Sopra La Notizia

La lezione di Sammy, un inno alla vita

«La malattia mi toglie molto, ma mi dà anche molto: la mia famiglia l’ho qui, in questa vita; i miei amici sono qui, in questa vita; io e te parliamo, ridiamo e scherziamo insieme perché siamo qui, in questa vita: la mia materia preferita è il futuro, ma voglio vivere e vivermi a pieno il qui ed ora. La malattia è solo una sfumatura». Il sorriso, dolce e beffardo. Gli occhi vivaci e curiosi, mai fermi. Lo sguardo che ti penetrava – ti avvolgeva – con un mix calamitante di forza e dolcezza. E poi l’humor – veloce, spiazzante, sagace – con cui ribaltava con due parole le carte in tavola, proponendo nuove prospettive, svelando l’essenza delle cose, trasformando l’ironia in una grammatica con cui raccontare e raccontarsi. La famiglia, gli amici, la festa: se n’è andato Sammy Basso, a soli 28 anni – ma lui, ovviamente ridendo, avrebbe detto «non scrivere “soli”, perché per la mia malattia 28 anni sono un’eternità» – durante un matrimonio, tra le braccia della madre e la disperazione dei compagni di sempre.

Nato nel 1995 a Schio, poco dopo aver compiuto i due anni gli viene diagnosticata la Progeria di Hutchinson-Gilford, una malattia genetica rara, che genera un invecchiamento accelerato del corpo senza intaccare le facoltà intellettuali. «Incazzato? E perché mai: la malattia è una parte di me, potrei mai incazzarmi con me? La mia famiglia mi ha accettato per quello che sono, e mi ha supportato nell’accettarmi – anzi, nell’amarmi – per quello che sono. Arrabbiarmi sarebbero state solo energie sprecate: meglio utilizzarle altrove queste risorse».

Pochi mesi fa, chiacchierando davanti a una birra, gli avevo chiesto se avesse mai – dentro di sé – da bambino, da adolescente, da adulto, provato rabbia per quel corpo fragile, per quella lotta continua con il proprio fisico, per quella ricerca perenne e obbligata di nuove strategie per superare gli ostacoli quotidiani. La sua risposta era stato un elogio alla serenità e alla consapevolezza. Un’accoglienza dei propri limiti, da trasformare in punti forza. Per sé e per gli altri. Da quella salamandra – suo primo animale domestico, in cui si riconosceva tanto da aver scelto «Sammysalamandra» come nickname di posta elettronica – disegnata come simbolo dell’«Associazione Italiana Progeria», fondata assieme ai genitori per diffondere le conoscenze sulla malattia e per promuovere la ricerca scientifica.

E proprio come la salamandra, che sa adattarsi alle condizioni ambientali più diverse e ostili, ha fatto del proprio corpo una bandiera e della propria testa uno strumento di studio e divulgazione. Il teatro, la musica, i libri, le maratone corse con la sua carrozzina spinta da decine di gambe e braccia altrui, gli incontri nelle scuole, i musical in cui recitava, la televisione con il docu-film «Il viaggio di Sammy» su National Geographic in cui aveva raccontato l’attraversata della Route 66 e la partecipazione al Festival di Sanremo nel 2015, intervistato da un emozionato Carlo Conti: Sammy si spende per far conoscere la propria malattia, per mostrare e dimostrare il valore dell’esistenza, per richiamare l’attenzione sulla centralità della scienza.

Ed è alla scienza – oltre ad una fede profonda e inscalfibile – che si affida, buttandosi sui libri per dare il proprio contributo allo svelamento dei meccanismi della malattia. Nel 2018 si laurea così all’Università di Padova in Scienze Naturali, con una tesi dedicata alla cura della Progeria tramite ingegneria genetica. Nel 2021 invece, si specializza poi in Molecular Biology, analizzando le correlazioni tra Progeria ed infiammazione. «Probabilmente non sarò io a trovare la soluzione, ma sono davvero ottimista. Ci sono studi avanzati, e ogni volta che incontro questi scienziati sono certo che la mèta non è distante. E non voglio perdere un’ora del mio tempo».

La Cina, da dove era tornato poche settimane fa, la Svezia, gli Stati Uniti: tra viaggi e call con fusi orari sempre diversi, l’agenda di Sammy era un delirio. La ricerca era il suo obiettivo principale, senza rinunciare a nulla. Ti chiamava nei momenti più bizzarri, anche solo per un saluto. Ti rimescolava l’ordine delle tue presunte priorità in un attimo. Ti ridimensionava quelli che ti apparivano problemi insormontabili. E allora ti veniva la tentazione di caricartelo sulle spalle e portarlo a spasso con te, come spesso faceva Andrea – il suo gigante buono – sul quale lui, piccolo omino di vetro, si sentiva protetto e al sicuro anche in mezzo a migliaia di persone.

«Era sorprendente, era davvero difficile incontrare qualcuno più vivo di lui: quando veniva ai miei concerti era una festa», ha scritto Lorenzo Jovanotti ricordando l’amico dalla mente colorata. E forse, ripensandoci, una delle poche volte che si era visto Sammy barcollare era stato proprio sul palco del «Jova Beach Party», in braccio a Lorenzo, davanti a 30 mila persone che gli avevano riversato addosso un’ondata inarginabile di attaccamento, di stima e di gratitudine. Sceso da quel palco, con la sua incerta andatura, si era appoggiato su un’impalcatura con gli occhi bagnati dalle lacrime. «Tutto bene Sammy?», gli avevo chiesto. E lui, con la sua miglior faccia da peste: «Tutto bene, sì. E ho anche una buona notizia per i miei colleghi ricercatori: se non sono morto oggi, non morirò mai più».

Fonte: Federico Taddia |  LaStampa.it

APPROFONDIMENTO

È morto Sammy Basso. In un video si raccontò a Famiglia Cristiana – 02 giugno 2015

Newsletter

Ogni giorno riceverai i nuovi articoli del nostro sito comodamente sulla tua posta elettronica.

Contatti

Sopra la Notizia

Tele Liguria Sud

Piazzale Giovanni XXIII
19121 La Spezia
info@sopralanotizia.it

Powered by


EL Informatica & Multimedia