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Tutto in un pollice

Il nostro salto evolutivo è digitale, cioè in un dito: il pollice. Il «pollice opponibile» è infatti una prerogativa quasi solo umana: seppur comune ad altri primati, solo noi lo usiamo per azioni molto complesse. La nostra infatti non è una zampa ma la mano con cui abbiamo potuto accendere il fuoco, costruire case e arnesi, pizzicare corde o guance, curare ferite…

Un filosofo greco del V sec. a.C. diceva che l’uomo pensa perché ha la mano (chi non lo fa «pensa con i piedi»), e aveva ragione, come hanno dimostrato gli studi sulla sorprendente estensione delle zone cerebrali dedicate all’arto. La mano infatti implica la parola. A differenza dei versi degli animali che esprimono emozioni noi con le parole articoliamo anche istruzioni: la trasmissione di ciò che serve per vivere.

La voce umana non è solo espressione ma anche e soprattutto istruzione: spiega e racconta. La scuola in fondo nasce dalla mano, per questo gli animali non ci vanno, hanno l’istinto, noi invece dobbiamo «imparare» a vivere. Il pollice opponibile è la chiave della scuola permanente della vita: da come lo usiamo dipende quanta vita sappiamo. Come sta il nostro pollice oggi? Spesso incollato al telefono fa scorrere immagini pilotate dall’algoritmo, più che opponibile è diventato disponibile, e così anche il nostro pensiero, che diventa più passivo e manipolabile (ancora la mano…). Che cosa comporta questa «maniera» (altra parola che viene da «mano»: è dappertutto!) di vivere?

Quando Ulisse deve partire dall’isola di Calipso dove si trova ormai da sette anni, non ha la minima idea di come raggiungere Itaca: piange di fronte al mare infinito, oltre il quale, non sa dove, c’è la sua amata terra. L’unica cosa che sa? Costruire una barca. E così l’eroe trasforma, con le mani, il dolore in azione: creare rimane la più efficace risposta ai momenti bui.

La descrizione della costruzione della barca è dettagliata proprio perché in una cultura orale come quella omerica, le istruzioni erano conservate nei poemi per essere ricordate e trasmesse, una vera e propria enciclopedia sociale. Ulisse è l’eroe dell’ingegno multiforme perché «pensa con le mani» e «maneggia con il pensiero». Sa cucire una vela e manovrarla nei venti, sa indirizzare il timone seguendo le stelle. Tutto ciò è meticolosamente descritto nei versi sulla sua partenza dal luogo che lo trattiene «nell’ombelico dell’oceano» da sette anni, un’isola (e un isolamento) in cui non è necessario costruire nulla, perché tutto è dato spontaneamente dalla natura, senza bisogno di tecnica e lavoro.

Su quell’isola Ulisse è inumano (mi torna utile che in italiano «mano» sia casualmente dentro «umano»): non usa le mani e, mangiando il cibo degli dei, è immortale. Utopia che sempre ci accarezza: poter vivere senza bisogno del lavoro e della tecnica per sopperire all’assenza di mezzi specializzati come pinne, zanne, corna, corazze… La mano infatti non è specializzata ma si specializza, grazie al pollice opponibile. Quel pollice oggi sembra non voler «opporsi» al flusso, naviga a caso sulla superficie liscia dello schermo, dimentica la resistenza del mondo, e così anche il pensiero e la parola diventano disponibili, cioè dipendenti. La rete non è infatti solo la nostra enciclopedia sociale come lo erano i poemi antichi, ma il mare in cui ci abbandoniamo a ondate di dopamina, scariche di gioia per un cervello, individuale e collettivo, sempre gratificato. E l’intelligenza, senza resistenza, diventa meno multiforme, l’ingegno meno attivo: l’uso dei tablet in classe al posto della scrittura a mano si è già rivelato «perdente» per lo sviluppo cerebrale.

Insieme alla cosiddetta Intelligenza Artificiale, a scuola, oggi servirebbe altrettanta Intelligenza Artigianale: allenare la manualità per bilanciare l’eccesso di superfici lisce e senza resistenza degli schermi, sui quali, come sull’isola di Calipso, tutto è dato senza sforzo.

Il pensiero non sa man-tenere la realtà, gli sfugge tutto, ha le mani bucate. Ciò anche a causa della «perdita della noia»: oggi un bambino/adolescente con un cellulare in mano può non sentirne più il morso. «Girarsi i pollici» obbligava a tornare al mondo, perché la noia è un promemoria: «non stai vivendo abbastanza, hai dimenticato le mani». Il bambino esplora e scopre, diventa intelligente, proprio a partire da: «Che noia! Non c’è niente da fare…». È quel «da fare» che lo costringe a usare il pollice secondo la sua millenaria evoluzione: invenzioni, collezioni, lavoretti, modellini, esperimenti, libri, guai… Montessori diceva che «i bambini non giocano, lavorano», infatti una manualità che si confronta con il mondo sviluppa l’intelligenza (memoria più immaginazione) che viene dall’esperienza, con molti benefici collaterali: capacità di concentrazione e gestione delle emozioni, efficacia creativa e quindi autostima/autonomia, eliminazione dello stress, arricchimento del linguaggio attraverso il racconto dell’esperienza fatta… L’evoluzione del sapiens si ripete in ogni vita: scrivere a mano, costruire qualcosa, curare una pianta, dare una carezza sono gesti che restituiscono una «maniera» di vivere più ricca perché meno passiva.

Un pollice che non gira a vuoto sullo schermo, da disponibile torna opponibile, rende l’intelligenza esplorativa, creativa, tecnica, e il pensiero critico, autonomo, indipendente. Il digitale non è solo nel bit ma nel pollice. Il pollice della gioia e del rischio, non il numero di pollici dello schermo, ma il pollice che permette a Ulisse di navigare verso casa facendo diventare poesia persino il suo «da fare»: «Tagliava i tronchi e lavorava veloce. Li sgrossò con la scure, abilmente li levigò livellandoli dritti col filo. Fece buchi e li congiunse gli uni agli altri. Rinsaldò la barca con chiodi di legno e ramponi. E come un falegname esperto così fece Ulisse per la sua zattera.

Alzò poi il cassero, con molti travicelli fra loro connessi, lo completò con assi lunghissime. E fece l’albero e, attaccato ad esso, il pennone, e aggiunse il timone, per poterla guidare. Intorno la cinse con stuoie di vimini, a riparo dalle onde del mare, coprì il fondo di frasche. Allora la divina Calipso portò dei drappi per fare le vele: ed egli fabbricò anche quelle. Legò infine le sartie le drizze e le scotte e, con rulli di legno, trasse la barca sul mare lucente. Era il quarto giorno, e tutto era finito. Al quinto partì dall’isola». Ulisse naviga in mare verso casa, noi in rete verso dove? Difendiamo il pollice dei bambini, passando del tempo insieme a costruire, riparare e curare qualcosa, allenare la sua «opponibilità» li renderà più intelligenti e felici. Umani.

Fonte: Alessandro D’Avenia | Corriere.it

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