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Libano. L’arte di costruire la pace

La crisi economica, politica e lo spettro di una nuova e violenta escalation. Eppure nel Convento francescano di Tripoli si continua a offrire aiuto a tutti. Reportage dell’incontro, qualche settimana fa, con padre Toufiq e padre Quirico

Vendetta chiama vendetta. Una strada logica ma irrazionale perché senza via d’uscita. Eppure le potenze mediorientali sembrano aver iniziato a percorrerla: ai razzi rispondono le esplosioni, alla morte di innocenti gli attacchi mirati ai presunti responsabili. Una concatenazione pericolosa che da un momento all’altro può deflagrare coinvolgendo un’intera regione, da sempre in equilibrio precario. Uno scenario sconfortante, anche per chi, come noi, qualche settimana fa, prima dunque dei recenti sviluppi nell’area, ha avuto l’opportunità di visitare il Libano, grazie all’Associazione Pro Terra Sancta, ed è rimasto profondamente colpito dalla bellezza dei luoghi e dall’accoglienza delle persone.

«Il popolo libanese – ci raccontava il vice patriarca dei Maroniti, Joseph Naffah, incontrato nella sede del Patriarcato che si affaccia sulla Valle di Kadisha, nelle cui caverne i cristiani si nascondevano dalle persecuzioni ottomane – è pacifico e non vuole la guerra; purtroppo, però, la sua storia è segnata da intromissioni da parte di altre potenze che nel tempo hanno impedito al Paese di essere unito e di vivere in pace». Davanti allo spettro di una nuova escalation quelle parole tornano in mente, come le giornate trascorse con chi vive in un Paese alle prese con una crisi economica e politica senza precedenti, con un tasso di inflazione tra i più alti al mondo e senza un governo reale. In quelle due settimane trascorse in Libano, però, siamo stati testimoni diretti di come la certezza e la speranza sappiano abitare ogni spazio e ogni circostanza.

La prima cosa che torna alla mente ripensando a quei giorni sono gli occhi di padre Toufiq, francescano della Custodia di Terra Santa, che ci ha raccontato di una bomba esplosa che ha distrutto la strada su cui lui era appena passato per recarsi a Deir Mimas, città a due chilometri dal confine israeliano. Qui, infatti, padre Toufiq porta regolarmente aiuti alimentari e celebra la messa per le undici famiglie cristiane rimaste nell’epicentro degli scontri tra Tel Aviv e i militari di Hezbollah. «Dio ci protegge», ci diceva con occhi lucidi che svelavano l’origine di quella pace.

La Custodia è radicata in Libano da più di 800 anni, da quando ai Francescani fu affidato il compito di sostenere le comunità cristiane presenti in Terra Santa. «Qui il dialogo religioso non è una scelta ma un dato di fatto, una dimensione della nostra quotidianità», sintetizza padre Quirico, Superiore del Monastero di Tripoli, città portuale secondo centro del Paese dopo la capitale Beirut. Sguardo deciso, carattere rude ma capace di grandi risate, “Abuna” (che in Arabo significa Padre nostro; è così che lo chiamano da queste parti) così descrive la sua vita fin da quando, a diciotto anni, ha lasciato il proprio paese in provincia di Brindisi per partire missionario: «Un uomo è maggiormente pronto a faticare e a sacrificarsi per la famiglia che costruisce rispetto a quella di origine; si è spinti a guardare di più quello che c’è nel presente, non quello che è stato». Il punto è darsi totalmente nel luogo dove ci si trova oggi: «Solo così – prosegue – si possono scoprire i piani di Dio per la nostra vita».

Padre Quirico è partito per la Terra Santa perché affascinato da due padri della Custodia che aveva incontrato. È da qui che ha trovato la forza per salutare la propria famiglia e, dopo gli studi, recarsi a Nazareth, dove è rimasto ventuno anni, e successivamente ad Acri per altri diciotto. Nel 2016 il trasferimento in Libano, a Tripoli, dove mancava un Superiore della Custodia dal 1975, anno in cui nel Paese dei Cedri scoppiò la Guerra Civile.

Oggi il Convento francescano di Tripoli è diventato un luogo di aggregazione e un punto di riferimento per chi vive in città: d’estate si svolge un campus estivo a cui partecipano bambini appartenenti a ogni credo. «L’unico modo che abbiamo per sapere la religione dei ragazzi è guardare i loro genitori: se le madri sono velate o se ti salutano con l’espressione inshallah allora sono di fede islamica, per il resto non c’è alcuna differenza», racconta Theresa, professoressa di arte all’Università di Tripoli che tiene un corso di disegno ai ragazzi che frequentano il centro.

