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Cecchettin e Pellai in dialogo: un messaggio di speranza per i giovani

Il padre della giovane uccisa un anno fa dall’ex fidanzato racconta il suo impegno contro la violenza di genere, la sua esperienza di patriarcato nella famiglia d’origine

Un dialogo a cuore aperto tra Gino Cecchettin, padre di Giulia, la giovane padovana uccisa dall’ex fidanzato nel novembre 2023, e lo psicoterapeuta Alberto Pellai. Se il tema scelto dagli organizzatori, il Comune di San Giuliano Milanese e il decanato, era il contrasto alla violenza di genere, alla fine si è parlato di sentimenti, di amore e di rabbia, di maschile e femminile. Ecco il resoconto dell’incontro che si è svolto il 14 ottobre.

Signor Cecchettin, dopo la morte di Giulia lei è stato travolto da una valanga di affetto e solidarietà. Ma quale forza interiore l’ha portata a essere quello che tutti ormai conosciamo, un uomo sicuramente triste ma non arrabbiato, un uomo che cerca giustizia ma non vuole perdere la sua umanità. Ecco quale forza interiore?

CECCHETTIN: Vede, io sono una persona molto razionale, e ho capito che rabbia e ira sarebbero arrivati e mi avrebbero fatto più male che bene. Ho perso una figlia e non volevo perdere anche gli altri due, volevo continuare a essere il perno di una famiglia unita anche se ridotta, non farmi travolgere. Mi sono ispirata a mia figlia, che vedeva sempre il bello della vita anche quando era difficile. Sono stato privato della sua vita ma ho voluto, in suo nome, spezzare la logica della rabbia e del rancore. Quale forza, lei mi chiede: i miei figli mi danno la forza di continuare e in loro vedo un futuro che deve essere di felicità. Mi prodigherò perché questo avvenga, come fa qualsiasi padre di famiglia.

Lei ha annunciato la nascita della Fondazione Giulia Cecchettin. Quali sono gli obiettivi?

CECCHETTIN – Dopo ciò che è accaduto a mia figlia mi sono fatto tante domande: non a tutte sono riuscito ad avere risposta. Alcuni amici mi hanno consigliato di creare una Fondazione e ho pensato che il libro che ho pubblicato, “Cara Giulia”, potesse essere il primo mattone per finanziarne la costituzione. Gli obiettivi della Fondazione Giulia Cecchettin sono tre: offrire formazione nelle scuole con esperti di violenza di genere; collaborare con altre associazioni per aiutare le donne vittime di violenza; e infine erogare borse di studio per studentesse di facoltà Stem (scientifiche, economiche e tecniche). Sono quelle che registrano una minore presenza femminile ma che offrono più possibilità lavorative e quindi con questo sosteniamo anche la riduzione del gap salariale tra lavoratori e lavoratrici.

Per prevenire la violenza di genere è necessaria un’alleanza tra ragazzi e ragazze, uomini e donne. Come si fa?

PELLAI. Nel tempo si sono sviluppate molte esperienze di formazione con ragazzi e ragazze per riconoscere gli indicatori all’interno di una relazione affettiva che la rendono pericolosa, manipolatoria, a rischio di violenza. Questo approccio nasconde però una cristallizzazione di ruoli: il femminile che viene aggredito e il maschile che aggredisce. Dobbiamo fare un passo in più e mettere al centro la prevenzione primaria, cioè permettere a chi sta crescendo di capire che cosa è una relazione intima: amorosa, protettiva, sicura, nutriente. Per i nostri figli maschi, in particolare, è fondamentale essere coinvolti in percorsi di prevenzione in cui la narrazione su di loro non è solo quella dell’aggressore e del violento, ma di persone che sanno rimanere connessi in modo efficace con il proprio mondo interiore e i propri vissuti emotivi. In altre parole, non semplicemente insegnare a non essere violenti, ma a essere competenti dal punto di vista emotivo.

Signor Cecchettin, nel libro “Cara Giulia” lei racconta la sua infanzia con un padre che non viveva una relazione coniugale e genitoriale equilibrata. Ce ne vuole parlare?

CECCHETTIN. Sono cresciuto con un’educazione molto severa, costellata di punizioni corporali. Se non facevo quello che diceva mio padre, erano botte. Ho visto anche mia madre non realizzarsi: aveva dei desideri e delle aspirazioni, ma non poteva fare nulla se non la casalinga perché mio padre dettava legge. È stato uno dei capitoli del libro più difficili da scrivere, ho chiesto l’autorizzazione a mia madre e lei ha accettato perché ha capito che in quel racconto c’era un messaggio da trasmettere. Da bambino e ragazzo ho attraversato delle frustrazioni e delle infelicità. Ho visto i miei desideri buttati letteralmente dalla finestra: volevo fare il calciatore e mio padre ha preso la borsa e la tuta e le ha gettate. Mi sono sentito obbligato a perseguire un percorso di studio tecnico perché per l’Università non si sapeva se c’erano abbastanza soldi. Quando sono diventato genitore avevo un esempio di quello che non dovevo fare. Però ho perdonato mio padre, ci siamo riabbracciati e l’ho visto piangere per quello che non aveva fatto come papà. L’ho perdonato perché quelli erano i mezzi che a sua volta lui aveva acquisito nella sua infanzia, quindi non gliene posso fare una colpa. Da genitore ho messo in pratica la parte complementare dell’insegnamento che ho ricevuto; sapendo come mi sentivo io quando venivo paragonato ad altri ragazzi, ho capito che i miei figli sono unici e nella loro unicità vanno valorizzati. E quindi ho cercato di tirar fuori il bello e l’unicità dei miei figli, li ho lasciati liberi di decidere. Un giorno mia moglie mi ha chiesto come facessi con l’esempio di mio padre a essere al contrario un bravo papà. Semplicemente perché sapevo quello che non dovevo fare.

