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CALO NATALITÀ/ “Un danno economico per l’Italia, ecco come invertire rotta”

La natalità in Italia continua a diminuire e questo comporta conseguenze negative sia a livello economico che sociale

Arrivano nuovi dati preoccupanti sul fronte della natalità in Italia. Come ha comunicato ieri l’Istat, infatti, nel 2023 ci sono state 379.890 nascite, il 3,4% in meno rispetto all’anno precedente. Un trend che sembra proseguire nel 2024, dal momento che nei primi sei mesi dell’anno ci sono state 4.600 nuovi nati in meno rispetto allo stesso periodo del 2023. Come spiega Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, questi numeri «non ci consentono purtroppo di dire che sia stato toccato il fondo. C’è poi un dato allarmante, quello relativo al numero medio di figli per donna (1,20), ormai prossimo al minimo storico toccato nel 1995 (1,19). Siamo in una situazione che si potrebbe definire di trappola».

Come mai parla di trappola?

Perché sul fronte demografico non arrivano purtroppo segnali positivi sul futuro, è come se fossimo di fronte a una contrazione che appare quasi inesorabile della natalità, i cui effetti sociali ed economici negativi sono in gran parte ancora di là da venire, ma non ci vorranno molti anni.

A quali effetti economici e sociali si riferisce?

La continua discesa della natalità comporta una progressiva diminuzione della popolazione in età lavorativa (16-65 anni), che è un dato tra quelli considerati dagli analisti internazionali nel valutare opportunità di investimento in un Paese. Si tratta di una fascia di popolazione cruciale, perché ha la responsabilità di provvedere alla crescita e al mantenimento di chi ancora non ne fa parte e, tramite i contributi previdenziali che versa, di sostenere i più anziani.

Questo problema si aggiunge al fatto che meno nati significano in prospettiva anche meno consumi e quindi minor crescita economica?

Sì. E un altro effetto indesiderato è una minor vitalità, una minor energia, uno dei fattori chiave di quell’innovazione di cui il nostro Paese avrebbe bisogno.

I dati dell’Istat sembrano dire anche che non può essere l’immigrazione la chiave per invertire rotta…

Sì, perché anche per la componente straniera della popolazione vi è un calo delle nascite. Del resto, se gli italiani hanno difficoltà dal punto di vista del potere d’acquisto e del costo della vita, questo vale anche per gli stranieri. I quali, però, sono perlopiù giovani e potrebbero, quindi, contribuire ad aumentare il numero della popolazione in età di lavoro. Tuttavia, avremmo bisogno di fare come la Germania, che negli anni ha avuto prevalentemente un’immigrazione qualificata.

Cosa bisognerebbe fare per invertire rotta?

A mio avviso bisognerebbe istituire un piano a medio o lungo termine per la ripresa della natalità, che non significa solamente la ripresa della gioia di avere un figlio o una figlia, ma anche programmare uno sviluppo del Paese. Sarebbe importante sapere quante sono le donne che per scelta o costrizione non hanno figli o non li hanno avuti quando erano in età fertile e capire quali sono le cause retrostanti a tali numeri. In quanti casi la mancanza di progettualità sui figli, dipende dal fatto che il futuro che si prospetta sulla base del presente non è roseo? Per fare un esempio, se i conflitti nel mondo, quanto meno in Europa, fossero riportati in condizioni gestibili dalla diplomazia anziché dalle armi, questo potrebbe anche fare la differenza.

Tra le cause della rinuncia a un figlio ve ne sono anche di carattere economico?

Sì, perché una donna il cui reddito è assolutamente necessario per far quadrare il bilancio familiare è meno propensa ad avere un figlio o ad averne di più. Qualcosa su questo fronte si sta facendo, anche tramite le misure che si vogliono prorogare o inserire nella Legge di bilancio. Sarebbe, tuttavia, importante, prima ancora di ampliarle, renderle strutturali, in modo da dare più certezze.

Nella Provincia di Bolzano si registra il maggior numero di figli per donna (1,56) e da tempo vi sono incentivi e benefici economici per le famiglie con figli, oltre che un’efficace rete di servizi all’infanzia. Andrebbe presa come riferimento per il resto d’Italia?

Oltre a Bolzano, c’è un Paese delle stesse nostre dimensioni che resiste meglio di noi alla denatalità che è la Francia. Non voglio ribadire l’importanza del quoziente familiare, ormai aborrito quasi da tutti, ma quanti altri Paesi ci sono che aiutano i genitori sul fronte economico arrivando anche a pagare i libri di testo scolastici dei loro figli? L’esempio virtuoso di Bolzano aiuta anche a ricordare quanto sia importante poter contare su costi per la casa accessibili nel nostro Paese.

I costi per la casa sono così importanti?

Sì, rappresentano un ostacolo rilevante per le coppie giovani e talvolta impediscono la crescita del nucleo familiare. Un’altra risorsa scarsa in quest’epoca è il tempo e sarebbe importante intervenire non solo sul fronte dei congedi parentali, ma anche per migliorare la mobilità, per rendere meno lenti gli spostamenti dovuti al lavoro e alla cura dei figli. C’è, infine, una tipologia di intervento che credo vada valorizzato.

Quale?

Quella relativa agli interventi che possono essere messi in atto dalle imprese. In questo senso credo sia importante anche diffondere la conoscenza delle best practices di welfare aziendale che supportano la natalità sia sul fronte economico, erogando, per esempio, dei bonus ai dipendenti quando hanno un figlio, che dei servizi.

Fonte: Lorenzo Torrisi | IlSussidiario.net

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