Per la quarta volta nel suo pontificato, papa Francesco inserisce nel corso di un Sinodo dei vescovi la canonizzazione di alcuni santi. La prima volta fu nel 2015 con tre canonizzazioni. Nel 2018 furono ben sette e tra loro c’erano papa Paolo VI e l’arcivescovo di San Salvador Oscar Romero, martire della Chiesa salvadoregna. L’anno successivo le canonizzazioni in tempo di Sinodo furono cinque. Oggi sono 14 i testimoni della fede che vengono proclamati santi durante la Messa in piazza San Pietro: si tratta di don Giuseppe Allamano, suor Elena Guerra, suor Marie-Léonie Paradis e degli undici Martiri di Damasco.
Giuseppe Allamano, il missionario che non è mai partito
Don Giuseppe Allamano – .
«Non tutti potranno realizzare il desiderio di recarsi in missione, ma tale desiderio dovrebbe essere di tutti i sacerdoti». Queste poche parole racchiudono tutto il ministero del beato Giuseppe Allamano, che sarà canonizzato oggi da papa Francesco durante la Messa in Piazza San Pietro. Nato a Castelnuovo d’Asti nel 1851, il futuro don Giuseppe fu a contatto con la santità già nella famiglia d’origine: suo zio, infatti, era don Giuseppe Cafasso, proclamato santo nel 1947 e molto noto per la sua amicizia con un altro santo, don Giovanni Bosco, presso il quale lo stesso Allamano ebbe la possibilità di formarsi.
Dopo gli anni all’oratorio di Valdocco e l’ordinazione sacerdotale nel 1873, don Allamano accettò dall’allora arcivescovo di Torino, Lorenzo Gastaldi, il compito di rettore del Santuario della Consolata. Nel 1880, quando il presbitero vi mise piede, il Santuario versava in condizioni critiche: persino la costruzione era in rovina. Ma è qui che, nei restanti 46 anni della sua vita, don Allamano produsse i più grandi frutti del suo ministero. Accanto ai necessari lavori di ristrutturazione, il nuovo rettore promosse una completa trasformazione del Santuario, che si arricchì di numerose iniziative e divenne ben presto un centro missionario.
Fin da ragazzo, infatti, il beato guardava con passione e interesse a questo mondo, nel quale vedeva la massima realizzazione della vocazione sacerdotale, ma fu solo nel 1901 che, con l’approvazione dell’arcivescovo di Torino Agostino Richelmy, riuscì a fondare l’Istituto dei Missionari della Consolata, il cui primo gruppo partì per il Kenya l’anno successivo. L’apporto di don Allamano alla causa missionaria non si esaurì così: sentendo l’esigenza di una presenza femminile nell’opera di evangelizzazione in Africa, il beato ottenne dapprima la collaborazione delle suore del Cottolengo di Torino, per poi fondare, nel 1910, un secondo Istituto, le Suore Missionarie della Consolata, consacrate pienamente all’apostolato in terra di missione. Pur senza muoversi mai dal Santuario, don Giuseppe divenne, attraverso i due istituti, un riferimento imprescindibile, un collegamento vivo e diretto con quanti portavano il Vangelo lontano da casa.
Morto nel 1926, il sacerdote è stato beatificato nel 1990. La sua causa non poteva che passare per una missione: alla sua intercessione è stata infatti attribuita la guarigione miracolosa, nel 1996, di un indigeno della foresta amazzonica brasiliana, gravemente ferito da un giaguaro. Arrivato in ospedale dopo diverse ore dall’aggressione, l’uomo fu raggiunto dalla moglie insieme a sei suore e un sacerdote della Consolata, che pregarono intensamente il loro fondatore. L’indigeno si svegliò a dieci giorni dall’intervento e poco dopo poté tornare nel suo villaggio completamente ristabilito.
Elena Guerra, una devozione per lo Spirito che raggiunse anche il Papa
Suor Elena Guerra – .
Il fascino del Vangelo e il desiderio ardente di raccontarlo sono stati i cardini della vita di suor Elena Guerra. Nata nel 1835 a Lucca da una famiglia appartenente alla nobiltà locale, la sua giovinezza fu divisa tra l’impulso a seguire la propria forte devozione, che più volte la spinse verso la vita religiosa, e alcuni eventi avversi, da un’iniziale contrarietà della famiglia alla grave malattia che la costrinse a mesi di immobilità. Dopo un pellegrinaggio a Roma e varie esperienze da laica, come l’assistenza ai malati di colera, la donna trovò il proprio posto nella vocazione educativa. Nel 1872 aprì una scuola per le figlie della borghesia e della nobiltà lucchese: quando l’opera si consolidò, la beata fondò con un gruppo di compagne l’Istituto di Santa Zita, una realtà laica dedita all’educazione delle fanciulle. Nel 1882 il sodalizio prese la forma di vita comunitaria, in un nuovo palazzo e con un nuovo nome: erano nate le Oblate dello Spirito Santo.