Come può un genitore accorgersi se un ragazzo è coinvolto in una relazione non equilibrata?

PELLAI. Se ciò che accade all’interno di una storia amorosa trasforma il tono dell’umore di un figlio, se una relazione non è un luogo in cui il figlio si apre ma al contrario si chiude, lì dentro c’è un campanello d’allarme. E l’altro aspetto è più generale: se un figlio ha una modalità molto prepotente, molto controllante, poco flessibile, indipendentemente dal fatto che stia parlando con il ragazzo o la ragazza, con un amico o con un’amica, c’è da porsi la domanda: forse ha bisogno di aiuto? Anche iI mondo dei social può nascondere qualche segnale: se pretende la password dell’altro, ad esempio.

Signor Cecchettin, lei ha condiviso Giulia con tutta Italia, sua figlia è diventata una bandiera di libertà, il suo sorriso un inno contro la violenza, contro il controllo, contro il possesso… Questo la consola?

CECCHETTIN. No, non è consolatorio: preferirei tornare nell’anonimato ma avere la mia Giulia nella stanza accanto e poterla chiamare e accarezzare. Però sappiamo che il tempo trascorre solo in una direzione e non si può cambiare il passato. Se è un passato tragico, l’unica cosa che possiamo fare è agire da questo momento in poi. Già durante quei giorni terribili in cui tutti cercavamo Giulia, ho capito che lei era diventata la Giulia di tutti. Quando una persona manca fisicamente, l’unico modo per farla rivivere è condividerla: la sua bellezza, i suoi gesti. Ogni volta che qualcuno parla di Giulia la fa rivivere. Questo è l’unico modo che mi è concesso di rivivere mia figlia e quindi l’unico modo che sto portando avanti, raccontando di lei, dei suoi gesti, del suo altruismo, del modo assurdo che aveva di ballare, di parlare con qualsiasi essere vivente che girava per casa. Tutto questo mi fa rivivere Giulia. E in più aiuta sicuramente qualcun altro, perché si può rivedere nei gesti e nella situazione che Giulia ha vissuto nella relazione con Filippo e magari agire un po’ più egoisticamente di lei.

Perché egoisticamente?

CECCHETTIN. Perché se Giulia è arrivata a tal punto è perché non aveva capito qual era il vero Filippo. Lei continuava a darsi colpe della rottura della relazione, a sentirsi preoccupata del provocare sofferenza a Filippo, ma non aveva capito che forse la persona in pericolo era lei e noi non avevamo capito che stavamo vivendo una situazione molto al di fuori del normale.

Che ruolo ha avuto la fede nella sua vicenda?

CECCHETTIN. Non sono credente, nel senso che non credo in un Dio Creatore, però credo nelle persone. Ecco, io ho fede nelle persone, e in primis nei credenti. Mia moglie era credente e praticante e quando ci siamo fidanzati io le detto: come facciamo, io non credo, tu sì. Lei mi ha risposto semplicemente: se tu hai rispetto delle persone, io non ho nulla da obiettare. È nato un amore fantastico; abbiamo educato i ragazzi nella Chiesa cattolica. La mia esperienza di vita con persone credenti continua a darmi valore aggiunto. Nel libro parlo di una lunga passeggiata con don G. che mi ha guidato in una giornata per me bruttissima, stavo malissimo, soffrivo. Siamo partiti in una freddissima alba di dicembre, da 1.600 metri all’interno di una nuvola umida. Passo dopo passo, senza mai guardare indietro, ha continuato a camminare e mi ha portato fino alla vetta. Abbiamo visto gli stambecchi i fiori, il sole, mentre sotto di noi c’erano le nuvole. Mi sono sentito rinfrancato e lui mi ha insegnato una cosa molto importante: solo continuando a camminare si può passare da un momento della vita che è freddo, umido e doloroso fino ad un momento di sole.

Vuole lasciare un messaggio conclusivo?

CECCHETTIN. Siccome sono un inguaribile ottimista, vorrei finire con un messaggio positivo, soprattutto ai giovani. Quando guardo Elena e Davide dico a loro di non smettere mai di sognare, di tirare fuori i sogni dalla testa, di cercare di realizzarli. Il metodo migliore per realizzarli è togliere di messo alcune parole: i ma, i se, i però che sono parole limitanti. Quindi, ragazzi, credeteci nel vostro sogno, portatelo avanti. Siate giovani, quindi anche un po’ ribelli, quindi fatevi valere. La vita sicuramente vi sorriderà.

Fonte: Antonella Mariani Int.  A. Pellai e G.Cecchettin | Avvenire.it

 

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