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Us Open, la dedica di Jannik Sinner alla zia malata, una straordinaria normalità

«Oltre al campo c’è soprattutto la vita – prosegue Jannik – e voglio dedicare questo titolo a mia zia perché sta male e non so per quanto tempo l’avrò ancora nella mia vita. È  bello poter condividere questo momento con lei». Queste alcune delle parole pronunciate ieri sera (per noi in Italia) da uno Jannik Sinner commosso e composto, come è sua abitudine, alla consegna del trofeo Us Open, vinto in tre set contro il tennista di casa Taylor Fritz. A lui per primo il numero uno del mondo aveva rivolto un caloroso incoraggiamento, rassicurandolo: «Stai facendo un grande lavoro col tuo team, sono sicuro avrai tante altre occasioni».

Ha questo di particolarmente convincente, il campione alto atesino: di comportarsi in modo normale – una normalità diventata merce rara – mentre incassa successi straordinari e si prepara alla sfida successiva. Intanto, in questo eccellente 2024, aveva già messo in bacheca cinque trofei importanti, Australian Open, Rotterdam, Miami, Halle e Cincinnati, con 54 vittorie e sole 5 sconfitte. Con il 6-3, 6-4, 7-5 di ieri a New York, in poco più di due ore, i trofei sono saliti a sei e le vittorie a 55, anche l’ultima sulla superficie a lui più congeniale, il cemento. Ciò che ancora di più si dimostra a lui congeniale è proprio questa condotta misurata e la chiarezza di orizzonte che sembra accompagnarlo in ogni circostanza: c’è il campo, ci sono la competizione, l’eccellenza ricercata senza sconti ma oltre e prima di quelli c’è sempre la vita, con tutto quello che la rende degna e preziosa, i legami.

«Amo il tennisdice sorridendo -, mi sono allenato tanto per questi palcoscenici», aggiunge dopo avere come di consueto ringraziato il suo team per il lavoro fatto e tutto il supporto che gli ha garantito in questo periodo particolarmente duro, «però oltre il campo c’è una vita. Voglio dedicare questo titolo a mia zia, perché non sta bene e non per quanto ancora rimarrà nella mia vita. Ed è bellissimo poter condividere con lei questo momento positivo. È stata una persona importante della mia vita. Se c’è un augurio che posso fare a tutti è la salute, però – aggiunge con realismo – è un augurio che non si può fare sempre». Si commuove, sempre con misurato contegno.

Il ragazzo dai capelli rossicci, che potrebbe a buon diritto farsi testimonial della vecchia scuola Impossible is nothing per le prestazioni di cui è capace, per la continuità, per la tenuta psico-fisica allo stress e la capacità di attraversare momenti di prova (vedi il caso di sospetto doping che si sta dimostrando del tutto infondato), si ferma con onesta sofferenza davanti al limite umano; ogni limite e il limite per eccellenza che è la morte. Non è vero che si può tutto, non è vero che basti volerlo, non è vero che riconoscere l’inguaribilità di una malattia sia arrendevolezza o mancanza di speranza. Piuttosto è vero che la vita, quella di chi vince 3,6 milioni di dollari ad uno dei trofei più prestigiosi al mondo, così come quella di chi attraversa una malattia o vive con gravi menomazioni magari nascosto al mondo, è un prezioso mistero di fragilità e bellezza, di sete di eterno e certezza della fine.

Bella, dunque, questa straordinaria normalità che ancora una volta Sinner testimonia davanti al mondo, senza pose da profeta o peggio da influencer. Gliene siamo grati perché crediamo aiuti quanti lo vedono in campo e fuori a recuperare uno sguardo più lucido e coraggioso sull’esistenza e a rivedere al ribasso le proprie smanie di affermazione, la ricerca del guadagno fine a sé stesso e soprattutto inviti a mettere in discussione la cultura che ci fa credere che l’assenza di legami sia indice di libertà, che seguire solo ciò che attira e dà piacere sia il segreto per una vita piacevole. Un giovane e straordinario atleta italiano, invece, continua a dimostrare, in un modo che non può destare sospetti, che ciò che conta anche quando hai tutto ciò che per il mondo è necessario avere per contare qualcosa sono i legami autentici, la famiglia, l’amore che reclama il nostro impegno, fino all’ultimo.

Fonte: Paola Belletti | IlTimone.org

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