Il video dei due giovani che sparano all’impazzata contro un distributore di carburanti a Caivano è spaventoso. Poteva essere una strage. Il solo pensiero che un bambino potesse finire sotto i colpi di quella mitraglietta maledetta mi toglie il respiro. Prima di ogni altra considerazione di ordine sociale, politico, è doveroso per tutti porci le domande vere, quelle che ci fanno male: «Chi sono queste nuove leve? Quanti anni hanno? Di chi sono figli? Hanno studiato? Possibile che tutti: famiglie, amici, parrocchie, scuole, mondo dello sport, servizi sociali, politica locale, regionale e nazionale, non siamo riusciti a far loro capire che la strada intrapresa, è un vicolo cieco che li porterà o in carcere o al camposanto?». Queste radici perverse da dove sono sbucate? E perché non riusciamo a estirparle? Siamo davvero condannati alla rassegnazione? Hanno ragione, dunque, coloro che, incapaci di sperare, non fanno che dire che è inutile ogni tentativo di riportare questa nostra terra a vivere nella legalità? Le estorsioni sono una sciagura. Alle tasse imposte dallo Stato se ne aggiungono altre, con l’intimidazione, il sopruso, la violenza. Se necessario, le uccisioni. Resistere non è semplice. Si può ragionare con chi ragiona, non con chi imbraccia un mitra. Imprenditori, industriali, commercianti sono stretti in una morsa: pagare – vergognandosi con se stessi e con i figli – o alzare i tacchi e andare via, pentendosi per il resto della vita, di non aver lottato a sufficienza per contribuire a liberare dalla camorra la loro città, la loro gente. Il problema – anzi, il dramma – non è di facile soluzione. A riguardo, i venditori di fumo, alla ricerca di facili consensi, lasciano il tempo che trovano. Occorrono lavoro per chi non vuol delinquere e leggi severe – severissime – per chi ha deciso di vivere succhiando il sangue ai cittadini come una sanguisuga. Farebbero ridere – se questa ulteriore violenza non fosse tragica – farebbero ridere, dicevo, le “analisi” dei nemici del governo Meloni, giunto a Caivano un anno fa su mio invito, e che vorrebbero scaricare su di esso ogni responsabilità. Farebbero ridere perché – ingannando qualche ingenuo – tentano di rinnegare, sfidando il ridicolo, lo sforzo compiuto e le opere realizzate. Niente di peggio. Il “problema camorra” – purtroppo- è vecchio, noioso, stantio, putrefatto. Atavico. Per chi si intende di camorra in Campania, ma anche restringendo il campo solo a Napoli e provincia – o, addirittura, fermandosi alla zona Afragola – Caivano – Secondigliano- Casal di Principe – sa che la cosa è più tragica e complessa di quanto appaia a prima vista. Al di là di tutto, però, permettetemi di rivolgermi direttamente – sono un prete – ai ragazzi con il mitra e la pistola. Vi prego, fratelli, fate marcia indietro. Salvatevi finché siete in tempo. Godetevi la vita. Andate al mare. Vivete sereni. Mangiate il pane guadagnato con il sudore della vostra fronte, l’unico pane che veramente sazia. Se li amate, come dite, non condannate a morte i vostri figli. Smettetela di terrorizzate la nostra povera gente. Non lo merita. Già lotta per mettere insieme il pranzo con la cena. Siamo già tanto impauriti. Non macchiatevi di sangue, innocente o meno. Respirate a pieni polmoni la freschezza dei vostri anni. Si vive una volta sola, cercate di essere felici. Se volete, fatevi vedere. Mi trovate in parrocchia tutte le sere. Se volete parlare con il nostro e vostro vescovo, Angelo Spinillo, fatemelo sapere. Caivano è stanca di violenza e morti ammazzati. Di camorristi e di politici collusi. Ricordo le parole che mi disse l’ex capo del Clan dei casalesi, Carmine Schiavone, poi collaboratore di giustizia: «Don Patriciello, senza gli agganci con la politica, noi saremmo rimasti solo una piccola banda di delinquenti di paese…». Cose sapute e risapute. Dette e ridette. Ma da mettere in pratica quanto prima. Schiacciamo la testa alla serpe maledetta. Liberiamo la politica locale e gli uffici comunali da ogni infiltrazione camorristica. Riprendiamoci la nostra libertà. La nostra dignità. E aiutiamo le nuove – nuovissime – leve, a uscire dai meandri di questo sodalizio maledetto. Presto, però, dobbiamo arrivare prima che sia tardi. I nostri concittadini caivanesi chiedono solo un po’ di pace. Ragazzi, aiutateci ad aiutarvi. La nostra mano è tesa, afferratela. Fidatevi. Insieme ce la faremo a uscire da questo tunnel fetido e buio. Con fatica, ma ce la faremo.
Fonte: Maurizio Patriciello | Avvenire.it