisvert, leader della congregazione.

Praticate l’eutanasia o chiudete per sempre

Dopo la Nova Scotia, è toccato alla British Columbia, dove uno degli enti che gestisce la sanità pubblica (Fraser Health Authority) nel dicembre 2019 ha inviato una lettera poco conciliante al consiglio di amministrazione della Delta Hospice Society, proprietaria di un piccolo hospice che fornisce cure palliative (l’Irene Thomas) nella città di Delta: praticate l’eutanasia all’interno della vostra struttura o chiudete.

Come vi ha raccontato Tempi, ne è seguita una battaglia legale che si è conclusa con la chiusura e l’espropriazione della struttura. La Delta Hospice Society, per essersi rifiutata di porre fine alla vita dei malati, ha perso un edificio da 8 milioni di dollari, senza venire compensata in alcun modo dal governo. Sullo stesso terreno è stato poi aperto un nuovo hospice che oggi fornisce l’iniezione letale.

Il Quebec sembra la «Germania nazista»

A giugno dell’anno scorso, in Quebec, la capitale mondiale dell’eutanasia e la prima provincia canadese a legalizzare la buona morte già nel 2015, il Parlamento ha approvato una legge (Bill 11) per costringere tutti i centri di cure palliative, che almeno in teoria dovrebbero essere alternativi alla buona morte, a fornire l’eutanasia ai pazienti.

La Chiesa cattolica aveva chiesto al ministro della Salute di prevedere un’esenzione per le proprie cliniche nel rispetto della libertà religiosa, ma la richiesta è stata respinta.

La decisione ha spinto l’accademico Pier-Luc Turcotte a paragonare sulla Montreal Gazette l’eutanasia in Quebec a quella nella Germania nazista.

Chi non vuole uccidere i pazienti, neanche li curi

Dopo l’approvazione della legge in Quebec, la clinica di cure palliative St Raphael si è trovata in estrema difficoltà. Il centro, infatti, sorge in un edificio (una chiesa sconsacrata) e su un terreno di proprietà dell’arcidiocesi di Montreal, che ha donato cospicui finanziamenti a un’organizzazione non a scopo di lucro per prestare cure ai canadesi in fin di vita. L’accordo legale, firmato nel 2019 per 100 anni, prevede che il centro non possa in alcun caso praticare l’eutanasia. Al momento della firma, nel 2019, la legge del Quebec permetteva agli ospedali di rifiutare l’eutanasia nel nome della libertà religiosa.

Dopo l’approvazione della legge (Bill 11) da parte del governo, che ha cambiato le carte in tavola, la clinica ha chiesto un’esenzione religiosa trovando contemporaneamente un accordo con un ospedale in grado di offrire l’eutanasia ai pazienti del St Raphael. Ma non è stato sufficiente e il governo ha negato l’esenzione: chi vuole curare, deve essere anche disposto a uccidere.

Di conseguenza, a febbraio l’arcidiocesi di Montreal ha fatto causa al governo, lamentando la violazione della libertà religiosa garantita a ogni cittadino dalla Carta canadese dei diritti e delle libertà. «La Chiesa si oppone a ogni forma di eutanasia», ha dichiarato l’arcivescovo Christian Lépine. «Abbiamo aperto la clinica per offrire ai malati terminali un’alternativa all’eutanasia. Ora chiediamo di non essere obbligati a compiere azioni che per noi sono moralmente inaccettabili».

I dati dell'eutanasia in Canada secondo l'ultimo rapporto biennale pubblicato dal governo
I dati dell’eutanasia in Canada secondo l’ultimo rapporto biennale pubblicato dal governo

Le analogie tra Italia e Canada

L’Italia, e soprattutto i cattolici, dovrebbero fare molta attenzione alla parabola del Canada. Come in Italia, anche nel paese guidato da Justin Trudeau l’eutanasia è stata sdoganata dalla Corte Suprema, che nel 2015 definì incostituzionale la proibizione della buona morte. Obbligato ad approvare una legge, il Parlamento nel 2016 ha adottato un testo pieno di “paletti” e garanzie, caduti uno ad uno nel corso degli anni.

Oggi qualunque cittadino – gratuitamente, con poco sforzo e quasi a prescindere dalle condizioni di salute – può ottenere l’iniezione letale, mentre pochissimi hanno accesso alle costose cure di cui avrebbero bisogno per continuare a vivere.

Nessuno può opporsi all’eutanasia

Ma dare a tutti il diritto di essere uccisi dallo Stato e spingere anziani e disabili a preferire questa opzione alle cure non può bastare. In un paese dove oltre 15 mila persone vengono uccise ogni anno con l’iniezione letale, non ci può essere spazio per il dissenso basato sulla libertà religiosa e di coscienza.

È una conseguenza naturale, per quanto estrema, dell’eutanasia. Lo Stato, infatti, non vuole essere chiamato “assassino”, al contrario ama apparire benevolo e per questo non tollera che qualcuno si rifiuti di uccidere. Ogni rifiuto equivale a un’implicita condanna morale del baratro verso cui la società inconsapevole, guidata per mano da finti angeli, alfieri di una presunta dignità e di una fasulla autodeterminazione, si dirige.

Gli ospedali trascinati in tribunale da zelanti attivisti non hanno in alcun modo impedito l’applicazione della legge. Si sono addirittura prodigati per trasferire in altri ospedali i malati che desiderano la morte. Hanno solo chiesto di non essere obbligati a porre fine ad altre vite. Ma anche questo minuscolo spiraglio, prima o poi, diventa inaccettabile agli occhi di una società che glorifica l’eutanasia: se uccidere i malati è così degno, compassionevole e amorevole, che ragione c’è di rifiutarsi? Non è forse bello essere tutti più buoni, come a Natale?

Fonte:  Leone Grotti | Tempi.it

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