«Quando ci sono le crisi, solitamente, ambiti come l’arte e la cultura sono gli ultimi ad essere valorizzati; noi, invece, abbiamo voluto fossero i primi», racconta padre Quirico. Da qui è nata l’idea di creare la Tau Band, composta da ragazzi cristiani e musulmani che imparano a suonare insieme e si esibiscono in occasione delle festività. Dalla medesima intuizione è nata l’opera San Francesco e il Sultano: uno spettacolo teatrale dedicato all’incontro tra Cristianesimo e Islam che “Abuna” ha scritto con alcuni amici e grazie al supporto della Custodia. Il risultato è stata la realizzazione di quattro esibizioni, due a Tripoli e due a Beirut: in particolare, il 22 marzo 2022 – giorno in cui sia i Musulmani sia la Chiesa celebrano la festa dell’Annunciazione – Francesco e il Sultano si è svolto presso la sede dell’Unesco in Libano. L’evento è stato un’occasione perché i membri del governo nazionale, che da tempo non si incontravano, potessero riunirsi; e questo è ciò che i Francescani desiderano promuovere e sostenere in tutta la Terra Santa: occasioni di incontro e dialogo che possano, riassume padre Quirico, «far scoprire a tutti la bellezza di vivere insieme».

I contrasti che caratterizzano il Libano a Beirut si amplificano ancora di più. Dai quartieri sciiti della città, di questi tempi, è meglio girare alla larga; analoga raccomandazione per quanto riguarda i campi profughi palestinesi ubicati in periferia. La capitale contiene dentro di sé le spaccature che segnano l’intero Paese: in pochi minuti si può vedere la zona del porto, ancora segnata dalle macerie della grande esplosione del 4 agosto 2020, si passa poi per i ricchi quartieri della città, dove i costi degli appartamenti non hanno nulla da invidiare a città come Milano, fino ad arrivare alle zone popolari dove vivono coloro che non hanno nulla. È qui che Pro Terra Sancta sostiene numerose persone, spesso sole, che con la crisi si sono trovate abbandonate. Come Hayat e Joseph, marito e moglie: prima del 2019 lei lavorava in una scuola e lui era un fruttivendolo. Quando si sono fatte sentire le difficoltà economiche e la salute è peggiorata, entrambi si sono trovati senza lavoro, bisognosi di comprare medicinali che hanno prezzi proibitivi. Non hanno figli e vivono in una piccola casa, polverosa e piena di foto spiegazzate che ricordano una vita molto diversa da quella attuale; appena li si incontra non fanno altro che ringraziare Dio e Pro Terra Sancta per l’aiuto che ricevono. Mi ha colpito vedere come è cambiato il volto di Joseph non appena gli abbiamo proposto di andare insieme a comprare un paio di sandali. Sul suo viso è comparso un sorriso che svela come la sua prima necessità fosse quella di non restare solo, di sentirsi preferito.

A Beirut Pro Terra Sancta sostiene e promuove anche percorsi psicoterapeutici per i più fragili, inermi davanti alla difficile situazione che vive il loro Paese. Sedute piscologiche, corsi di musica, danza e perfino teatro: qui arrivano spesso casi difficili, persone soffocate dai propri drammi che non riescono a interagire con nessuno. Stare con gli altri, però, e vederli aprirsi e seguire chi guida smuove qualcosa anche negli individui più arrendevoli, svelando che è possibile fare un passo solo in forza di una fiducia e di un bisogno comune.

Fare dei passi; viene in mente quel lungo corteo formato da persone appartenenti alla comunità drusa che giorni fa hanno accompagnato le bare dei dodici bambini colpiti per errore da un razzo mentre si trovavano al parco giochi; un popolo intero che si è mosso insieme perché unito nel dolore e nell’incredulità per quanto accaduto. Una domanda allora mi è sorta spontanea: cosa può permettere al popolo libanese, e a all’intera regione, di fare un vero e proprio cammino? Una risposta univoca probabilmente non c’è: la crisi rimane profonda, le cause e i fattori scatenanti sono molteplici e in gran parte difficilmente identificabili, mentre la società stessa appare spaccata in gruppi il più delle volte incapaci di relazionarsi tra loro.

Il vice patriarca dei Maroniti, Joseph Naffah si preoccupa quotidianamente di sostenere la propria Chiesa in una situazione sociale e politica particolarmente complessa come quella attuale. Tuttavia, quando si parla di futuro di pace e di speranza per il Libano, Sua Eccellenza non si sofferma su questioni politiche o sulla necessità di compromessi: «Non saremmo cristiani se non avessimo speranza anche in una situazione tanto complessa». E a riguardo della pace? «Gesù diceva che il Regno di Dio è nei nostri cuori. La pace non è l’esito di un calcolo sociale; si tratta, invece, di un tesoro che ognuno di noi già possiede». Occorre solo riconoscerlo.

Fonte: Alberto Perrucchini | Clonline.org

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