La psicoterapeuta Loredana Cirillo: troppi ragazzi non esprimono più emozioni, sentono di dover essere come le madri e i padri vogliono, ma questo ha implicazioni psichiche drammatiche. Ecco perché
Ci vuole coraggio a parlare di dolore e sofferenza quando tutt’attorno c’è un coro che detta le regole del benessere e della felicità, dispensa consigli per non mostrarsi fragili e per andare nel mondo lancia in resta. E ci vuole ancor più coraggio a parlare del dolore mentale dei ragazzi, quello invisibile che non trova parole per essere detto e resta inascoltato e nascosto in silenzio nelle case e nelle camerette, dietro i luoghi comuni dell’età ingrata e difficile, scontrosa e lunatica, ma pronto a esplodere come quelle mine antiuomo che deflagrano quando un brutto giorno qualcuno ci inciampa su.
Del resto, lo sguardo sugli adolescenti è spesso sequestrato da stereotipi svilenti e da una cronaca ripetitiva, drammatica e violenta che li vede protagonisti freddi e inconsapevoli, e di cui gli adulti non sanno darsi ragione, perché, è il mantra, andava tutto bene. Problemi non ce n’erano. Ragazzi normali, come tanti. E allora scattano le domande degli adulti in difesa di sé, su cosa sta succedendo a questa generazione considerata un po’ egoista, irresponsabile e fragile a cui è stato dato tanto e troppo. Gli adolescenti di cui non si sa mai cosa pensano, sempre attaccati a internet e ai maledetti smartphone. Invece, quando proprio i ragazzi hanno l’ardire di chiedere ai genitori l’aiuto di un sostegno psicologico e si va in profondità si scopre molto di più. Una sofferenza inedita e il bisogno di ascolto.
Spiega Loredana Cirillo, psicologa e psicoterapeuta dell’Istituto Minotauro a Milano: «Quello che i ragazzi raccontano e ciò che vediamo in numero sempre crescente dal nostro osservatorio, non è un’ansia ma un’angoscia vera e propria, una profonda inquietudine esistenziale di identità che gli adolescenti cercano di lenire e ridurre attraverso comportamenti e attività che hanno principalmente lo scopo di allontanare il pensiero su di sé e sul proprio futuro, perché troppo disturbante». Una sofferenza che in estrema sintesi è definita nell’ultimo lavoro di Loredana Cirillo appena pubblicato da Cortina editore, Soffrire di adolescenza (pagg. 204, 19 euro) con il sottotitolo Il dolore muto di una generazione. «Parliamo di ragazzi che sono stati bambini voluti, sognati, su cui c’è stato una grande investimento affettivo – racconta la terapeuta – una promessa di ascolto, di vicinanza, di comprensione e libertà che però viene tradita quando nella vita i figli attraversano esperienze e stati d’animo negativi, inevitabili nella crescita. Allora deve andare tutto bene».
Il sogno dei genitori oggi, spiega in sostanza Loredana Cirillo, è di avere un figlio devoto da cui ricevere affetto e riconoscimento incondizionato, da sistemare nel mondo così da continuare la propria realizzazione personale. Un figlio che esprima sé stesso seguendo i canoni degli adulti, fingendo che siano i propri. Mettendo a tacere il proprio sacrificio e la propria confusione.
«Viviamo un mondo senza dolore – riprende – in cui cerchiamo di bandire il conflitto, la separazione, la tristezza, la fragilità. Rimuoviamo ciò che riteniamo brutto anche se questo inesorabilmente finisce per soverchiarci. Consciamente o meno i figli oggi assumono una funzione lenitiva, si chiede loro consolazione, affetto e di non creare problemi. E i figli, che da un lato si sentono amati, sentono anche di dover essere come vogliono i genitori e di non farli soffrire per i propri inciampi. Hanno imparato a riconoscere lo sguardo altrimenti straziante dei genitori, perciò tengono per sé la propria sofferenza. Ma sentono il tradimento».
La mancanza di autenticità. Come dire, avevamo un patto di vicinanza e di comprensione tradito dalla richiesta di essere come tu mi vuoi. «I ragazzi hanno imparato a tacere le cose che non vanno, non hanno modelli di riferimento di dialogo sulle emozioni scomode ma questo ha implicazioni psichiche drammatiche perché, se si finge che non esistano, le emozioni e le esperienze negative s’incistano nella mente e rischiano di diventare prepotenti e deformi. Negarle non le fa sparire».
Quello che la terapeuta sottolinea è un ribaltamento di ruoli mai visto nella Storia, i ragazzi che si prendono emotivamente cura dei genitori più di quanto non lo facciano i genitori nei loro confronti. «Non è tanto il timore di deluderli, quanto una distorsione del legame e della costruzione dell’identità e del Sé dei ragazzi che li mette a rischio. Se non posso affermare chi sono, integrare dentro di me gli aspetti buoni e negativi dell’esistenza e tutta la gamma dell’emotività posso essere molto nei guai. Durante l’adolescenza, nell’inesorabile ricerca delle proprie verità, non sapere chi si è davvero e avvertire il vuoto è un fatto drammatico, può far sì che quel dolore muto esploda nel far male a sé, sul proprio corpo, o agli altri. Come se si fosse rotta una barriera psichica di controllo e contenimento». Dunque? La possibilità reale di un cambiamento di paradigma la intravvedono gli stessi adolescenti quando riescono a dare parole al loro dolore, e cioè esprimendo il desiderio di incontrare adulti capaci di ascoltarli nei momenti di difficoltà.
«Dagli adulti ci vorrebbe un atto di coraggio, un’ammissione di fragilità e una disponibilità ad ascoltare come a fare le domande giuste, “Come stai? Come ti senti? Perché sei arrabbiato?”. Invece di arrovellarsi su come spegnare la rabbia e la sofferenza, dare ai ragazzi la possibilità di esprimerle, in quanto dimensioni imprescindibili dell’esistenza, senza averne paura. Si tratta di tollerare rifiuti e silenzi e riconoscere ciò che i ragazzi sperimentano attraversando i dolori della vita. E assicurare loro che possono farcela senza deflagrare».
Par di capire che la vera urgenza allora sia, piuttosto che criminalizzare internet e i malefici degli smartphone, capire perché i ragazzi e gli adulti si rifugino lì. «Cominciare a considerare il dolore mentale di entrambi come il sintomo di una crisi e di un malessere che richiama la cura dei sentimenti e degli affetti – conclude Loredana Cirillo – la sosta senza fretta nelle emozioni negative, invece delle facili soluzioni provvisorie. Passi indispensabili perché i ragazzi affermino il proprio diritto di esistere, di dare voce ai propri pensieri, bisogni e sentimenti più autentici».
Fonte: Rossana Sisti | Avvenire.it