Si è concluso pochi giorni fa il forum di Pechino sulla Cooperazione Cina-Africa (Focac). Presenti 51 capi di stato africani e 2 inviati presidenziali, unico assente lo Swatini. Le parole di apertura di Xi Jinping hanno fin da subito rappresentato l’evidente volontà cinese di portare discredito nei confronti dell’Occidente agli occhi degli africani: «La modernizzazione è un diritto inalienabile di tutti i Paesi. Ma l’approccio dell’Occidente ha inflitto immense sofferenze ai Paesi in via di sviluppo». Il richiamo alla passata colonizzazione occidentale dell’Africa è lampante, ma il modello cinese è differente rispetto ai richiami del passato occidentale fatti da Xi?
Definito dalla diplomazia di Pechino come l’evento «più importante dell’anno», il Forum è stato la piattaforma di lancio di avvincenti promesse cinesi: interventi per 51 miliardi di dollari nei tre anni a venire, con 30 miliardi di linee di credito, 10 miliardi di effettivi investimenti di imprese cinesi e aiuti anche su formazione militare e sulla sicurezza. Tra le progettazioni proposte ha preso vita anche un protocollo d’intesa con Zambia e Tanzania per ristrutturare la linea ferroviaria – progetto che risale agli anni ’70, all’epoca del governo Mao Tse-tung – un’arteria di trasporto essenziale per il collegamento tra i due Paesi africani, e un ulteriore e similare accordo per lo sviluppo della rete portuale e dei trasporti in Nigeria.
Facciamo però un passo indietro. Negli ultimi decenni la Cina è stata per l’Africa uno dei principali creditori del continente. Il Dragone ha finanziato la costruzione di ferrovie, autostrade, porti, aeroporti, centrali elettriche… Come anche ha beneficiato di un volume commerciale decisamente notevole, basti pensare che circa il 16% di minerali, combustibili e metalli – cioè un quarto delle esportazioni africane – è destinato alla Cina. Un drago vestito da agnello ed è proprio su questo modello che si basa la principale strategia cinese in Africa. Mentre la speranza dei principali Stati africani è quella di avere migliori condizioni per le esportazioni di risorse naturali e prodotti agricoli, riducendo il deficit e modificando la struttura degli scambi commerciali, la Cina continua a stipulare accordi di prestito molto onerosi. Crediti che certi Paesi africani hanno forte difficoltà a rimborsare.
Così l’agnello getta la maschera e il dragone splende nel suo essere. Mancati rimborsi che si trasformano per la Cina in sequestri di infrastrutture e beni pubblici strategici, una vera e propria gabbia per gli africani inadempienti. Come le false promesse al summit di Dakar del 2021, dove Pechino avanzava la volontà di importare 300 miliardi di dollari di beni all’anno: obiettivo mai concretizzato. Oggi nel dopo pandemia, che ha caratterizzato in questi ultimi anni un forte rallentamento all’economia cinese, il Dragone torna alla “caccia grossa”. Lo fa con un nuovo slogan: «piccoli e belli». Così vengono definiti i nuovi progetti in campo per il continente africano. Progetti meno dispendiosi e impegnativi, che con meno rischi mettono al sicuro la ripresa di Pechino. Energia verde, digitale e reti satellitari. L’obiettivo principale per la Cina è consentire lo sviluppo di nuove tecnologie e la capacità di far assorbire i prodotti cinesi.
La “caccia grossa” di Pechino, spinta dalla competizione con l’Occidente, punta alla ricerca di nuovi mercati per mezzi elettrici, pannelli solari e turbine eoliche. L’Africa è il terreno perfetto, che il safari abbia inizio. Così, quasi del tutto ignaro, il Continente Nero diventa il teatro di scontro tra Cina e Usa, nuovamente territorio soggetto a “colonizzazione”. Pechino non rinuncia alla sua ambizione di svolgere un ruolo guida nella futura società globale e vuole quindi espandere la sua influenza, partendo proprio dall’Africa. Le intenzioni di Xi Jinping sono chiare: «Lanciare un’ondata di modernizzazione nel Sud Globale», ovvero verso il numeroso ma difforme universo di Paesi emergenti di cui si prefigge una totale conformazione. In questo scenario di lotta per la supremazia tra giganti, la nostra piccola Italia può cogliere l’opportunità per differenziarsi e nel suo modesto agire, attuare concretamente l’inizio di un cambio di rotta offrendo sviluppo e rispetto, facendo aprire gli occhi al continente africano per un vero rapporto costruttivo e alla pari.
Fonte: Emmanuele Di Leo | IlTimone.org