Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo l’editoriale del cardinale francescano Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme, tratto dal mensile di arte e cultura di Avvenire “Luoghi dell’Infinito” (numero 298 dell’ottobre 2024), che dedica un’ampia monografia ricca di saggi, testimonianze contributi e approfondimenti su San Francesco d’Assisi.
Al centro dell’esperienza di san Francesco d’Assisi sta l’incontro profondo con Gesù, che diventa il fulcro della sua vita e il nocciolo della fede. Per il Poverello, la fede non è una semplice adesione intellettuale, ma una realtà che coinvolge tutto l’essere: il cuore, gli affetti, il pensiero. È proprio questa dimensione totale della fede che mi ha colpito maggiormente nella sua figura. Una fede integrale, che abbraccia ogni parte dell’esistenza. Non nego che da giovane faticavo a comprendere alcuni aspetti della sua vita, come quando piangeva dicendo: «Perché l’Amore non è amato». Tali espressioni mi sembravano quasi troppo romantiche. Tuttavia, con l’esperienza e gli anni, ho compreso meglio il significato di queste parole, scoprendo che la fede di Francesco era un cammino in cui mente e cuore erano uniti, senza divisione.
La fede trinitaria di Francesco: una visione piena di Dio
Un secondo aspetto cruciale della spiritualità di san Francesco è la sua visione trinitaria della fede. Per lui, la fede in Dio Padre si realizza appieno solo attraverso l’incontro con Gesù Cristo, e solo lo Spirito Santo può aprirci gli occhi a questa realtà salvifica. La sua fede era un’esperienza diretta di “vedere, toccare e credere” in Gesù, vero uomo e vero Dio. Francesco non si limitava a una fede astratta, ma viveva un amore concreto per l’umanità di Cristo. Lo vediamo chiaramente nell’episodio di Greccio, dove volle rivivere la natività del Signore, e più tardi alla Verna, dove partecipò misticamente alla crocifissione, chiedendo di sentire nel proprio corpo lo stesso dolore di Gesù. È un’esperienza totale, che supera la dimensione intellettuale e si fa carne.
Francesco e la Terra Santa: il legame con il luogo dell’Incarnazione
Per un francescano, la Terra Santa non è solo un luogo geografico, ma una componente essenziale del proprio carisma. Francesco stesso ci ha insegnato che non c’è incarnazione senza un luogo concreto: Betlemme è legata a Greccio, e il Calvario alla Verna. Custodire la memoria dell’Incarnazione è uno dei compiti principali dei francescani, che vivono in Terra Santa per preservare e rivivere l’esperienza di Gesù in questi luoghi sacri. I pontefici stessi parlano di questa presenza come di un disegno della Provvidenza, affidato ai francescani, veri “araldi” dell’Incarnazione di Cristo.
La Chiesa come luogo d’incontro con Cristo
Un altro insegnamento centrale di san Francesco riguarda il suo profondo legame con la Chiesa. Nel Testamento scrive: «Il Signore mi dette tanta fede nella Chiesa che ogni volta che incontravo una chiesa dicevo: “Ti adoriamo Cristo e ti benediciamo”». Per Francesco, la Chiesa è il luogo privilegiato dell’incontro con Cristo, attraverso i sacramenti e in modo speciale nell’Eucaristia. È la Chiesa che ci permette di fare esperienza diretta di Cristo, e la fede di Francesco ci invita a guardare oltre la carne, per vedere con gli occhi dello Spirito. Anche nei momenti di difficoltà, di guerra e di distruzione, lo Spirito ci ispira a continuare a credere nella pace, anche quando tutto sembra indicare il contrario.
La vocazione profetica e la missione della pace
Nella nostra epoca, come ogni altro abitante della Terra Santa, dal 7 ottobre scorso sono stato immerso in un mare di sangue e fuoco, non quelli di Cristo, ma della guerra. Abbiamo assistito a morte, distruzione, ferite, violenza, rancore e desiderio di vendetta. Tuttavia, ci siamo sforzati, con l’aiuto di Dio, di essere ponti di pace, cercando una mediazione e mantenendo viva l’ultima speranza di trattative. La vocazione profetica della Chiesa in questo tempo è fondamentale: essere capaci di orientare la vita alla luce della Parola di Dio e non seguire semplicemente la corrente degli eventi. Come i profeti dell’Antico Testamento, siamo chiamati a offrire speranza e visione, pur nella sofferenza. Anche quando il mondo sembra ridotto in macerie, dobbiamo ricordare che la gloria futura di questa casa, come dice il profeta Aggeo, sarà più grande di quella di prima.
Fonte: Pierbattista Pizzaballa | FamigliaCristiana.it