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Che cosa c’è dietro ai numeri delle scuole paritarie in crisi

In 15 anni perse quasi 1.500 scuole, «principalmente dell’infanzia a causa di crisi e denatalità. Ma crescono gli iscritti alle secondarie cattoliche». Ecco perché è giusto aiutare le famiglie col buono scuola. Intervista a Ernesto Diaco (Unesu-Cei)
Il ministro Giuseppe Valditara ha ricordato che «le scuole paritarie sono pubbliche» e per favorire la libertà di scelta «la politica deve avere il coraggio di mettere all’ordine del giorno il “buono scuola”» (Ansa)

I numeri delle paritarie in crisi dovrebbero fare paura in primis ai detrattori della scuola paritaria. Secondo i dati presentati al convegno Cism e Usmi negli ultimi 25 anni, cioè da quando è in vigore la legge 62/2000 sulla parità scolastica, le paritarie hanno perso il 35,1 per cento degli studenti (la statale, il 6,3 per cento). Non solo, da dieci anni a questa parte chiudono in media 200 paritarie ogni anno e il trend continua anche dopo la pandemia (-379 scuole nel 2022-2023 e -291 nel 2023-2024).

Stiamo parlando di scuole che aiutano e fanno risparmiare lo Stato: che noia ribadire l’ovvio, ma a sentire le esternazioni degne del miglior sindacalismo anni 70 di opposizione e Uil, Flc-Cgil alla proposta del “buono scuola” rilanciata nei giorni scorsi dal ministro Valditara c’è da rispondere con un altrettanto vecchio adagio: non c’è niente di più inedito dell’edito. E così ricordiamo che un iscritto alla statale costa allo Stato (cioè alla collettività) 7 mila euro, un iscritto alla paritaria 700 euro. Se le paritarie chiudono gli studenti vanno ad aumentare la spesa delle scuole statali (portandole al collasso).

A chi grida al lupo, ai finanziamenti “ai privati”, “alle scuole confessionali”- come i fresconi dell’Uaar che hanno ribattezzato quella del ministro la “clericalata” della settimana per aver detto che «le scuole paritarie sono pubbliche» – andrebbero ricordate altre due cose: cosa dice la Costituzione (art. 30, 33 e 34) e cosa dice legge “Berlinguer”. Anzi tre: alle famiglie italiane la scuola paritaria, anzi, la scuola “confessionale”, piace. La scuola cattolica – «nata per i poveri e che punta all’integrazione e a svolgere la funzione importantissima di ascensore sociale», come ha ricordato il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, dichiarando che un intervento di sostegno alle paritarie non è solo «auspicabile» ma «decisivo» – non è un privilegio, né tantomeno una concessione: è una scelta di migliaia di genitori.

Il peso di denatalità e crisi sulle scuole paritarie cattoliche

Il rapporto 2024 “Emergenze educative. Scuola cattolica in Italia” del Centro Studi per la Scuola Cattolica costituito dalla Cei ricostruisce l’andamento del settore dal 2009, «e certamente il calo è notevole: siamo passati da 8.989 scuole paritarie cattoliche registrate nell’anno scolastico 2009/2010 a 7.528 scuole nel 2023/2024. Una perdita di quasi 1.500 realtà», spiega a Tempi Ernesto Diaco, direttore dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università della Cei. «Ma dobbiamo contestualizzare i numeri: le chiusure interessano principalmente il segmento dell’infanzia (erano 6.692 nel 2009/10, sono 5.481 nel 2023/24, ndr) che raccoglie quasi tre quarti di tutte le scuole cattoliche e più della metà degli alunni iscritti. In particolare parliamo di scuole di dimensioni piuttosto ridotte, spesso localizzate in contesti di periferia o di territori duramente colpiti dalla crisi demografica ed economica».

Sono soprattutto i piccoli centri, non solo al Sud o nelle isole, ma anche i comuni del territorio montano e nelle aree più isolate e impoverite dal punto di vista sociale, a pagare il prezzo di quella che il Papa ha chiamato la «cultura dello spopolamento», luoghi dove «la scuola dell’infanzia parrocchiale costituiva un piccolo e magari l’unico presidio educativo vicino a casa, ma anche un punto di riferimento per tutta comunità», spiega Diaco. «Certamente pesa la mancanza dell’obbligo, ma sappiamo che è la denatalità, unita alle difficoltà economiche, ad influenzare l’andamento negativo delle iscrizioni, un trend che non risparmia nemmeno la scuola primaria (da 1.131 scuole del 2009/10 siamo passati a 984 scuole nel 2023/24, ndr). Quello che non è in discussione invece è il desiderio delle famiglie di scegliere la scuola cattolica, prova ne sono i segni in controtendenza registrati nei livelli scolastici successivi».

Ma alle secondarie aumentano gli iscritti

E qui arriviamo al dato più interessante: fermo restando il saldo negativo sul totale delle scuole paritarie cattoliche considerate nel rapporto (dati elaborati su quelli forniti dal Ministero dell’Istruzione e del Merito e in cui – va detto – non figurano la Valle d’Aosta, la Provincia autonoma di Bolzano e, nell’infanzia, quella di Trento), da sei anni nelle secondarie di II grado, si registra un costante aumento degli iscritti. Idem, anche se con minore regolarità, nella secondaria di I grado.

