I luoghi di morte possono trasfigurarsi in luoghi della memoria e della pietà, se sappiamo riconoscerli, ascoltarli, tenere vivo il monito che, come un sussurro, li attraversa. Sulla strada che collega Bologna e Firenze, nel tratto appenninico, al Passo della Futa ci s’imbatte in uno di essi: il Cimitero militare germanico. Proseguire senza fermarsi, significa privarsi di un’esperienza unica, per diverse ragioni. Questo è il più grande sacrario tedesco in Italia: vi riposano 30.683 soldati tedeschi. Ma non solo: il visitatore che sceglie di varcarne la soglia si renderà conto dopo pochi passi di trovarsi in un cimitero che non ha nulla a che vedere con tutti gli altri: se l’aggettivo non suonasse stonato, bisognerebbe dire che è un sito bellissimo, in cui architettura e paesaggio si compenetrano trasmettendo un senso di quiete e invitando alla contemplazione. La sommità della collina è avvolta da un muro di arenaria che sale a spirale creando una serie di terrazze, dove, a terra, sono posate le lapidi di Heinrich, Ludwig, Herbert… Al culmine di questo movimento ascensionale svetta una lama, spezzata sì, a evocare le tante vite falcidiate, ma comunque protesa verso il cielo.
A concepire questa stupefacente opera paesaggistico-architettonica fu Dieter Oesterlen (1911-1994), uno degli architetti protagonisti della ricostruzione della Germania nel Dopoguerra, per dare pace eterna a questi uomini, perlopiù giovani (la maggior parte di loro aveva un’età compresa fra i 16 e i 30 anni), mandati dalla follia di Hitler a combattere sulla famigerata Linea Gotica per bloccare l’avanzata da Sud verso Nord delle forze alleate. Terre di combattimenti atroci e violenze inaudite, come ben sapevano gli abitanti di queste zone, che all’edificazione di questo cimitero guardavano con diffidenza e manifestarono il loro dissenso. Dissenso che, raccontano le cronache di allora, cessarono proprio il giorno dell’inaugurazione, il 28 giugno 1969, quando dai pullman arrivati dalla Germania scesero 2.000 madri, gli occhi bagnati non solo dalla pioggia battente di quella giornata, per deporre finalmente un garofano sulla tomba del figlio: «Il dolore è uguale per tutti, queste duemila donne piangono come tutte le mamme del mondo», scrisse un cronista in uno dei rari articoli del tempo.
Già, perché questo luogo così straordinario fu pressoché dimenticato da tutti per decenni, e ancora oggi non è conosciuto come meriterebbe. Chi da tempo lavora per valorizzarlo è Archiviozeta, un’associazione culturale che dal 2003 ambienta i propri spettacoli nel cimitero militare germanico. «L’abbiamo visitato per la prima volta nel 2002, nel cuore i silenzi e le parole di Elie Wiesel, l’ebreo sopravvissuto ad Auschwitz, Nobel per la pace», raccontano Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti. «Fu un’autentica folgorazione. Non avemmo dubbi: avremmo rappresentato qui, fra queste tombe, i nostri lavori. E la scelta cadde immediatamente su I Persiani di Eschilo, la tragedia greca che parla dei nemici, dei vinti, e di noi in rapporto a loro. Decidemmo di coinvolgere la popolazione locale per formare il Coro dei vecchi persiani e aggregammo il Coro delle donne, provando nella Biblioteca di Firenzuola, il Comune in cui sorge il cimitero».
Fu l’inizio di un percorso culturale che, dopo Eschilo, Sofocle, Kraus, Pasolini, Shakespeare, Dostoevskij, ha visto quest’anno la messa in scena di La montagna incantata di Thomas Mann, precisamente della terza e ultima parte del capolavoro, dopo che le prime due erano state presentate nel 2022 e nel 2023, sempre al Passo della Futa, e insieme all’Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna – altro luogo altamente simbolico – a luglio. Perché La montagna incantata? «L’occasione esteriore è il centenario della pubblicazione del romanzo di Mann», spiegano Sangiovanni e Guidotti, «le motivazioni interiori e più profonde hanno a che fare con i grandi temi che vi vengono affrontati, in particolare quello della malattia e della guerra. Abbiamo lavorato sul testo durante l’epidemia da Covid, quindi il tema della malattia, così centrale nell’opera di Mann, era per così dire sotto i nostri occhi; e quel senso tragico di guerra imminente che si aleggia tra le pagine rimandava alle guerre di allora e anticipava tragicamente quelle che sarebbero scoppiare di lì a poco e che stanno ancora oggi insanguinando il mondo». Ecco dunque un potente cortocircuito temporale: il racconto dell’ascensione verso il sanatorio di Hans Castorp, protagonista del romanzo, che si conclude con la discesa agli inferi della Prima guerra mondiale, evocata nelle ultime pagine, rivive nel sacrario dove riposano migliaia di soldati mandati a morire nel 1944-45.
Al centenario dell’opera di Mann si aggiungano altri due anniversari: il bombardamento di Firenzuola, avvenuto il 12 settembre 1944, e l’inizio della Prima guerra mondiale, il 28 luglio 1914.
Lo spettacolo proposto dai due registi di Archiviozeta prevede una serie di scene di grande impatto emotivo, cinematografiche nella dinamica e accompagnate da musiche suggestive (soprattutto Schubert), la cui forza viene amplificata dal contesto naturale e architettonico. Gli spettatori seguono come pellegrini la compagnia degli attori, tra cui i due registi, spostandosi in vari luoghi del cimitero e ripercorrendo simbolicamente, dalla sommità verso il basso, la discesa agli inferi del protagonista. Un’esperienza unica, che si ripeterà fino al 18 agosto e verrà proposta, ricomponendo le tre parti, il 22 e 23 marzo 2025 in un altro luogo simbolico, l’Arena del sole di Bologna.
Così da questo luogo di silenzio si sprigiona un commosso grido di pace contro quella che Mann definiva la «danza macabra», la «mondiale sagra della morte», la «febbre maligna» che non smette mai di contagiare il mondo.
Fonte: Paolo Perazzolo | FamigliaCristiana.it