L’orologio dell’Apocalisse, il noto indicatore simbolico che misura il rischio di estinzione della nostra vita sul pianeta, era a 17 minuti dalla fine del mondo ai tempi della Guerra fredda. È arrivato, da qualche mese, al record di distanza minima di 90 secondi per guerre e clima. Proprio in questo momento difficile vanno moltiplicati gli sforzi per sostenere (anche razionalmente) tutte le ragioni della pace e della nostra sopravvivenza, senza lasciarsi scoraggiare dagli ormai troppo fallimenti diplomatici.
Le due guerre in Ucraina e in Palestina nascono entrambe da un’aggressione colpevole che ha determinato la reazione delle democrazie occidentali. Che si trovano ora impantanate, dopo conflitti lunghi e terribilmente sanguinosi, in un punto dove non sembra si possano fare né passi avanti né indietro. Approfittando di questo momento di stanchezza, dobbiamo sostenere tutte le ragioni del negoziato, prendendo “l’ultimo treno per Gaza” cui ha fatto riferimento il cardinale Pizzaballa in apertura del Meeting di Rimini, alla vigilia del nuovo round di colloqui al Cairo: «Senza cessate il fuoco c’è il pericolo della degenerazione, contro l’odio resta solo la preghiera».
Guardando in particolare alla Palestina, i motivi sono evidenti. Un conflitto sequenziale dove entrambi i contendenti adottano la strategia della rappresaglia ha per sua natura una durata infinita.
Qualcuno deve con coraggio togliere il piede dall’acceleratore, adottando l’approccio opposto della de-escalation. La reazione del governo israeliano al pogrom del 7 ottobre è stata da molti punti di vista sproporzionata ed inefficace. I risultati sono stati l’aumento dell’avversione a livello mondiale per Israele e il sostegno alla causa palestinese. La risposta ha messo assieme due elementi apparentemente contraddittori: l’intervento “chirurgico” per eliminare i capi di Hamas (bombardando Paesi esteri) con un’azione a tappeto che ha fatto decine di migliaia di vittime tra i civili. Anche le eliminazioni mirate si sono rivelate tutt’altro che una strategia oculata. Di fatto, minano il diritto internazionale dando l’idea che solo con la forza sia possibile risolvere i problemi. La dirigenza e la militanza di Hamas ne sono state tutt’altro che ridotte ai minimi termini, perché la durezza della reazione è stata levatrice di una nuova semina di odio e di militanza e rischia di allevare una nuova classe dirigente e di creare le condizioni di un odio che durerà per moltissimi anni.
Esaminando le ragioni “belliciste”, si scoprono molti errori di fondo. Il primo che accomuna entrambi i teatri di conflitto è la presunzione di superiorità delle democrazie occidentali che hanno pensato di poter “sconfiggere” il nemico (eliminando il pericolo Hamas da parte di Israele, ricacciando l’esercito russo oltre i confini dai quali era partito nel febbraio del 2022). Entrambe le previsioni si sono rivelate errate.
Torna in mente la superiore saggezza dei nostri genitori che, ai tempi della Guerra fredda, erano consapevoli che con “l’impero del male” della superpotenza nucleare dell’Unione Sovietica bisognava venire a patti, delineando confini delle zone d’influenza e combinando pace e deterrenza. Non a caso l’orologio dell’apocalisse era molto più indietro di oggi. Nei primi giorni di guerra circolava, invece, la convinzione che le sanzioni occidentali avrebbero messo in ginocchio la Russia, convinzione rivelatasi infondata.
Gli argomenti “bellicisti” sono opinabili. L’idea che si debba necessariamente accorrere in armi per difendere i soprusi trova applicazione solo in alcuni casi e non nelle altre decine di situazioni nel mondo in cui ci sono popoli oppressi. La storia recente ci insegna che l’Occidente ha sempre fallito quando ha provato a esportare democrazia con le armi, mentre ha conseguito il suo più grande successo (la caduta del muro di Berlino e il passaggio dei Paesi dell’Est Europa alla democrazia) in tempi di pace e deterrenza. Hitler e Chamberlain sono i riferimenti principali contro il negoziato e il compromesso con cui si contrastano le ragioni della pace. Ma la storia non si ripete mai allo stesso modo.
Nell’era delle superpotenze e della proliferazione nucleare dobbiamo convincerci che non è possibile sconfiggere nessuno sul campo, tanto meno un Paese come la Russia o le ragioni di un popolo sostenuto in armi da molti altri Paesi arabi.
In entrambi i casi, possiamo e dobbiamo arrivare in questo momento a un cessate il fuoco e a un accordo di pace che preveda forze d’interposizione internazionali in grado di separare le parti in conflitto, assicurandone la coesistenza non belligerante.
Dobbiamo approfittare di questo momento nel quale si constata l’impossibilità di variazioni sostanziali nei rapporti di forza in entrambi i conflitti per fare presenti le ragioni della pace e allontanare le lancette dell’orologio dell’Apocalisse. Il momento è opportuno e le ragioni ci sono tutte. Sono molti da tanti altri punti di osservazione gli indicatori che ci dicono che l’umanità soffre oggi di una gravissima perdita d’intelligenza relazionale. Con cuore e ragione dobbiamo riparare il guasto.
Fonte: Leonardo Bechetti | Avvenire.it