Rispetto all’anno precedente, nel 2023/2024 è cresciuto il numero delle secondarie (+ 17, accorpando scuole di I e II grado), delle classi (+180), degli alunni (+ 3.564). Una piccolissima ripresa in un sistema fortemente sbilanciato sulle prime fasce di età, e che certamente verrà interessata nei prossimi anni dal calo demografico, «ma che rappresenta una conferma indiretta del fatto che le scuole cattoliche continuano ad essere appetibili per i genitori. Una scelta dettata da esigenze di qualità educativa a prescindere dall’estrazione religiosa e socio-culturale. Anche durante la pandemia, nonostante le tante difficoltà, le paritarie cattoliche secondarie di primo e di secondo grado hanno visto un lieve aumento».

L’aiuto “straordinario” della Cei (che fa bene anche allo Stato)

Questo ci dice che dove sussistono le condizioni, la possibilità di raggiungere le scuole e la disponibilità economica, le famiglie continuano a scegliere le scuole cattoliche. Ma le condizioni non sono concessioni: quando parliamo di libertà di scelta educativa (articolo 30 della Costituzione) in un pluralismo educativo (articolo 33) parliamo di «un diritto riconosciuto a tutte le famiglie. Spetta allo Stato rimuovere gli ostacoli che non ne consentono pienamente l’esercizio». E quando parliamo di rimuovere gli ostacoli parliamo di aiuti concreti. Nell’anno della pandemia ci aveva pensato la stessa Cei, non solo facendo appello ai decisori politici (dopo discussioni roventi, grazie a una “maggioranza trasversale” la politica arrivò a stanziare 300 milioni per salvare le paritarie dal valore “insostituibile”), ma mettendo subito in campo un aiuto straordinario: 40 milioni di euro, 20.000 sussidi di studio del valore di 2.000 euro ciascuno per gli studenti iscritti alle paritarie secondarie (non solo quelle cattoliche), “dimenticate” dal primo decreto aiuti: «Sentiamo la Chiesa come alleata nella nostra opera educativa», scrissero commossi i genitori. Repubblica calcolò allora gli oneri che sarebbero derivati dalla chiusura del 30 per cento degli istituti paritari se un terzo dei loro iscritti si fossero riversati nello Stato: «1 miliardo e 522 milioni di euro, senza contare l’inevitabile disoccupazione di molti dipendenti degli istituti paritari (circa 160 mila)».

A chi nell’anno 2024 continua a propinare letture superficiali e incolte di quel malinteso «senza oneri per lo Stato» all’articolo 33, identificando il servizio pubblico con la sola gestione statale (concezione superata in tutti i settori della vita sociale tranne che nelle scuole, e dimentica dei modelli ad “autonomia rinforzata” di Stati Uniti, Inghilterra, Francia e Olanda, tutti stra-finanziati con soldi pubblici), Diaco ricorda che per poter rilasciare titoli di studio aventi valore legale le scuole paritarie devono sottostare a un’ampia e onerosa serie di parametri, requisiti e criteri, «tra gli altri è necessario che il progetto educativo sia in armonia con i princìpi della Costituzione, che i bilanci siano pubblici, che vengano applicate le norme in materia di inserimento degli studenti con disabilità, che il personale docente sia fornito del titolo di abilitazione. Stiamo parlando di un servizio pubblico, riconosciuto dalla legge e in nulla differente a quello fornito dalle scuole statali».

Aspettando il buono scuola nazionale per le paritarie

Per questo giudica molto positivamente l’attenzione dell’attuale governo: non solo il ministro Valditara ha annunciato che per la prima volta i fondi Pnrr e Pon verranno distribuiti anche alle paritarie («è un dovere non un aiuto di Stato», ha sottolineato il ministro: si tratta complessivamente di 150 milioni di euro, e altri 70 milioni sono stati previsti per il trasporto per i ragazzi con disabilità), «ma è intervenuto su un altro tema decisivo, l’abilitazione dei docenti all’interno delle scuole paritarie», aggiunge Diaco lodando la previsione di misure che metteranno fine all’eterna migrazione degli insegnanti verso le statali per ottenere le qualificazioni richieste.

Soprattutto, il ministro è tornato a ventilare la possibilità di introdurre un buono scuola nazionale per gli alunni delle scuole paritarie, «ne ha parlato già in diverse occasioni e quest’ultimo intervento ci fa ben sperare rispetto alla sua praticabilità già nel prossimo anno 2025. Si tratta di una misura molto importante perché riconosce la titolarità del diritto educativo dei genitori». Resta da verificarne l’attuazione concreta (in Lombardia il buono scuola è vincolato alle soglie Isee) e quali ordini di scuole verranno interessati, «non possiamo pensare che il buono scuola venga introdotto anche per le scuole dell’infanzia che non sono scuole dell’obbligo. Allo stesso tempo è importante che non venga meno un’attenzione verso questo segmento tanto in sofferenza quanto prezioso, come abbiamo detto prima, per molte famiglie in tantissimi piccoli centri del paese».

Il resto lo dimostreranno le scuole stesse, non bastassero 25 anni già trascorsi a supplire le carenze dello Stato (specie nella fascia 0-6 anni), a offrire un’istruzione di qualità ogni anno riconosciuta dalle classifiche Eduscopio, inclusione, accoglienza dei ragazzi con disabilità e a rappresentare un presidio democratico della libera scelta educativa delle famiglie: «Continuando con l’educazione e un’istruzione veramente aperta all’integralità della persona e al suo cammino di crescita – conclude Diaco – anche i retaggi più anacronistici verranno superati».

Fonte: Caterina Giojelli | Tempi.it

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