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«Vi spiego perché i miei quattro figli cambieranno il mondo»

Marco Martinelli, manager quarantenne, riflette in un libro sull’impegno dei padri di oggi: sacrificio? No, è come frequentare “un corso di formazione sulle relazioni. E non siamo più assenti”.

Quando lo incontra con i suoi quattro bambini, tutti piccoli, la gente di solito ha due reazioni. Sgomenta: “Sono tutti suoi? Siete pazzi…”. Ammirata: “Sono tutti suoi? Siete degli eroi!”

In realtà, a Marco Martinelli, manager quarantenne, marito di Licia, felice papà di Elia, Ada, Prisca e Giona, entrambi i commenti sembrano un poco esagerati, o per lo meno fuori contesto. “Sono un terzo figlio, perciò ho fatto solo un figlio in più rispetto al contesto familiare in cui ho vissuto. Certo, i tempi sono diversi, e la domanda non espressa è sempre: Come fate? Come fate economicamente, come fate a vivere conservando qualcosa per voi, avendo quattro bambini sotto i sette anni…La mia risposta è sempre che il prendersi cura di un’altra vita non significa affatto annullarsi, piuttosto, è proprio il contrario”.

Di questo Martinelli ha scritto in un libro appassionante, unico nel suo genere, Le competenze di un padre, appena pubblicato per San Paolo. Un libro che allinea due contesti sui quali, nel passato, almeno nel maschile, esisteva uno steccato invalicabile: paternità e lavoro. E racconta come diventare padre ti trasforma come persona. Ti offre un corso di formazione sulle relazioni. Ti dona delle “soft skill” – empatia, organizzazione del tempo, capacità di delegare, di far fiorire i talenti – che puoi spendere coi colleghi, che puoi giocarti ogni giorno anche nella vita professionale.

Partiamo allora dallo sguardo delle persone sulla genitorialità. Oggi, a chi diventa padre, si tende a parlare di “sacrificio”…

In effetti sì, siamo invasi da una retorica che ci dice che l’essere genitori implica troppi sacrifici. Certo che li implica, come del resto tutta la vita. Eppure, il risultato di questa constatazione è che oggi non ci si impegna più, non ci si sposa, non ci si impegna nelle amicizie, non si hanno figli e, sul lavoro, si galleggia facendo solo lo stretto indispensabile. Si resta saldamente aggrappati a sé stessi, eppure, io credo, profondamente soli. Ma se solo si recuperasse l’etimologia di “sacrificio”, dove sacer facere significa “rendere sacro”, sarebbe possibile intravedere una grande verità: il sacrificio non è il venir meno a sé, bensì la strada attraverso cui una pienezza può invadere la vita.

Come li vede, i padri di oggi?

Quando nasce un figlio, anche tu “nasci” come padre: hai una marea di nuove prime volte, devi imparare a fare tutto. La questione è come vuoi guardare questa nuova fase della tua vita: è un’occasione di crescita o una “tegola in testa”, una faccenda da cui ti vuoi mettere al riparo, cercando disperatamente di mettere in salvo pezzi della vita di prima?

Ma le madri consentono ai padri di diventare tali?

Penso che ne abbiano un fortissimo desiderio, che abbiano bisogno di vedere nei loro compagni la voglia di esserci, di farsi carico, di fare questa strada insieme. Il problema, forse, è che percepiscono invece lo sbilanciamento dei carichi, vedono padri la fuga, avvertono il loro bisogno di “mettersi al riparo”, perché “tanto, ci penserà lei che è la mamma”. Allora il problema sta a monte: non è questione di equa divisione dei compiti, ma di dirsi prima di tutto che tipo di mariti e di padri si vuole essere.

Gli ultimi dati Inps dicono che l’uso dei congedi, da parte dei padri, è in aumento tra i giovani (65,4% tra i 30 e i 39 anni) e in particolare nelle aziende medio-grandi, dove viene utilizzato nel 77% dei casi. Nelle aziende piccole, sotto i 15 dipendenti, il dato scende al 45,2%. È un problema di norme sul lavoro o di cultura?

Credo che in questi ultimi vent’anni siano stati fatti importanti passi sul piano socio-culturale: nessuno oggi in un’azienda si stupisce di un congedo di paternità, o lo ostracizza. Gli strumenti normativi sono stati ampliati, ciò che trovo un po’ ipocrita è la mancanza di uno sguardo di sistema: è inutile aumentare i giorni di congedo a disposizione dei padri se, da un altro lato, non si sostiene la piccola impresa, per la quale, a differenza della multinazionale, la persona che va in congedo è l’unica a ricoprire quella funzione. Dunque, il miglioramento della vita delle famiglie passa attraverso diverse riforme e misure di sostegno, magari anche indirette, che promuovano un intero contesto imprenditoriale.

Padri assenti, padri presenti: il problema sta anche nell’eterno braccio di ferro tra orari di lavoro e incombenze domestiche. Come si fa?

Può capitare, e l’ho anche scritto, di sentirsi schiacciati dai tanti “devi esserci” che ci vengono posti di fronte. Devi esserci per la famiglia. Devi esserci per i collaboratori, per il capo. Devi esserci per la recita. Devi esserci per la riunione. E così via… Come se ne esce? Imparando a “scardinare” questa misura su sé stessi, e ricordando che è possibile che ci sia una presenza anche in un’assenza (come d’altronde può esistere un’assenza anche nell’essere presenti). Diventa possibile, allora, guardare il proprio figlio e dirgli che papà non c’è perché deve fare una cosa importante al lavoro, ma allo stesso modo si può guardare il proprio capo e dirgli che il suo collaboratore non c’è perché deve fare una cosa importante con il proprio figlio, senza per questo sentirsi in difetto o, ancor peggio, in colpa.

Nel suo libro c’è un vero e proprio percorso di riflessione sulle tante nuove competenze da spendere anche in ambito professionale: saper essere pazienti; saper sviluppare la creatività; lavorare in squadra; stimolare l’autonomia e delegare; dare sicurezza ma anche indirizzare verso una vocazione; definire il tempo in modo chiaro… Qual è, dopo quattro figli, la competenza che ha scoperto in se stesso e non sapeva di avere?

Al battesimo di uno dei miei figli il sacerdote ha detto: “Da quando è nata questa creatura, il mondo non è più lo stesso”. E’ una riflessione che mi ha spalancato una porta: come padre ho ricevuto un regalo e ho una responsabilità altissima, non solo nel mio piccolo, non solo verso la mia famiglia, ed è quella di contribuire a far diventare qualcuno adulto nel mondo, offrendogli l’opportunità di cambiarlo.

 

 

 

 

Fonte: Benedetta Verrini | Avvenire.it

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