Gli anni della maturità furono per suor Elena l’occasione di affiancare all’educazione alla vita cristiana la pubblicazione di numerosi testi, che spaziavano da problemi riguardanti le donne e la scuola fino a temi ascetici e spirituali. Lo Spirito Santo fu l’argomento più trattato in questi scritti: la sua esortazione a un maggiore riconoscimento del Paraclito arrivò fino a papa Leone XIII, che con un “Breve” del 5 maggio 1895 sollecitò tutti i vescovi a predicare una novena per la festa di Pentecoste. Negli anni successivi, il confronto con la religiosa ispirò al Papa l’argomento dell’enciclica Divinum illud munus del 1897, ancora una volta tesa a raccomandare la devozione allo Spirito Santo.
Tra il 1905 e il 1906, alcuni contrasti sorti in seno alla congregazione indussero la beata a dimettersi da superiora e le proibirono di dare alle stampe altri scritti. Gli ultimi anni di vita furono segnati da una salute malferma, che la condusse alla morte l’11 aprile 1914. Dopo il decesso, la sua fama si diffuse e papa Giovanni XXIII la scelse nel 1959 come prima beatificazione del suo pontificato.
La sua causa fu riaperta dopo che nel 2010 una guarigione inspiegabile fu attribuita alla sua intercessione. A beneficiarne fu un signore brasiliano, che si era procurato un gravissimo trauma cranico mentre era intento a potare un albero. Dopo essere rimasto sospeso tra la vita e la morte per oltre due settimane, durante le quali ne era stata dichiarata anche la morte cerebrale, l’uomo ebbe un miglioramento negli stessi giorni in cui i membri del Rinnovamento carismatico del luogo completavano una novena di invocazioni alla beata Elena Guerra. Dimesso il mese successivo, controlli mensili e annuali hanno evidenziato il buono stato di salute del paziente.
Suor Léonie Paradis, la grazia di collaborare accanto ai sacerdoti
Madre Léonie Paradis – .
Suor Marie‑Léonie Paradis nacque come Elodia Virginia Paradis nel 1840 in Québec (Canada) e già da bambina si mostrò sensibile ai più poveri e umili. A 17 anni fece la sua professione di fede e fu impegnata nella formazione di religiose in varie Case religiose tra Stati Uniti e Canada. Fu in questo periodo che l’arcivescovo di Montréal Édouard-Charles Fabre suggerì di fondare una piccola comunità per svolgere i servizi nei collegi. Dopo una prima breve cerimonia nel 1877, la nuova comunità fu pienamente costituita nel 1880 con il nome di “Piccole Suore della Santa Famiglia” e lo scopo specifico di attendere ai lavori domestici nelle comunità religiose, nei collegi e nei seminari. La raccomandazione principale di suor Léonie alle sue figlie era quella di aiutare il sacerdote materialmente e spiritualmente, venerando in lui la persona stessa di Cristo. La beata morì nel 1912, testimone del grande successo del suo Istituto, poi diffusosi anche in Honduras, Italia e Stati Uniti.
Papa Giovanni Paolo II l’ha beatificata l’11 settembre 1984 a Montréal, durante il suo viaggio apostolico in Canada, in virtù della guarigione miracolosa, avvenuta nel 1912, di una religiosa affetta da tubercolosi polmonare. Per la causa di canonizzazione, invece, alla beata è stata riconosciuta un’intercessione nella guarigione di Marie-Nicole, neonata canadese venuta alla luce in gravi condizioni: la piccola presentava una “prolungata asfissia perinatale con insufficienza multiorgano ed encefalopatia”.
I Martiri di Damasco, vittime delle persecuzioni in Libano e Siria
I Martiri di Damasco – .
Gli altri nuovi santi differiscono per età e provenienza, ma condividono la stessa morte, incontrata tra il 9 e il 10 luglio 1860, nel contesto delle persecuzioni contro i cristiani che si erano estese in quell’anno dal Libano fino alla Siria.
Il barbaro assassinio dei cosiddetti “Martiri di Damasco” si consumò quando un gruppo di miliziani drusi, animati da un radicato odio antireligioso, raggiunsero la città di Damasco, seminando ovunque distruzione e morte. Quella notte il loro odio si rivolse contro il convento e la chiesa francescana di San Paolo, dove trovarono la morte otto frati francescani e tre laici presenti sul posto, di confessione cristiano maronita. Sopraggiunti al convento, gli aggressori chiesero alle undici vittime di rinunciare alla fede cristiana e di abbracciare l’Islam: quando essi respinsero l’invito ebbe inizio il massacro. Manuel Ruiz Lopez, superiore del convento dei Frati Minori a Damasco, fu ucciso ai piedi dell’altare. Con lui persero la vita sette confratelli, sei di nazionalità spagnola e uno austriaco, e i tre fratelli Massabki, Francesco, Abdel Mooti e Raffaele, uomini devoti e padri di famiglia.
La beatificazione fu celebrata da papa Pio XI il 10 ottobre 1926. La causa di canonizzazione è stata poi ripresa nel 2022 a motivo dalla crescente fama del martirio e del sempre maggiore numero di segni attribuiti all’intercessione degli undici Martiri di Damasco, nonché dalla diffusione del loro culto. A ciò veniva associata la certezza che una loro canonizzazione potesse costituire un messaggio di dialogo, di pace e di unità nel contesto medio-orientale, ora più che mai turbato da guerra e violenza.
Fonte: Davide Aldrigo | Avvenire.it