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Medio Oriente. «L’unica vittoria totale sarà un accordo diplomatico»

«Credo che dopo quello che è successo il 7 ottobre, visto che è stato così brutale, la maggior parte degli israeliani, se non tutti, pensino che Israele abbia il diritto di fare quello che vuole». Gideon Levy, giornalista israeliano, editorialista del quotidiano «Haaretz», descrive così a «L’Osservatore Romano» il cambiamento che ha visto nell’opinione pubblica negli ultimi dodici mesi. «Per molti versi — osserva — Israele ha perso la sua umanità il 7 ottobre, ha perso qualsiasi tipo di interesse per le sofferenze dei palestinesi».

La reazione della società è stata, secondo il giornalista, addossare «a tutti i palestinesi la responsabilità» di quell’attacco armato. È mancata però anche l’attenzione alla questione degli israeliani rapiti e ancora a Gaza nelle mani di Hamas: «Penso che gli ostaggi siano stati completamente abbandonati e che, fin dall’inizio, non siano stati la prima priorità del governo». Si è portata avanti nel frattempo una guerra distruttiva, che — ha scritto il giornalista — non si concluderà con quella «vittoria totale» di cui parlano in molti: «Non esiste vittoria totale su Hamas o su Hezbollah o sull’Iran. E poi che cos’è la vittoria totale?». «Dopo un anno, con uno degli eserciti più forti del mondo, Israele non è riuscito a ottenere né la liberazione degli ostaggi né l’annientamento di Hamas», sostiene: «L’unica vittoria totale sarà un accordo, un accordo diplomatico. Le guerre non finiscono più con vittorie totali come nelle favole».

Oggi Israele vive un momento storico in cui le voci di forte critica, come quella di Levy, hanno «un pubblico ristretto» di interessati, ma, precisa il giornalista, «ho comunque la libertà di esprimermi». Israele, infatti, secondo Levy, sostiene pienamente questa guerra: «Di solito le guerre in Israele iniziano con il pieno sostegno e poi, dopo un pò, arrivano le domande — osserva — soprattutto se Israele ne paga il prezzo. Israele sta pagando il prezzo di queste guerre: i soldati vengono uccisi quotidianamente, molto meno dei palestinesi o dei libanesi, ma vengono uccisi. E ancora non vedo alcun cambiamento».

Sui giornali, in televisione, nelle strade imperversa il linguaggio della guerra: «La pace è molto lontana — afferma Levy —. Ma credo che queste guerre si potessero evitare, sia a Gaza che in Libano», dove «le persone stanno pagando un prezzo terribile». Nell’ottica di agire verso un orizzonte di cambiamento, «il primo obiettivo deve essere fermare queste guerre, che non portano a nulla», anche se oggi sembra molto difficile. «Non voglio usare luoghi comuni», confessa il giornalista: «Non voglio parlare di cose che in questo momento non sono realistiche. Non sono un sognatore. Ho i miei sogni, ma questo non ha nulla a che fare con la realtà».

Per comprendere il quadro complessivo, bisogna ricordare che Israele conta diverse componenti all’interno della società, spesso in contrasto tra loro: gli haredim (ebrei ultra—ortodossi), i coloni che abitano nei territori della Palestina, gli ebrei secolarizzati che si concentrano in città come Tel Aviv, ma anche i palestinesi con cittadinanza Israeliana, che vivono in territorio israeliano e costituiscono il 20% della popolazione. Eppure «in questo momento Israele è più unito di quanto sembri nel sostenere la guerra — afferma Levy —. C’è molta opposizione contro Netanyahu e resistenza. C’è molta opposizione al fatto che gli ostaggi non siano stati rilasciati e ci sono molte proteste. Ma non c’è alcuna protesta contro la guerra, né contro il proseguimento della guerra, né contro le uccisioni di massa a Gaza».

«Dobbiamo cercare di fermare questa guerra prima di ogni altra cosa e poi cambiare il governo, la leadership di entrambi i popoli: entrambi i popoli hanno bisogno di una nuova leadership, sia Israele che i palestinesi». «Questo — conclude il giornalista — è il momento di cercare di portare prima di tutto un po’ di umanità, di riconoscere le sofferenze degli altri, di capire che il 7 ottobre non è venuto fuori dal cielo blu. È arrivato dopo anni in cui Gaza ha vissuto in una gabbia. Questo non lo giustifica. Ci sono ragioni per tutto, anche per i comportamenti più folli, più crudeli e brutali».

Fonte: Gideon Levy | OsservatoreRomano.va

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