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La guerra continua perché conviene, mentre noi fingiamo di non vedere

Putin, Biden Zelensky: il mondo ha bisogno di uomini senza odio

Non c’è alcun dubbio: la guerra continua. Da Est niente di nuovo. Non è una notizia proprio rassicurante. Zelensky con i suoi contro-droni e in attesa di autorizzazioni più risolutive da Washington ammazza una signora a Mosca, danno collaterale, forse, dopo le affermazioni secondo cui i civili li ammazza deliberatamente solo Putin. Che non pare reso idrofobo dalla sfida portata in casa, parla d’altro. Dispaccio dal Donbass: l’armata russa rosicchia come una termite meticolosa il fronte avversario, le gomitate dell’offensiva metodica hanno buttato giù case e trincee intrise di Storia, dove erano prima non c’è che un’orma, il rombo dell’artiglieria è ormai è alla periferia di Pokrovsk, ennesimo coccio strategico, l’oscurità delle notti se ne colma. La parola d’ordine per i Marescialli ucraini è resistere a ogni costo, altrimenti stramazza tutto il fronte. Passo indietro: a Kursk invece la mischia è quasi ferma, vengono i brividi a legger sui bollettini “situazione stabilizzata”, senza cenni alle migliaia di morti usati per “stabilizzare”.

Si discute: per alcuni è stato un colpo di genio degno di Scipione contro Annibale, per altri la scempiaggine di Attilio Regolo che finì nell’orribile botte con i serpenti. Il Cancelliere forse tentenna. Fumo. Su cui continuano a srotolarsi gomitoli di proposizioni bizantine.

Blinken, il diplomatico del Nulla, ha usignolato ieri che l’Iran ha fornito a Mosca missili balistici, «escalation drammatica» dice, che minaccia la sicurezza europea. Una congiura dei Cattivi. La vecchia pistola fumante sarebbe dunque questa. Si punta a saldare le due guerre, Sarmazia e vicino oriente, un asse del Male da annichilire subito. Ovviamente. Come la definireste: guerra mondiale? Si va dritti allo scopo come un ragionamento di Cartesio, impetuoso come un sillogismo di Pascal. Lucidate i cannoni, spedite le cartoline precetto come ai bei tempi, è il revival dei guerrafondai, dei pescecani della morte di massa, sono loro i non eroi di questo secolo insensato.

Abbiamo bisogno di uomini nuovi e senza odio. Ma dove sono? I duellanti coltivano le solite nefandezze, i giorni correnti sono stampati in rosso scarlatto, si scavano senza sosta reliquari di opposto segno. Come se spegnendo le vite si spegnesse anche la Ragione. Si insiste a credere che il mondo va sovvertito con le ricette che hanno sempre bruciato tutto. Il vassallaggio a questa fissità dogmatica assembla protagonisti e comparse, figure di contorno e distributori delle buone carte.

Sembra incredibile, ogni giorno si fa la cronaca della guerra, si colmano i buchi nel racconto, e sono enormi, con zolle di parole, con ammassi di polemiche e sofismi, con le bugie. Nessuno che insorge contro la sconcezza di un dramma con viti e incastri insensati. Gli spiriti sono appannati. Come se le persone avessero davanti all’animo – da quasi tre anni! – un vetro e si scoprisse che l’appannatura è dalla parte interna della lastra, quella che non si riuscirà a ripulire salvo entrare nella gente e cambiarla dentro. Pare che Stalin una volta abbia detto «una morte è una tragedia, un milione di morti una statistica». Siamo già a quel punto, forse oltre? Nella steppa l’estate non può resistere, comincia a corrompersi, fremiti, gocce di autunno e inverno. E di colpo tutto cambierà. La guerra diventerà pigra. I progetti di avanzate e di blitzkrieg attenderanno malinconici nelle insenature degli uffici di stato maggiore. E allora? Si continua, si eternizza.

Di che cosa mai si tratta? Perché non si riesce a interrompere il massacro? Semplice: il blaterare di tutti attorno alla pace è una impostura, le pretese di battersi per la giustizia, la libertà, l’ordine internazionale, insomma tutti i pomposi monumenti eretti a loro utile e gloria dagli impresari di metafisica sono soltanto castelli in aria e cattedrali di carta.

La guerra continua perché rende. A Putin a Zelensky a Biden e a chi verrà dopo di lui, a Pechino e agli Ayatollah, ai fabbricanti di morte tayloristica che chiudono gli stabilimenti delle automobili e raddoppiano quelli dei carri armati. A chi li finanzia. Ogni tanto spunta qualche documento che parla chiaro: l’industria bellica europea ha un fatturato di 130 miliardi. Poco. Spiccioli. Si può fare molto di più. Nessuno dubita che si farà. Siamo in guerra e facciamo finta di non esserci. Tiriamo avanti sulla normalità fin che va, facciamoci l’abitudine, spenseriamoci, vedrai che scaricheremo il peggio sul gobbo di Russia e Ucraina, chi è di antico pelo sa: basta saper aspettare che passa.

Intanto ucraini e russi cercano la risposta alla antica intuizione napoleonica: qual è il centro di gravità dell’intera resistenza nemica dove piazzare il colpo risolutivo? È la formula che riconduce la soluzione di un problema assai complesso a un singolo punto. Chi lo trova ha vinto. Zelensky pensava che quello russo fosse a Kursk. Le azioni diversive attraggono sempre i politici, forse perché sono azioni complesse da cui si attendono grandi vantaggi senza sapere perché. Ma di solito, come è accaduto a Kursk, mettono in azione in modo tortuoso forze che potrebbero avere effetti rapidi se usate in modo diretto e soprattutto risvegliano energie nemiche che sarebbero rimaste inerti. Ma forse servono prima di tutto a montare i cavalloni dei telegiornali.

E se il centro di gravità ucraino fosse a Pokrovsk?

Fonte: Domenico Quirico | LaStampa.it

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