Una foto di 30 anni fa e una di oggi invitano a riflettere: dalle gite in montagna al ristorante, è giusto fare qualunque cosa con i bambini?
Più o meno trent’anni fa nel catalogo di una nota marca di abbigliamento tecnico e sportivo, Patagonia, venne pubblicata una fotografia che in seguito sarebbe diventata iconica: ritraeva una neonata, avvolta in una tutina viola, sospesa nel vuoto tra due rocce perché la madre l’aveva lanciata al padre nell’intenzione di superare un crepaccio, e proseguire insieme il cammino nel Joshua Tree National Park, in California.
Guardare quell’immagine a distanza di tanto tempo fa un certo effetto, perché riflette uno stile di vita, ma anche la sensibilità di un’epoca. In una foto è rappresentata la voglia di vivere di due giovani – peraltro in un simbolico passaggio di “testimone” dalla madre al padre – ma anche il desiderio di continuare a celebrare la propria passione per il trekking e l’arrampicata, e soprattutto di volerlo fare insieme a un figlio, pur se appena nato. La sfida e il rischio della genitorialità, così come la sua dimensione avventurosa, potremmo dire, si affiancano, e non si sostituiscono, alle sfide e ai rischi della vita senza figli: l’idea, per molti aspetti affascinante, è che con i bambini si può continuare a fare tutto quello che si faceva prima, insieme, senza bisogno di adattamenti né di limiti.
Trent’anni dopo, molto è cambiato. Per capirlo su può osservare un’altra immagine, che di recente ha fatto discutere e indignato non poco: una famiglia affronta una via ferrata abbastanza impegnativa in Trentino, il padre scende insicuro tra le rocce con un neonato in braccio, mentre la madre tiene per mano un altro figlio chiaramente in ansia per la situazione. Tutti i commenti sono stati di forte biasimo verso quella coppia di turisti incauti, ma a nessuno è venuto in mente che, in fondo, stavano facendo qualcosa di non molto diverso rispetto al gesto di passarsi una neonata tra le rocce come fosse un pallone da rugby.
Il turista fotografato in Trentino mentre scende da una via ferrata con un bambino piccolo in braccio – Ansa
Probabilmente il giudizio è mutato non a causa del fatto che in tre decenni i bambini sono diventati un bene raro e prezioso, e dunque i pochi che nascono andrebbero preservati da rischi inutili. L’accanimento sembra piuttosto dovuto all’indignazione che scatta verso tutti coloro che si avventurano in montagna senza preparazione, o privi dell’abbigliamento adatto.
Se ci si pensa bene, però, questa deriva, ovvero la tensione al voler essere tutti ovunque e a prescindere, senza limiti né ostacoli, perché chiunque può fare qualunque cosa, e sempre, potrebbe affondare le sue radici proprio nella visione che in altri tempi ha prodotto l’immagine di un neonato lanciato dalla madre al padre. Chiaro che se non ci si deve mai fermare, se cioè l’opzione di adattarsi a una nuova situazione ascoltando il suggerimento della vita, ad esempio l’essere diventati genitori, non è mai contemplata, succede che è un attimo arrivare a vedere in quel fagotto qualcosa di molto simile a un fardello. E dunque perché averne, di figli?
Oggi nelle pubblicità di abbigliamento da trekking e da montagna – fateci caso, sarà una conseguenza? – le persone camminano quasi sempre da sole, dimensione romanticamente sublime, ma anche ricorrente destino delle traiettorie individualiste. Potremmo tenerne conto in tante situazioni, ad esempio nel momento in cui ci chiediamo cosa pensare dei locali pubblici, dei ristoranti o degli hotel, che chiudono le porte ai bambini.
La cosa in sé può infastidire, ma ci si dovrebbe interrogare sul senso del portare i figli piccoli ovunque perché si è poco disposti a modificare la propria vita una volta diventati genitori. Ci sono scelte che opprimono ed esperienze che spalancano orizzonti, dunque fermarsi, come giudicare, non è una buona soluzione. Il punto è capire quale sia il passo giusto da tenere, sapendo che grazie ai figli si può trovare una nuova strada e imparare un nuovo modo di camminare, insieme.
P.S.
La bambina della foto, che oggi ha 33 anni, si chiama Jordan Leads, sta benissimo, vive in California, fa la stenografa, ama scalare, ha avuto un figlio al quale intende trasmettere la stessa passione per la vita all’aria aperta che ha ricevuto dai genitori. Il suo nickname sui social non poteva che essere @thatflyingbaby, la bambina che vola.
Fonte: Massimo Calvi | Avvenire.it